Funzione e limiti dell’azione revocatoria ordinaria

Funzione e limiti dell’azione revocatoria ordinaria

Il tema dei limiti all’esercizio dell’azione revocatoria è stato affrontato recentemente dalla Cassazione nella pronuncia n. 22915/2016 con cui è stato chiarito che “L’azione pauliana non è strutturalmente destinata alla tutela dell’esecuzione in forma specifica di obbligazioni diverse da quelle pecuniarie, avendo la sola funzione di ricostituire la garanzia generica assicurata al creditore dal patrimonio del debitore, ex art. 2740 c.c., ove la sua consistenza si riduca, per uno o più atti dispositivi, così pregiudicando la realizzazione coattiva del diritto del creditore, ed è pertanto correlata all’eventuale esercizio, al suo esito, all’azione esecutiva sul bene trasferito, per soddisfare le ragioni pecuniarie del creditore” (Cass. n. 22915/2016). Con la sentenza appena citata la Suprema Corte ha annullato una sentenza di accoglimento dell’azione revocatoria a tutela di un diritto alla restituzione di un bene, su cui il creditore vantava un diritto reale.

L’azione revocatoria, come noto, è il principale strumento di conservazione della garanzia patrimoniale regolato dagli artt. 2901 e ss. del Codice Civile. Suoi presupposti sono l’eventus damni e il consilium fraudis. L’azione infatti può essere esercitata in presenza di un pregiudizio alle aspettative dei creditori quando risulta leso il loro affidamento sulla garanzia patrimoniale del debitore ex art. 2740 c.c. È necessario che il debitore sia però consapevole di arrecare un simile pregiudizio e se l’atto dispositivo è anteriore alla nascita del credito occorrerà dimostrare il dolo (intentio fraudis). Così se l’atto è oneroso, la consapevolezza andrà accertata anche nei riguardi del terzo avente causa (partecipatio fraudis).

La  pronuncia in commento mette in luce i limiti all’esercizio di questo strumento, la cui funzione consiste nel far dichiarare inefficace l’atto pregiudizievole realizzato dal debitore, sempre che esso abbia natura negoziale e non sia costituito dal pagamento di debiti scaduti. Tali limitazioni provengono dalla sua struttura “bifasica”, attesa la possibilità di ricorrere all’esecuzione forzata per espropriazione al fine di ricostituire quella garanzia alterata dall’atto dispositivo una volta dichiarato privo di effetti. La fase di merito è in rapporto di stretta presupposizione con quella esecutiva ed entrambe gioveranno al solo creditore che sia stato attore nel giudizio.

Le principali limitazioni si ricavano perciò in parte dall’oggetto, in altra parte dalla natura del credito per cui la revocatoria è azionata.

Sul piano oggettivo esse riguardano il compimento di atti dispositivi nulli ex art. 1418 c.c., in quanto per essi è sufficiente l’esperimento dell’azione di nullità;  di atti relativi a beni inalienabili o impignorabili, in quanto non incidono sulla garanzia patrimoniale generica; di comportamenti di pura inerzia posto che in questo caso il creditore attiverà il diverso strumento dell’azione surrogatoria al ricorrere delle altre condizioni indicate dall’art. 2900 c.c.

A questi limiti oggettivi si aggiungono però quelli ascrivibili alla natura del credito che si intende tutelare e che non potrebbe divergere, secondo la Cassazione, dal credito pecuniario. Se infatti il credito fosse di altra natura, come ad esempio accade per le prestazioni di facere, il titolare sarebbe già tutelato con i rimedi dell’esecuzione forzata in forma specifica senza necessità di una previa ricostituzione del patrimonio. Ciò trova conferma nella struttura bifasica della revocatoria che prima tende a ricostituire la massa patrimoniale e poi a legittimare l’espropriazione dei beni corrispondenti al valore del credito.

Un’ulteriore limitazione alla revocatoria tanto ordinaria quanto fallimentare viene ancora individuata nell’inammissibilità di queste azioni avverso soggetti già falliti. La natura costitutiva della sentenza di revoca renderebbe operativo il principio di cristallizzazione del passivo alla data di apertura del fallimento, con la conseguenza che se l’azione costitutiva non sia stata introdotta prima del fallimento dell’acquirente del bene, i creditori dell’alienante possono solo presentare domanda di insinuazione al passivo medesimo per il valore del bene oggetto dell’atto di disposizione astrattamente revocabile.


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Alessandro Baker

Laureato presso l'Università di Napoli Federico II con 110/110 e lode, praticante avvocato ed ex-tirocinante di giustizia ex. art. 73 D.L. 69/2013 nonché collaboratore presso la cattedra di Diritto Pubblico dell'Economia dell' Università Federico II.

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