Gli apporti della giurisprudenza nel processo di emersione del “diritto all’affettività dei diritti” dei detenuti

Gli apporti della giurisprudenza nel processo di emersione del “diritto all’affettività dei diritti” dei detenuti

Quando si parla di diritto all’affettività, in relazione alle persone ristrette si fa riferimento ad un diritto sommerso, per questo è fondamentale l’apporto della giurisprudenza per garantirne l’emersione e conseguentemente la tutela. Si parla di diritto all’affettività in riferimento alla condizione del ristretto, che si trova a subire una coazione non solo fisica, sulla base delle esigenze di ordine e sicurezza, ma anche una compressione dei propri diritti soggettivi, perché è «la legge a determinare quali legami siano meritevoli di tutela e, in relazione a tale scelta, a definirne tempi e modalità di godimento»[1]. A livello prodromico è necessario ricordare che il diritto all’effettività trova tutela, in fase di esecuzione penale, a livello nazionale, all’interno della Costituzione negli artt. 29, 30, 31 cost., nei quali si fa riferimento specificatamente al diritto alla famiglia, al diritto al mantenimento, all’istruzione e all’educazione dei figli, anche se avuti fuori dal matrimonio e al ruolo propulsivo della Repubblica nel proteggere il diritto all’effettività, considerandolo allo stregua di un diritto sociale. Tale diritto trova tutela nella normativa penitenziaria, negli artt. 1 comma 6, 15, 28, 29 comma 1 e 57 o.p. All’interno di tali articoli si ribadisce la necessità che il detenuto, mantenga rapporti con il mondo esterno in generale, per garantire il carattere rieducativo della pena (art. 27, comma 3 cost.), e con la famiglia in particolare, difatti l’art 29 o.p.  stabilisce che i detenuti possono informare del loro ingresso all’interno dell’istituto penitenziario i parenti o persone da loro indicate, mentre l’art 57 o,p. stabilisce che i benefici penitenziari e  le misure alternative per i detenuti possano essere richieste anche dai prossimi congiunti. In tale ottica fondamentali sono state le modifiche apportate dal Dlg.s 123/2018 agli artt. 14, 18 e 42 o.p. Negli artt. 42 e 14 o.p. si fa riferimento al principio della territorialità della pena, affermando che in caso di trasferimento «i soggetti sono comunque destinati agli istituti più vicini alla loro dimora o a quella della loro famiglia ovvero al loro centro di riferimento sociale» (art. 42 o.p.) e si ribadisce che «i detenuti e gli internati hanno diritto di essere assegnati a un istituto quanto più vicino possibile alla stabile dimora della famiglia o, se individuabile, al proprio centro di riferimento sociale, salvi specifici motivi contrari» (art. 14 o.p). Inoltre sono fondamentali anche i contributi forniti a livello sovranazionale, difatti basti pensare agli articoli 8 (“Diritto al rispetto della vita privata e familiare”) e 12 (“Diritto al matrimonio”) della CEDU (1950) e alle Regole di Bangkok, adottate dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 21 dicembre 2010. Fondamentale è il contributo della giurisprudenza nella definizione e nell’ampliamento di tale diritto.

Difatti la Corte di Cassazione ha spiegato, che in ambito penitenziario la tutela dell’affettività si debba considerare alla stregua di un diritto soggettivo, nel rispetto di quanto sancito dall’ art. 13, comma 2, cost. (Cass. Sez. I, sent. n. 52544/2014). Inoltre la Suprema Corte, attraverso un lungo iter giurisprudenziale, ha favorito l’emersione di un altro diritto, strettamente legato alla sfera dell’affettività: «il riferimento è alla tutela della paternità (o maternità) per i detenuti sottoposti a regime detentivo speciale attraverso l’accesso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita»[2], attraverso il richiamo a quanto indicato nella sentenza della Corte Costituzionale n.26/1999. Difatti, all’interno di tale pronuncia il Giudice di legittimità, tramite un’interpretazione costituzionalmente orientata, arriva ad affermare che lo stato detentivo non può costituire un limite al godimento di un diritto costituzionalmente garantito, a meno che non vi siano delle preminenti esigenze di ordine e sicurezza da considerare. Tuttavia, è necessario sottolineare come vi sia un ulteriore aspetto, legato all’affettività, rispetto a quale vi è un silenzio normativo, dettato, non da una svista, ma dalla considerazione dello stesso in maniera accessoria e residuale rispetto alla pena, ossia il diritto alla sessualità intramuraria.

A tutela di tale diritto è fondamentale ricordare l’ord. di remissione n. 129/2012, nella quale il Tribunale di sorveglianza di Firenze chiese al Giudice delle leggi di dichiarare l’incostituzionalità dell’art. 18, comma 2, o.p. nella parte in cui, imponendo il controllo a vista del personale di custodia sui colloqui, impediva la garanzia del diritto alla sessualità intramuraria. Difatti si deve ricordare, come le misure, adottate nell’ambito dell’o.p, come i permessi premio (artt. 15 e 28 o.p.; artt. 37 e 61 reg. esec), siano insufficienti a fornire tutela a tale diritto, in quanto dotati di carattere residuale e negati, sia ai soggetti condannati in via definitiva, che  ai recidivi. Inoltre vi è un ulteriore limitazione, rispetto al profilo soggettivo di tale diritto, in quanto viene garantito solo a coloro che hanno un coniuge o una convivenza stabile. Nonostante, a livello nazionale tale diritto non trovi tutela, è necessario ricordare, come invece abbia una solida protezione, sia a livello sovranazionale che a livello globale, anche in paesi fuori dall’area europea (come Armenia, Brasile, Croazia e Albania). Importante è anche il collegamento fatto dal giudice a quo, con quanto indicato nella sent. n.26/1999, nella parte in cui si fa riferimento al terzo comma dell’art 27 cost, laddove si sottolinea che non possono esistere trattamenti penitenziari, che creino condizioni incompatibili con il riconoscimento della soggettività di quanti si trovano nella restrizione della loro libertà. Nonostante, tali premesse il Giudice delle leggi ha dichiarato la questione inammissibile, con sent.n.301/2012, su base formale per il mancato controllo sulla rilevanza della questione e su base sostanziale a causa dell’impossibilità della Corte di operare, tramite interventi additivi in materie riservate alla discrezionalità del legislatore, ma stimolandone l’intervento, con apposito monito.

Infine, dobbiamo ricordare  l’ordinanza n. 23 del 2023, promossa dal Magistrato di sorveglianza di Spoleto, alla Corte costituzionale per dichiarare l’incostituzionalità dell’art. 18 o.p. «nella parte in cui non prevede che alla persona detenuta sia consentito, quando non ostino ragioni di sicurezza, di svolgere colloqui intimi, anche a carattere sessuale, con la persona convivente non detenuta, senza che sia imposto il controllo a vista da parte del personale di custodia, per contrasto con gli artt. 2, 3, 13, commi 1 e 4, 27, comma 3, 29, 30, 31, 32 e 117, comma 1 Cost., quest’ultimo in rapporto agli art. 3 e 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo». Sono diverse le ragioni che suffragano tale richiesta rispetto a quella del 2012. Difatti si ribadisce l’irrinunciabilità di un bilanciamento in concreto tra garanzia del diritto ed esigenze di sicurezza imposto, oggi, non solo dalla giurisprudenza costituzionale ma anche dalla normativa penitenziaria a seguito delle modifiche, apportato dal d.lgs. n. 123/2018. Inoltre, rispetto al 2012, vi è la violazione di nuovi parametri costituzionali: a) «l’astinenza sessuale coatta – spesso protratta per lunghissimi periodi di tempo – assume la fisionomia di una vera e propria violenza fisica e morale sulle persone sottoposte a restrizione della libertà e, come tale, rilevante anche ai sensi dell’art. 13, quarto comma, della Costituzione»; b) in virtù del nuovo quadro normativo, rappresentato dal D.lgs. n. 123/2018 il mancato rispetto di quanto sancito dall’art 19 di tale d.lgs., in materia di visite rappresenta una violazione dell’art. 3, primo comma della cost. Sulla base di tali premesse il Giudice delle leggi, prendendo atto dell’inerzia parlamentare a seguito del monito contenuto nella sua precedente pronuncia (n. 301 de 2012), potrebbe intervenire in via suppletiva giustificando l’intervento in ragione della mancata azione parlamentare protratta per dieci anni. Del resto, la Corte costituzionale negli anni ottanta ha espressamente riconosciuto la sessualità come diritto inviolabile della persona (Corte cost. sent. n. 161 del 1985, Corte cost. sent. n. 561 del 1987).

Tuttavia per ora il diritto all’intimità intramuraria permane nella categoria dei diritti non garantiti alla popolazione ristretta in senso assoluto.

 

 

 

 

 

[1] S. Talini, L’affettività ristretta, in “Dopo la riforma, i diritti dei detenuti nel sistema costituzionale” a cura di S. Talini e M. Ruotolo, Napoli, Editoriale scientifica, 2019, vol. II, p. 249.
[2] Ibidem, p. 257.

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Chiara Ottaviano

Dottoressa in giurisprudenza. Ho conseguito la laurea presso il dipartimento di Roma tre, ad ottobre 2022, con una tesi in diritto missionario, analizzando gli Acta Apostalicae Sedis dal 1918 al 1963. Attualmente, praticante avvocato in diritto civile, con attenzione al diritto di famiglia ed al diritto fallimentare. A settembre 2023 ho conseguito un Master di II livello in diritto penitenziario e Costituzione, presso il dipartimento di Roma tre, discutendo una tesi sulla condizione delle recluse transgender all'interno dell'amministrazione penitenziaria e sviluppando un grande interesse per la normativa concernente la comunità LGBTQAI+. Ho da poco terminato, presso il dipartimento di Giurisprudenza di Roma tre il corso in materia diritti umani e ONG curato in collaborazione con CILD. Attualmente collaboro come volontaria presso Antigone nell'ufficio del Difensore civico.

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