Gli effetti diretti ed indiretti della recidiva

Gli effetti diretti ed indiretti della recidiva

Sommario: 1. Natura dell’istituto – 2. Classificazione – 3. Regime giuridico – 4. Effetti diretti e indiretti della recidiva – 4.1. Effetti indiretti sul trattamento sanzionatorio – 4.2. Effetti indiretti sul tempo necessario alla prescrizione e alla riabilitazione – 4.3. Effetti indiretti sulla procedibilità dei reati – 4.4. Effetti sul versante penitenziario – 5. Bilanciamento – 6. Questioni aperte

 

1. Natura dell’istituto

L’istituto della recidiva, disciplinato all’art. 99 c.p., si configura come una circostanza aggravante che prevede, quale presupposto applicativo, che un soggetto, già condannato con sentenza definitiva passata in giudicato per un delitto non colposo, ne commetta un altro.

In punto di fondamento giustificativo dell’aggravio della pena comminato con la circostanza in discorso si è pronunciata la Corte di Cassazione a Sezioni Unite con la sentenza 24 febbraio 2011, n. 20798, la quale ha definito la recidiva quale circostanza aggravante soggettiva che richiede un accertamento nel caso concreto della relazione qualificata tra la personalità del soggetto agente e l’ultimo fatto dal predetto commesso, che deve risultare sintomatico, in relazione alla tipologia dei reati pregressi e all’epoca della loro consumazione, sia sul piano della colpevolezza che su quello della pericolosità sociale e perciò denotante un’inclinazione del recidivo meritevole di maggior rimprovero.

Evidentemente, una siffatta ricognizione preclude qualsiasi automatismo in sede applicativa ed anzi esige uno specifico obbligo motivazionale circa il rapporto tra il reato pregresso, il nuovo crimine commesso e l’incidenza dello stesso sulla propensione a delinquere del condannato, al fine di scongiurare la riviviscenza in questo ambito di un diritto penale d’autore.

La mera contestazione della recidiva, dunque, deducibile dal certificato del Casellario o da altre informazioni attinenti la vita del reo, non seguita da un riconoscimento di tal fatta da parte del giudicante non è sufficiente a conferirle esistenza giuridica.

2. Classificazione

Il codice penale adotta una classificazione dell’istituto distinguendo tra differenti forme di recidiva a seconda delle modalità con cui il condannato torna a commettere delitti dolosi, le quali incidono differentemente sul trattamento sanzionatorio riservato al reo.

Il primo comma dell’art. 99 c.p. disciplina l’ipotesi di recidiva cd. semplice, che occorre allorché il soggetto, dopo essere stato condannato con sentenza irrevocabile per aver commesso un delitto doloso, ne commette un altro di diverso tipo e ad oltre cinque anni dalla realizzazione del primo reato. L’aumento di pena ad opera del giudice di merito, in questo caso, è facoltativo e può avvenire nella misura fissa di un terzo.

Il secondo comma dell’art. 99 c.p. delinea invece tre diverse forme di recidiva cd. aggravata.

La prima ad essere enunciata è la recidiva aggravata cd. specifica, che si integra quando il nuovo reato commesso dal reo è della stessa indole rispetto a quello per cui egli è stato precedentemente condannato; se il nuovo reato è stato commesso nell’arco dei cinque anni successivi alla condanna si parla invece di recidiva aggravata cd. infraquinquennale; infine, integra la recidiva aggravata cd. vera il caso in cui il nuovo delitto doloso sia stato commesso durante o dopo l’esecuzione della pena, durante il tempo in cui il condannato si sottrae volontariamente all’esecuzione della pena.

In tutte e tre le ipotesi esaminate, l’aumento di pena è stabilito nella metà della pena prevista per il reato base.

Il terzo comma dell’art. 99 citato prevede l’ipotesi della recidiva cd. pluriaggravata, che si configura quando ricorrono congiuntamente più delle ipotesi di cui al comma secondo e determina un aumento della pena in misura variabile nel massimo della metà.

Il quarto comma, poi, riguarda il caso di recidiva cd. reiterata, che si verifica quando il delitto non colposo viene commesso da una persona già dichiarata recidiva. In questo caso, l’aumento di pena varia a seconda della tipologia di recidiva riconosciuta nella precedente sentenza di condanna e comporterà un aumento secco della metà per i casi di recidiva reiterata semplice e di due terzi per i casi di recidiva reiterata aggravata.

3. Regime giuridico

Sebbene la ripercorsa classificazione sia rimasta inalterata nel tempo, si sono invece successi vari interventi di modifica inerenti il regime giuridico dell’istituto.

Invero, sotto la vigenza del Codice Rocco, una volta accertati i presupposti formali per la sussistenza dell’aggravante (che, peraltro, ricorreva alla commissione di qualsiasi genere di reato), non era consentito al giudice alcun margine di valutazione circa l’applicazione dell’aggravio di pena, che era dunque obbligatorio ed automatico.

Solo con la riforma recata dalla l. n. 220 del 7 giugno 1974, il legislatore ha novellato l’art. 99 c.p. sostituendo al regime obbligatorio della recidiva la regola della facoltatività, di talché, a fronte della contestazione dell’aggravante, al giudice di merito veniva riconosciuto il potere di non aumentare la pena. Peraltro, la novella ha introdotto l’ultimo comma dell’art. 99 c.p., tutt’ora vigente, che prevede la fissazione di un limite agli aumenti di pena, rappresentato dal cumulo delle pene risultante dalle condanne precedenti alla commissione del nuovo reato.

Infine, con la riforma introdotta dalla l. n. 251 del 5 dicembre 2005 si regredisce all’adozione di un regime binario che, in parte, prevede la facoltatività dell’aggravio della pena e, in parte, introduce nuovamente forme di recidiva cd. obbligatoria.

In quest’ottica, stante l’utilizzo dell’espressione “può”, i casi di cui ai commi primo e secondo dell’art. 99 c.p. sono senza dubbio espressione di recidiva facoltativa, mentre è imprescindibile l’aumento disposto dal comma quinto dell’art. 99 c.p. per le ipotesi di cui alla lettera a) dell’art. 407 c.p.p., il quale non può essere inferiore ad un terzo della pena da infliggere per il nuovo delitto.

L’orientamento giurisprudenziale dominante (ex multis, Cass. S.U., Sentenza n. 35738 del 5 ottobre 2010) ha poi stabilito la facoltatività nell’an e l’obbligatorietà nel quantum delle ipotesi di cui ai commi tre e quattro dell’art. 99 c.p., per cui il giudice potrà decidere se applicare o meno l’aumento di pena ma, qualora opti per l’incremento, lo dovrà quantificare secondo i criteri predeterminati dal legislatore.

Invero, su questo assetto si è innestata la sentenza della Corte Costituzionale n. 185 del 23 luglio 2015, la quale ha dichiarato l’incostituzionalità del comma 5 dell’art. 99 c.p. limitatamente alle parole “è obbligatoria”, sul presupposto che la norma introducesse un vero e proprio automatismo sanzionatorio privo di ragionevolezza, basato sul mero titolo del nuovo reato commesso dal condannato, così di fatto espungendo dal codice l’ultima ipotesi di recidiva obbligatoria rimasta.

4. Effetti diretti e indiretti della recidiva

La dichiarazione di recidivo può comportare per il condannato ulteriori effetti rispetto agli aumenti di pena sopra descritti.

Infatti, agli effetti cd. primari, corrispondenti agli incrementi di pena tipici dell’aggravante, con entità diversificata a seconda del tipo di recidiva, si affiancano i cd. effetti indiretti che si inquadrano tra gli effetti penali della condanna.

4.1. Effetti indiretti sul trattamento sanzionatorio

Tra i principali effetti indiretti della recidiva rientrano innanzitutto conseguenze che riguardano il trattamento sanzionatorio riservato al condannato: è preclusa, ad esempio, la possibilità di impiegare i criteri di cui all’art. 133, comma 1, n. 3 e comma 2 c.p. ai fini dell’applicabilità delle circostanze attenuanti generiche nel caso di recidivo reiterato condannato per uno dei delitti di cui all’art. 407, comma 2, lett. a), c.p.p. nel caso in cui questi siano puniti con la pena della reclusione non inferiore nel minimo a cinque anni. Invero, il comma 2 dell’art. 62 bis c.p. ora esaminato è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 183 del 10 giugno 2011 relativamente alla parte in cui stabilisce che, ai fini dell’applicazione del primo comma, non si possa tenere conto della condotta del reo susseguente al reato.

Ulteriore effetto indiretto sul piano sostanziale è il restringimento, nel caso di recidivo reiterato, dell’operatività del bilanciamento tra circostanze, così come previsto dall’art. 69, comma quarto, c.p., che dispone il divieto di giudizio di prevalenza delle circostanze attenuanti sulla contestata recidiva. Sul punto sono intervenute a più riprese pronunce del Palazzo della Consulta, tutte volte a dichiarare l’irragionevolezza di previsioni normative che prevedono il divieto di prevalenza tout court di circostanze attenuanti codicistiche ovvero contenute in leggi speciali sulla recidiva di cui all’art. 99, comma quarto, c.p.: si tratta, nello specifico, delle sentenze n. 251 del 5 novembre 2012 e n. 74 del 7 aprile 2016 che si occupano rispettivamente delle circostanze attenuanti previste dall’art. 73, comma 5, D.P.R. n. 309 del 1990 e dall’art. 73, comma 7, D.P.R. n. 309 del 1990; della sentenza n. 105 del 18 aprile 2014 in relazione alla circostanza attenuante di cui all’art. 648, comma secondo, c.p.; della sentenza n. 106 del 18 aprile 2014 in riferimento all’art. 609 bis, comma terzo, c.p., nonché della pronuncia n. 205 del 17 luglio 2017 in riferimento alla previsione di cui all’art. 219, terzo comma, del R.D. 16 marzo 1942 n. 267.

Ancora, con riguardo agli effetti sanzionatori, deve rilevarsi, da ultimo, che l’art. 81, comma quarto, c.p. sancisce inoltre un limite minimo all’aumento di pena nel caso di reato continuato o di concorso formale.

4.2. Effetti indiretti sul tempo necessario alla prescrizione e alla riabilitazione

Altri effetti cd. indiretti, pur inerenti il piano del diritto sostanziale, incidono sui tempi di prescrizione.

Tutte le ipotesi di recidiva, salvo quella semplice, sono infatti circostanze a effetto speciale che, ai sensi dell’art. 157 c.p., vanno tenute in considerazione per determinare il tempo necessario a prescrivere il reato nel loro aumento massimo. Peraltro, ai sensi dell’art. 157 c.p., non si fa luogo a bilanciamento, e, pertanto, anche qualora la recidiva dovesse risultare equivalente o subvalente, la prescrizione rimarrebbe tale.

Ancora, la recidiva rileva anche in termini di aumento del tempo richiesto per ottenere la riabilitazione ai sensi dell’art. 179, comma secondo, c.p.. Per i recidivi infatti, la riabilitazione è concessa quando siano decorsi almeno otto anni, e non tre, dal giorno in cui la pena principale sia stata eseguita o si sia estinta e il condannato abbia dato prove effettive e costanti di buona condotta.

4.3. Effetti indiretti sulla procedibilità dei reati

Anche il particolare profilo della procedibilità viene inciso dall’aggravante in discorso e prova ne è la previsione di cui all’art. 649 bis c.p., che dispone la procedibilità d’ufficio per i fatti previsti dagli articoli 640, terzo comma, 640 ter, quarto comma, e per i fatti di cui all’articolo 646, secondo comma, o aggravati dalle circostanze di cui all’articolo 61, primo comma, numero 11, c.p. qualora ricorrano circostanze aggravanti ad effetto speciale.

Tale disciplina è stata introdotta dal D. Lgs. 10 aprile 2018, n. 36 che, se da un lato ha ampliato le ipotesi di procedibilità a querela dei reati contro il patrimonio onde evitare meccanismi repressivi automatici per i reati di non rilevante gravità, dall’altro, ha disposto la procedibilità d’ufficio di alcuni delitti in presenza, tra l’altro, di circostanze ad effetto speciale.

Ebbene, in base a quanto disposto dall’art. 12 delle Preleggi, deve necessariamente ritenersi inclusa tra queste la recidiva ex art. 99 commi 2, 3 e 4 c.p.. Sul punto, è intervenuta la Corte di Cassazione a S.U. che, con sentenza n. 3585 del 24 settembre 2020, ha chiarito che a tale interpretazione non costituisce ostacolo il fatto che la procedibilità dei reati contemplati dall’art. 649 bis c.p. possa astrattamente mutare in ogni momento del processo, con apparente deroga al principio di obbligatorietà dell’azione penale, atteso che lo stesso codice di rito, all’art. 129 c.p.p., consente al giudice di rilevare in ogni stato e grado del processo l’improcedibilità del reato e di dichiararla immediatamente.

Altresì superata è l’obiezione di chi riteneva che la recidiva non potesse incidere sulla procedibilità perché, così facendo, in caso di concorso di persone, ciò avrebbe comportato il mutamento di regime anche per i concorrenti non recidivi. Ebbene, l’assunto viene invero agevolmente superato facendo riferimento al disposto di cui all’art. 118 c.p., che prevede che le circostanze inerenti alla persona del colpevole siano valutate soltanto riguardo alla persona cui si riferiscono e non si estendono ai correi. Ne consegue pertanto che il riferimento alle circostanze aggravanti ad effetto speciale contenuto nell’art. 649 bis c.p. ai fini della procedibilità d’ufficio per i delitti ivi menzionati comprende anche la recidiva qualificata aggravata, pluriaggravata e reiterata, nonostante la sua applicazione sia rimessa alla discrezionalità del giudice.

4.4. Effetti sul versante penitenziario

Altri effetti ancora incidono sulla preclusione di alcuni benefici penitenziari ai condannati recidivi. Infatti, la l. n. 251 del 5 dicembre 2005 ha introdotto alcune limitazioni per i recidivi in ordine ai benefici penitenziari ed alle misure alternative alla detenzione, precludendone l’accesso o introducendo delle limitazioni nei presupposti.

Si tratta di alcuni interventi settoriali che hanno riguardato, oltre alla limitazione del numero di benefici ottenibili, la previsione di preclusioni più rigorose per l’accesso del condannato a forme di espiazione della pena fuori dal carcere, nonché l’esclusione dei recidivi dal meccanismo di sospensione automatica della pena prima dell’accesso in carcere.

Al fine di attenuare il rigore della predetta disciplina, il legislatore è invero intervenuto con la l. n. 94 del 9 agosto 2013 provvedendo ad una parziale epurazione degli automatismi che impediscono o rendono più difficile l’accesso ai benefici penitenziari ai soggetti condannati sulla scorta di presunzioni assolute di pericolosità.

Espressione di tale intento è innanzitutto la soppressione della lettera c) dall’art. 656, comma 9, del codice di rito che prevedeva il divieto di sospensione dell’ordine di esecuzione per i recidivi di cui all’art. 99, comma quarto, c.p.. Invece, sul versante delle modifiche apportate alla disciplina dell’ordinamento penitenziario rilevano in tal senso la soppressione del divieto della concessione della detenzione domiciliare a condannati recidivi ex art. 99, comma quarto, c.p. se la pena detentiva inflitta, anche se costituente parte residua di maggior pena, superi i tre anni di cui all’art. 47 ter, comma 1.1 ord. pen., e l’eliminazione del divieto di accesso alla detenzione domiciliare infrabiennale ex art. 47 ter, comma 1 bis, ord. pen..

In relazione ai rapporti tra affidamento in prova al servizio sociale e recidiva è invece intervenuta una pronuncia della Corte di Cassazione che, a Sezioni Unite, ha affermato che l’estinzione di ogni effetto penale prevista dall’art. 47, comma 12, ord. pen. così come modificato dalla l. n. 49 del 21 febbraio 2006, in conseguenza dell’esito positivo dell’affidamento in prova al servizio sociale, comporta che della relativa condanna non possa tenersi conto agli effetti della recidiva.

Occorre da ultimo rilevare come i Giudici Costituzionali siano intervenuti anche in tema di permessi premio, dichiarando costituzionalmente illegittimo l’art. 30 quater ord. pen. nella parte in cui non prevede che il beneficio del permesso premio possa essere concesso sulla base della normativa previgente nei confronti dei condannati che, prima dell’entrata in vigore della l. n. 251 del 2005, abbiano raggiunto un grado di rieducazione adeguato al beneficio richiesto. La preclusione della fruizione di benefici scaturita dal nuovo regime, ove applicata nei confronti di quanti abbiano già raggiunto uno stadio del percorso rieducativo adeguato al godimento dei permessi premio, finirebbe per tradursi in un arresto del trattamento rieducativo, in contrasto con il disposto di cui all’art. 27 Cost..

In palese contrasto con il medesimo parametro costituzionale anche i commi 1 e 7 bis dell’art. 58 quater ord. pen. introdotti dalla l. n. 251 del 2005, dichiarati illegittimi dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 35 del 21 febbraio 2008.

5. Bilanciamento

Atteso che la pena comminata all’imputato deve essere adeguata al reato commesso e avere funzione rieducativa del reo, è chiaro che il giudice, nell’operare il giudizio di bilanciamento tra circostanze ex art. 69 c.p., deve tenere conto sia degli effetti diretti che la recidiva ha sulla pena sia di quelli indiretti che l’aggravante avrà sulla fase dell’esecuzione.

Orbene, la recidiva non produce effetti sulla pena solo allorché, all’esito delle operazioni di bilanciamento, questa risulti subvalente rispetto alle circostanze attenuanti in gioco. In questo caso, infatti, sebbene il giudizio di bilanciamento abbia comunque esplicato la funzione che gli è propria, il giudicante, nel caso concreto, ha espresso un giudizio di disfunzionalità della recidiva rispetto alla pena di giustizia.

Diversamente, la circostanza aggravante della recidiva deve ritenersi, oltre che riconosciuta, anche applicata allorché nel bilanciamento tra circostanze aggravanti ed attenuanti essa produca la conseguenza di paralizzare l’effetto delle diminuenti considerate, sia quando risulta prevalere, sia quando invece vi equivale.

La Cassazione si è peraltro di recente espressa sul punto, rilevando come sia fondato su premesse non condivisibili quell’orientamento secondo il quale la valorizzazione dei precedenti penali  operata dal giudicante per il diniego delle circostanze attenuanti generiche ex art. 62 bis c.p. sia indice di un giudizio che riconosce la ricorrenza della recidiva, posto che la valorizzazione richiesta dall’art. 99 c.p. presenta requisiti ben più specifici e stringenti rispetto a quelli più genericamente indicati dall’art. 133 c.p.. Ebbene, in assenza di aumento della pena a tale titolo o di espresso giudizio di comparazione tra le concorrenti circostanze eterogenee, la recidiva non può dirsi applicata e, per l’effetto, non rileverà ai fini del calcolo dei termini di prescrizione del reato.

6. Questioni aperte

Con riferimento all’effetto sanzionatorio, l’art. 99, comma 6, c.p. prevede che, in nessun caso, l’aumento di pena per effetto della recidiva possa superare il cumulo delle pene risultante dalle condanne precedenti alla commissione del nuovo delitto non colposo. L’effetto sanzionatorio diretto della recidiva qualificata è quindi espressamente limitato da questa disposizione.

Una tale previsione ha tuttavia indotto gli operatori del diritto a domandarsi se tale limite all’aumento della pena correlato al riconoscimento della recidiva qualificata incida o meno sulla qualificazione della recidiva prevista dai commi 2 e 4 dell’art. 99 c.p. come circostanza ad effetto speciale e se, inoltre, influisca sulla determinazione del termine di prescrizione.

La questione, invero, è stata di recente rimessa alle Sezioni Unite con ordinanza della Seconda Sezione della Corte di Cassazione n. 4439 dell’08 febbraio 2022, la quale rileva, innanzitutto, l’esistenza di differenti orientamenti nella giurisprudenza di legittimità.

Un primo indirizzo, ben espresso dalla sentenza n. 44099 del 24 settembre 2019 – Graniello, ritiene che, per determinare la durata del termine di prescrizione nel caso in cui sia stata contestata e ritenuta la recidiva qualificata, bisogna fare riferimento all’aumento di pena previsto dai commi secondo, terzo e quarto dell’art. 99 c.p., con il temperamento derivante dall’applicazione del limite fissato dal comma sesto dello stesso articolo. Al fine di sostenere che la recidiva conserva la qualifica di circostanza ad effetto speciale e dunque la capacità di incidere sul termine di prescrizione ai sensi dell’art. 157 comma 2 c.p. anche nei casi in cui in concreto la stessa produce un aumento di pena inferiore al terzo, la citata sentenza richiama la consolidata giurisprudenza secondo cui, in caso di concorso tra circostanze ad effetto speciale, il fatto che la seconda circostanza produca in concreto un aumento inferiore al terzo non incide sulla sua qualifica. Detta pronuncia afferma, tuttavia, che l’aumento concreto di pena derivante dal temperamento degli effetti della recidiva incide anche sulla determinazione del termine di prescrizione, che deve essere esteso solo per un tempo corrispondente all’aumento temperato e non invece a quello “tipico”, che varia dalla metà ai due terzi.

In senso contrario, la sentenza n. 34949 del 03 novembre 2020 ha invece stabilito che la recidiva perde la qualifica di circostanza ad effetto speciale quando l’aumento di pena generato, per effetto del limite previsto dall’art. 99, comma sesto, c.p., sia in concreto inferiore ad un terzo.

Dopo aver descritto il suddetto quadro interpretativo, la Sezione rimettente rileva tuttavia che nessuna delle due esposte letture è appagante e prospetta una differente soluzione ispirata da una lettura sistematica del rapporto tra gli istituti coinvolti -prescrizione e sanzione-, osservando che, mentre la prescrizione è finalizzata a stabilire, in via generale ed astratta, quale sia il tempo durante il quale lo stato conserva l’interesse a perseguire le condotte penalmente rilevanti, le regole che attengono allo statuto della sanzione hanno il diverso scopo di adeguare la pena alla gravità concreta della condotta. Ebbene, secondo il Collegio il criterio moderatore di cui all’art. 99, comma 6, c.p. integra lo statuto della “sanzione” e non quello della “prescrizione”. Infatti, se il tempo di prescrizione compone la norma penale strutturandola e definendo, di fatto, la gravità della violazione, la relativa disciplina, come tutte le norme di diritto penale sostanziale, deve essere generale, astratta e prevedibile dal destinatario. Dunque, “ai fini della determinazione del termine di prescrizione, non dovrebbe essere assegnata nessuna rilevanza alla quantificazione concreta della pena inflitta, né nel procedimento in cui viene riconosciuta la circostanza, né nei precedenti processi che segnano il percorso criminale del recidivo”. La sentenza infatti è “legge del caso concreto” e non può concorrere a definire le norme penali; diversamente opinando si destrutturerebbe la disciplina della prescrizione, che diverrebbe “a geometria variabile”, poiché definita in relazione alla specifica biografia del recidivo.

Dunque, secondo la Corte, altro è la “quantificazione in concreto della sanzione”, che deve essere effettuata nel rispetto dei parametri e delle regole previste dal codice, tra i quali si annovera il limite indicato nell’art. 99, comma 6, c.p.; altro è, invece, “la determinazione del termine di prescrizione”, che non può dipendere da alcuna mediazione processuale e deve essere generale, astratto e prevedibile.

In conclusione, il Collegio rimettente ritiene dunque che quando l’art. 157, comma, 2 c.p. richiama l’aumento massimo di pena previsto per l’aggravante, non debba essere considerato il limite previsto dall’art. 99, comma, 6 c.p., ma solo l’aumento tipico previsto dai commi 2, 3 e 4 dell’art. 99 c.p.: in primo luogo, per la necessità di rispetto del principio di legalità; in secondo luogo, perché l’aumento massimo previsto in astratto per il termine di prescrizione relativo a reati aggravati dalla recidiva qualificata non può che essere quello “tipico e generale” indicato dai commi 2, 3, e 4 dell’art. 99 c.p. e non quello, “specifico ed individuale”, correlato alla quantificazione delle sanzioni già inflitte al recidivo all’esito di precedenti giudizi.

Sulla base di queste considerazioni, l’ordinanza di rimessione propone dunque una terza tesi e spetterà alle Sezioni Unite pronunciarsi.


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Antea Castelli

Avv. Antea Castelli. Laureata in Giurisprudenza con 110/Lode il 04.10.2017 presso l’Università degli Studi di Trento; Specializzata indirizzo giudiziario-forense presso le Università degli Studi di Trento e Verona; Tirocinante con esito positivo in relazione al tirocinio ex art.73 d.L. 69/2013, convertito con L.n. 98/2013 presso l’Ufficio GIP-GUP del Tribunale di Verona; Abilitata all’esercizio della professione di Avvocato il 16.10.2020 presso la Corte d’Appello di Venezia; Iscritta all'Albo dell'Ordine degli Avvocati Verona il 17.01.2022.

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