Gratuito Patrocinio per le vittime di violenza sessuale. La sentenza della Corte Costituzionale n. 1/2021

Gratuito Patrocinio per le vittime di violenza sessuale. La sentenza della Corte Costituzionale n. 1/2021

In data 11 gennaio 2021, la Consulta ha depositato la prima sentenza del 2021, relativa alla questione di legittimità costituzionale dell’art. 76, comma 4-ter, D.P.R. n. 115/2002, recante “Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia (Testo A)”.

La questione era stata promossa, in via incidentale[1], da parte del Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Tivoli, nel dicembre 2019.

Nell’ordinanza di rimessione, in particolare, il GIP di Tivoli rileva la violazione, da parte dell’art. 76, comma 4-ter, di una serie di norme di rilevanza costituzionale, nella parte in cui viene determinata, sulla base di un mero automatismo, l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato della persona offesa dai reati indicati dalla norma.

Trattasi dei delitti di cui agli artt. 572, 583-bis, 609-bis, 609-quater, 609-octies e 612-bis c.p., e, ove commessi in danno di minori, i reati di cui agli artt. 600, 600-bis, 600-ter, 600-quinquies, 601, 602, 609-quinquies e 609-undecies c.p., ossia diverse ipotesi di maltrattamenti in famiglia e violenza sessuale.

L’automatismo, in particolare, è dato dalla previsione in tali ipotesi delittuose, dell’impossibilità per il Giudice di operare una valutazione discrezionale in ordine ai limiti di reddito, espressamente previsti al comma 1 dell’art. 76.

Si rammenta, infatti, che, ai sensi del Testo Unico, l’istituto del patrocinio gratuito è previsto nell’ambito di ogni fase e grado di ogni processo (penale, civile, amministrativo, contabile, tributario e negli affari di volontaria giurisdizione), al fine di assicurare la difesa ai cittadini non abbienti che siano indagati, imputati o condannati, nonché che rivestano la qualifica di persona offesa da reato, danneggiato che intenda costituirsi parte civile o, ancora, responsabile civile e civilmente obbligato per la pena pecuniaria[2].

Ai fini dell’applicazione del beneficio in esame, la legge richiamata prevede delle soglie di reddito, al superamento delle quali il diritto ad accedere al patrocinio gratuito viene meno.

In particolare, trattasi di un reddito imponibile, ai fini dell’imposta personale sul reddito, risultante dall’ultima dichiarazione, non superiore a euro 11.493,82; nell’istanza di ammissione si dovrà, infatti, allegare una dichiarazione sostitutiva di certificazione attestante la sussistenza delle condizioni di reddito indicate[3].

L’Autorità competente, quindi, dovrà valutare, sulla base della documentazione presentata, la sussistenza dei requisiti previsti dalla normativa.

Tornando al caso di specie, invero, il procedimento instauratosi dinnanzi il GIP di Tivoli traeva scaturigine da una imputazione ex art. 609-bis c.p. (“violenza sessuale”), laddove la persona offesa del reato presentava istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato pur senza depositare la documentazione comprovante la sussistenza dei requisiti di reddito previsti dalla normativa.

Dietro sollecitazione da parte del GIP, il difensore contestava l’applicabilità dell’art. 76, comma 4-ter, D.P.R. n. 115/2002, che prevede, appunto, l’ammissibilità al patrocinio a spese dello Stato per la persona offesa dal reato di cui all’art. 609-bis c.p., non sussistendo la necessità di attestare le condizioni di reddito su menzionate.

Sul punto, si è recentemente espressa la Suprema Corte di Cassazione, chiarendo che la persona offesa da una delle suddette fattispecie incriminatrici ha diritto, per ciò stesso e in base alla propria qualifica, a beneficiare del patrocinio a spese dello Stato, a nulla rilevando la mancata dimostrazione delle condizioni di reddito previste dalla norma in esame; le ragioni di tale scelta legislativa sono da ricercare nella finalità di “assicurare alle vittime di quei reati  un accesso alla giustizia favorito dalla gratuità dell’assistenza legale[4].

Stante la portata di tale interpretazione del Supremo Collegio, l’Autorità competente è tenuta ad uniformarsi al richiamato orientamento, rendendolo di fatto “diritto vivente”

Invero, il Giudice rimettente, non condividendo l’indirizzo giurisprudenziale poc’anzi illustrato, nel sottoporre la norma in esame allo scrutinio della Consulta (ritenendo l’interpretazione della Suprema Corte non superabile, in mancanza di un indirizzo contrario), rileva una violazione degli artt. 3 e 24, comma 3, Cost., nei termini di seguito esposti.

Nell’ordinanze di rimessione, dunque, si evince come l’automatismo conseguente all’applicazione di una tale disciplina svuoti di ogni rilevanza procedurale e sostanziale l’autocertificazione reddituale prevista dalla normativa oggetto della presente analisi, risolvendosi, pertanto, in una vistosa disparità di trattamento, ex art. 3 Cost. scaturente dal fatto che il Giudice è spogliato del proprio sindacato in ordine alla sussistenza delle condizioni patrimoniali per l’ammissione al beneficio in esame e, dunque, vengono trattate in modo identico situazioni del tutto eterogenee sotto il profilo economico.

Tale approccio, peraltro, avrebbe inevitabili ricadute sul generale obiettivo di limitare la spesa pubblica in materia di giustizia, che andrebbe, a parere del rimettente, contemperata con le istanze di garanzia del diritto di difesa per i non abbienti.

Si legge, ancora, nell’ordinanza di rimessione che l’art. 24, comma 3, Cost., riconoscendo il diritto inviolabile di difesa, anche per i soggetti non abbienti, ha anche la funzione di prevenire ingiustificate estensioni dei benefici a coloro non meritevoli del sostegno economico.

Pertanto, l’ammissione indiscriminata al suddetto beneficio di chiunque si trovi nella qualità di persona offesa da uno dei reati indicati, può comportare la potenziale inclusione di soggetti non rientranti nella categoria dei non abbienti.

Ebbene, a fronte delle argomentazioni del Giudice rimettente, la Consulta chiarisce che la disciplina del beneficio del patrocinio a spese dello Stato è di natura processuale, presupponendo, quindi, un’ampia discrezionalità legislativa sul punto, “con il solo limite della manifesta irragionevolezza o arbitrarietà delle scelte adottate”[5].

Nel caso di specie, in particolare, la Corte non rileva alcuna violazione del principio di ragionevolezza o di parità di trattamento: la ratio della norma, evidentemente, è quella di favorire l’emersione e il contrasto dei fenomeni di violenza, necessità spesso frustrata dal contesto sociale e dallo stigma che ne consegue.

Nel porre, quindi, quale fine ultimo della normativa in esame la piena tutela della vulnerabilità delle vittime di tali ipotesi di reato, il Legislatore ha l’obiettivo di assicurare sostegno alla persona offesa, incoraggiandola a denunciare tali episodi.

Lungi dal rappresentare tale scelta un’ipotesi di esercizio arbitrario della discrezionalità legislativa, la Corte segnala come siano ravvisabili, nel nostro Ordinamento, altre ipotesi di ammissione al patrocinio a spese dello Stato, a prescindere dalla sussistenza delle condizioni di reddito, quali ad esempio nell’ambito del procedimento di espulsione dello straniero, laddove la finalità qui è rappresentata dall’esigenza di “non frapporre alcun ostacolo al perseguimento di questo fine[6].

La Consulta, poi, per quanto concerne la rilevata violazione dell’art. 24, comma 3, Cost., chiarisce che la norma richiamata ha quale finalità quella di assicurare ai non abbienti una difesa giurisdizionale dei propri diritti, non imponendo, invece, l’impossibilità di assicurare l’accesso alla giustizia ad altri soggetti, in nome di ulteriori interessi costituzionali parimenti meritevoli di tutela.

Infine, dalla pronuncia della Corte si evince anche che il beneficio in esame non rappresenta una presunzione di non abbienza delle persone offese dai reati indicati; al più, il meccanismo presuntivo sarebbe da ricollegare alla condizione di vulnerabilità delle vittime, ampiamente dimostrata e corroborata da dati di esperienza e studi scientifici in materia.

Pertanto, con la sentenza richiamata, la Corte Costituzionale dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 76, comma 4-ter, D.P.R. n. 115/2002, nella parte in cui determina l’automatica ammissione al patrocinio a spese dello Stato della persona offesa dai reati indicati nella norma.

 

 

 

 


Le seguenti fonti sono liberamente consultabili:
Cass. Pen., Sez. IV, sent. n. 13497/2017;
Cass. Pen., Sez. IV, sent. n. 52822/2018;
Corte Cost., sent. n. 1/2021
Corte Cost., sent. n. 97 del 2019;
Corte Cost., sent. n. 80/2020;
Corte Cost., sent. n. 47/2020;
Corte Cost., ordinanza n. 439 del 2004;
D.P.R. n. 115/2002;
https://www.cortecostituzionale.it/jsp/consulta/link/glossario.do

Note:
[1] Ossia promosso da parte del Giudice di un procedimento diverso, al fine di vagliare la legittimità costituzionale di una norma di cui si vuol fare applicazione in quel dato procedimento; si distingue dal giudizio in via principale, promosso invece dallo Stato avverso una Legge Regionale, e viceversa;
[2] Art 74, D.P.R. n. 115/2002;
[3] Art 76, D.P.R. n. 115/2002;
[4] Cass. Pen., Sez. IV, sent. n. 13497/2017; Cass. Pen., Sez. IV, sent. n. 52822/2018;
[5] Corte Cost., sent. n. 97 del 2019; Corte Cost., sent. n. 80/2020; Corte Cost., sent. n. 47/2020;
[6] Corte Cost., ordinanza n. 439 del 2004;

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Simona Maria Destro Castaniti

Simona Destro Castaniti ha conseguito la Laurea Magistrale in Giurisprudenza presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano (2018). Abilitata all'esercizio della professione forense da Novembre 2021. Ha svolto il tirocinio formativo ex art. 73 d.l. 69/2013, presso l'Ufficio GIP/GUP del Tribunale di Reggio Calabria. Specializzata in Diritto Internazionale, ha svolto diversi progetti all'estero (USA, Costa Rica, Kosovo) e ha partecipato a diversi progetti MUN (risultando vincitrice). Parla quattro lingue: italiano, inglese, spagnolo, portoghese.

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