Hate speech e violazione normativa anti-covid

Hate speech e violazione normativa anti-covid

Il presente contributo si propone di esaminare un fenomeno che, nell’epoca tecnologica, va sempre più diffondendosi, ossia l’hate speech.

Con l’espressione hate speech si è soliti far riferimento a quelle espressioni di violenza, odio o discriminazione rivolte a singoli o a intere fasce di popolazione attraverso l’utilizzo dei social.

I discorsi d’odio quindi vengono fatti in stanze virtuali aperte al pubblico e sono intesi spesso come libertà di manifestazione del pensiero di un individuo il quale, nello scrivere, non si rende conto, talvolta, che alcune espressioni utilizzate potrebbero essere in contrasto con principi e valori costituzionali.

Su questo fenomeno di così attuale diffusione è tornata a pronunciarsi la Cassazione nella sentenza nr. 1431/2023; in particolare la fattispecie su cui sono stati chiamati a pronunciarsi i giudici di piazza Cavour ha avuto ad oggetto la citazione in giudizio di un soggetto che avrebbe commentato un post su Facebook adducendo espressioni violente avverso un concittadino; in particolare l’offesa avverso la condotta tenuta dal concittadino veniva disposta quando il vice sindaco della città di Ferrara postava su Facebook  un video in cui veniva ritratto un cittadino che continuava a svolgere attività motoria all’aperto in violazione della normativa anti covid che vietava di uscire dalle proprie abitazioni se non per limitatissimi casi previsti. In particolare, il post del vicesindaco, essendo accessibile a tutti dalla propria pagina Facebook, aveva scatenato una serie di commenti aggressivi-offensivi nei confronti del concittadino che non rispettava la normativa anti-covid, il quale dichiarava di non poter smettere di esercitare tale attività perché affetto da un disturbo ossessivo compulsivo; e la sua condotta veniva criticata attraverso un commento da un concittadino il quale incitava  qualcun altro a investirlo.

Il cittadino che continuava a svolgere l’attività all’ aperto in contrasto con la normativa anti-covid citava in giudizio l’autore del commento e chiedeva il risarcimento del danno non patrimoniale per lesione alla propria reputazione e al proprio onore.

Tale richiesta di risarcimento veniva rigettata dal tribunale di primo e secondo grado, e quindi la questione veniva portata all’attenzione della Cassazione; la quale  ha confermato la decisione assunta dai giudici di primo e secondo grado, ritenendo che il commento postato al di sotto del post di Facebook  non sarebbe stato  lesivo della dignità e della reputazione del destinatario; in quanto apparivano evidenti le modalità sarcastiche con cui il commento è stato postato; inoltre la  condotta aggressiva non rientrerebbe nemmeno nelle ipotesi punibili di cui agli art. 595 e 612 c.p. difettando il requisito della serietà della minaccia e la capacità di intimidire  il soggetto passivo.

Si può concludere quindi affermando che, solo ove un commento a un post pubblico sia effettivamente lesivo dell’altrui dignità e reputazione del destinatario e abbia la capacità di intimidirlo è legittima la richiesta di risarcimento del danno non patrimoniale. In tutti gli altri casi, essendo ammessa la possibilità di poter commentare post pubblici su piattaforme – risultando tale diritto come libertà di manifestazione del pensiero- una critica o un commento sarcastico non legittimano il soggetto che lo subisce ad ottenere il risarcimento del danno non patrimoniale per lesione della propria reputazione.


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