I nuovi delitti di inquinamento e disastro ambientale. Legge n. 68/2015: profili di novità

I nuovi delitti di inquinamento e disastro ambientale. Legge n. 68/2015: profili di novità

INTRODUZIONE

Il presente elaborato ha ad oggetto la Legge n. 68/2015 recante disposizioni in materia di inquinamento e disastro ambientale.

Trattasi di un intervento legislativo di epoca recente dettato dalla necessità di introdurre nel panorama giuridico italiano una disciplina più organica e completa in materia ambientale e volta a superare quelle difficoltà nelle quali, molto spesso, incorrevano gli operatori del diritto allorquando, difronte a condotte di questo tipo, si rendeva necessaria una risposta sanzionatoria che fosse quanto più possibile adeguata ed efficace rispetto al caso concreto.

In particolare, delineato il contesto generale all’interno del quale si collocano le due nuove fattispecie di reato (inquinamento ex art. 452 bis e disastro ambientale ex art. 452 quater c.p.,) e chiarita la loro natura delittuosa, l’attenzione è stata posta sugli elementi costitutivi degli stessi, nonché sull’evento che caratterizza i delitti di nuovo conio e al verificarsi del quale il reato può dirsi consumato.

Tracciato l’ambito applicativo delle norme di riferimento e chiarite le condizioni necessarie ai fini della rilevanza penale della condotta, la presente ricerca ha inteso individuare e mettere in evidenza i punti di contatto fra le fattispecie tipizzate e il discrimen fra le due casistiche.

In ultimo, la lettura testuale e lo studio delle norme di riferimento hanno offerto numerosi spunti di riflessione, specie con riferimento alla terminologia utilizzata dal legislatore, sotto certi aspetti, in maniera inappropriata e di dubbia interpretazione per quanti operano nel mondo del diritto.

LEGGE N.68/2015: PROFILI DI NOVITÀ

La legge n. 68 del 22 Maggio 2015 ha inserito nel Libro II del Codice Penale il Titolo VI bis (artt.452 bis-452 quaterdecies), rubricato “dei delitti contro l’ambiente”.

Si è trattato di un intervento riformatore invocato da circa vent’anni ed originato dalla necessità di adeguare gli strumenti di tutela penale al proliferare di fenomeni aggressivi delle matrice ambientali, oltre che all’incremento dell’ingerenza delle consorterie criminali in tale settore.

Un ulteriore impulso verso la riforma è, altresì, derivato dalla constatazione che i meccanismi sanzionatori previgenti, in relazione ai c.d. disastri ambientali, risultavano essere alquanto inefficaci. Invero, prima dell’entrata in vigore della legge in esame, il sistema penalistico di protezione del bene giuridico “ambiente” era affidato ad una serie di disposizioni incriminatrici di carattere quasi esclusivamente contravvenzionale ed imperniato intorno ad un modello di illecito di mera disobbedienza. Siffatto apparato, specie sotto il profilo sanzionatorio, si è rivelato totalmente inefficace dal momento che, alla realizzazione di un simile reato, seguiva l’applicazione di una pena assai tenue, al limite del simbolico, con un termine prescrizionale breve, con conseguenze in punto di punibilità del tentativo ed estinzione del reato per oblazione e, sul versante processuale, rispetto al regime delle misure cautelari e dei mezzi di ricerca della prova.

La novella legislativa ha, dunque, avuto il merito di aver condotto la materia ambientale nell’alveo degli interessi e dei valori meritevoli di tutela, venendo in tal modo annoverata fra i valori fondamentali dell’ordinamento giuridico italiano, il linea con il panorama normativo europeo ed, in particolare con la direttiva 2008/99 CE.

Più specificatamente, con la direttiva appena richiamata, il legislatore comunitario, preso atto del notevole incremento registratosi negli ultimi anni di condotte illecite fortemente aggressive e pregiudizievoli per il bene ambiente, ha imposto ai Paesi membri l’adozione e l’introduzione di sanzioni maggiormente efficaci, proporzionate e dissuasive per tale tipologia di delitti, tanto per la loro forma dolosa quanto per quella colposa.

A seguito del recepimento della direttiva di cui sopra, avvenuto con il d.lgs. n.121/2011 e la legge del 2015, importanti modifiche sono state apportate sia alla disciplina codicistica, mediante l’introduzione di fattispecie incriminatrici ad hoc, sia al Testo Unico sull’ambiente. Le innovazioni apportate dalla novella legislativa sono suddivisibili in tre macroaree tematiche: la prima riguarda le fattispecie criminose introdotte nel Titolo VI bis; la seconda attiene alle circostanze aggravanti, alle norme di natura premiale, al regime di prescrizione e alla responsabilità degli enti; la terza, infine, riguarda la nuova disciplina dell’estinzione dei reati contravvenzionali e le modifiche della legge n.150/1992.

Fra le innovazioni introdotte dalla legge n.68/2015 meritevoli di menzione e di particolare rilievo risultano essere gli artt. 452 bis e quater, rispettivamente dedicati al delitto di “inquinamento” e “disastro ambientale”.

La prima delle disposizioni sopra richiamate costituisce la norma di apertura del nuovo Titolo VI bis del Codice Penale.

La norma de qua, rubricata inquinamento ambientale, “punisce con la pena della reclusione e della multa chiunque abusivamente cagiona una compromissione o un deterioramento significativo e misurabile: a) delle acque o dell’aria o di porzioni estese o significative del suolo, ovvero del sottosuolo; b) di un ecosistema, della biodiversità, anche agraria, della flora o della fauna”.

È altresì prevista una circostanza aggravante allorquando l’inquinamento è prodotto in un’area naturale protetta o sottoposta a vincolo paesaggistico, ambientale, storico o archeologico, ovvero in danno di specie animali o vegetali protette.

Da una lettura testuale della norma, si evince come il legislatore abbia voluto introdurre una fattispecie posta a presidio della salubrità dell’ambiente in quanto tale, a prescindere cioè dalla ravvisabilità, nelle condotte aggressive di tale bene, dei requisiti dimensionali necessari per l’incriminazione ex art. 434 c.p o, comunque, della lesione o della messa in pericolo di un bene ulteriore.

La norma segna pertanto, secondo parte della dottrina, il passaggio da una concezione antropocentrica dell’ambiente, in cui tale bene era tutelato in via indiretta essendo la sua salvaguardia strumentale alla tutela della salute pubblica, ad una visione ecocentrica in cui l’ambiente acquista dignità di autonomo oggetto di tutela.

La natura delittuosa attribuita alla nuova fattispecie di reato ha fatto sì che venisse apprestata, avverso le condotte in questione, una più efficace risposta sanzionatoria anche in virtù di quella disposizione che ha raddoppiato il termine prescrizionale per i delitti contro l’ambiente e per effetto della quale il delitto in esame si prescrive nel termine ordinario di dodici anni.

Proseguendo oltre nell’analisi del nuovo delitto di inquinamento ambientale, emerge come questo sia strutturato come reato di danno e a forma libera, con conseguente abbandono del modello incriminatorio basato sul c.d. “pericolo astratto”. In particolare, l’evento inquinante viene tipizzato con riferimento sia alle singole matrici ambientali (acqua, aria suolo ecc), sia all’ecosistema e alla biodiversità, nonché alla flora ed alla fauna.

La disposizione oggetto di analisi, fin dalla sua entrata in vigore, ha presentato diversi profili problematici legati alla genericità della terminologia utilizzata dal legislatore, con conseguenti difficoltà interpretative rispetto ad alcuni elementi costitutivi della fattispecie.

Invero, le prime criticità sono sorte con riferimento all’evento naturalistico al verificarsi del quale il reato può dirsi consumato. Poco chiara risulta essere la distinzione ed il discrimen fra la “compromissione” ed il “deterioramento” enucleato dalla norma. Tali nozioni, pur non assumendo valenza sinonimica come si evince dall’inequivoco tenore letterale della disposizione essendo i due termini unita dalla congiunzione “o”, sono entrambe indicative di un pregiudizio rectius danneggiamento, del bene giuridico in oggetto.

Più specificamente, la compromissione dell’ambiente implica uno squilibrio “funzionale” inteso come inidoneità del bene ad assolvere le proprie funzioni. Di contro, il deterioramento presuppone uno squilibrio “strutturale” connotato da un decadimento di stato o di qualità intrinseche dell’ambiente.

Sulla scorta di tali considerazioni, può ritenersi che il discrimen fra le due casistiche risieda nella circostanza per cui la “compromissione” individua un fenomeno assoluto, il “deterioramento”, invece, denota un peggioramento rispetto ad uno status ambientale preesistente.

Con riferimento all’evento della compromissione, occorre altresì sottolineare che, sebbene questo si traduca in un pregiudizio dell’ambiente, rimangono esclusi da tale nozione quegli eventi lesivi che, dato il grado di definitività degli stessi, connotano l’evento del diverso delitto di “disastro ambientale” di cui all’art. 453 quater c.p. il quale, fra gli elementi costitutivi della fattispecie, contempla “un’alterazione irreversibile o particolarmente onerosa” del bene giuridico.

Parimenti incerte appaiono le espressioni “significatività” e “misurabilità” introdotte dalla novella normativa. Ebbene, per avere rilevanza penale, è necessario che le condotte realizzate, tanto nella forma commissiva quanto omissiva, determinino una compromissione o un deterioramento significativo e misurabile dell’ambiente.

Da ciò si evince che la volontà del legislatore è quella di intervenire soltanto quando il danneggiamento del bene giuridico di cui sopra abbia superato una certa soglia ed, in particolare, quando lo stesso si sia tradotto in un danno incisivo e rilevante, nonché in un nocumento quantitativamente esprimibile.

Perplessità ancora maggiori ha suscitato l’impiego della clausola “abusivamente”, atta a definire il carattere illecito della condotta di inquinamento.

La limitazione della rilevanza penale al previo accertamento del carattere abusivo della condotta, secondo parte della dottrina, porterebbe ad escludere dall’ambito applicativo della norma tutti quei comportamenti che, pur integrando gli altri elementi costitutivi del reato ex art.452 bis c.p., siano stati posti in essere in presenza di un valido provvedimento autorizzatorio, riducendo in tal modo l’ambito applicativo del nuovo delitto di inquinamento ambientale che, rebus sic stantibus, sarebbe confinato unicamente alle condotte prive di titolo abilitativo.

Così interpretata la norma legittimerebbe in maniera paradossale, una sorta di “inquinamento autorizzato”. Siffatte distorsioni vengono superate da una lettura della norma diversamente orientata, nel senso di ritenere abusiva ogni condotta contra jus, ossia ogni condotta posta in essere in violazione dei principi generali stabiliti dalla legge o da altre fonti normative.

La giurisprudenza di legittimità ha accolto un concetto di condotta abusiva comprensivo sia delle attività svolte sine titulo e, cioè, clandestinamente, sia di quelle solo in apparenza legittime. In tal modo, è andato delineandosi un concetto di condotta abusiva piuttosto ampio, perché comprensivo non soltanto di quelle poste in essere in violazione di leggi statali o regionali, ma anche di prescrizioni amministrative.

Proseguendo oltre nell’analisi del reato de quo, emerge come la novella legislativa abbia delineato una fattispecie a forma libera, essendo incriminata ogni condotta cui sia causalmente riconducibile la realizzazione dell’evento. Ne consegue che, alla stregua di tutti i reati appartenenti alla suddetta categoria, la fattispecie in commento può essere realizzata anche da un “non agere”, ossia mediante una condotta omissiva a condizione che sul soggetto agente gravi un obbligo giuridico di attivarsi al fine di impedire l’evento.

Da ultimo, con riguardo all’elemento psichico, l’art. 452 bis c.p. contempla una fattispecie connotata dal dolo generico in ordine al quale è, altresì, configurabile il dolo eventuale. Orbene, il delitto in analisi si presta più abilmente ad essere ricondotto nell’alveo del dolo eventuale piuttosto che nelle altre forme di dolo, atteso che è più frequente il caso in cui il fenomeno inquinante sia la conseguenza di una condotta che non ha come scopo primario il danneggiamento del bene giuridico “ambiente”, seppure prevista dal soggetto attivo, piuttosto che ipotizzare che questi abbia agito con la precipua finalità di arrecare un danno al suddetto bene o all’ecosistema. Tuttavia, le difficoltà connesse all’accertamento, in sede processuale, della sussistenza di tale elemento soggettivo hanno portato il legislatore ad introdurre all’art. 452 quinques c.p. un’ipotesi di punibilità dei fatti di inquinamento anche a titolo colposo.

Ulteriore elemento di novità della Legge n. 68/2015 meritevole di attenzione è la fattispecie delittuosa delineata all’art. 452 quater c.p.

L’introduzione di siffatto delitto, rubricato “disastro ambientale” rappresenta, più dell’inquinamento ambientale, una delle innovazioni di maggior impatto della riforma.

Con l’introduzione di questo nuovo reato, il legislatore ha tentato di superare le difficoltà, nonché i limiti legati al c.d. “disastro innominato” ex art. 434c.p. a cui spesso la giurisprudenza ricorreva, talvolta impropriamente, fino a ricomprendere nel suo ambito applicativo anche quei casi di inquinamento e contaminazione progressivi non caratterizzati dalla sussistenza di un evento di forte impatto traumatico sulla realtà, né innescati da una causa di tipo violento.

Pertanto, al fine di colmare il vuoto di tutela creato dai limiti applicativi della norma sopra richiamata, il legislatore ha introdotto il reato di disastro ambientale che trova il suo riferimento normativo nell’art.452 quater c.p., il quale presenta diversi punti di contatto con la fattispecie di cui all’art. 452 bis c.p.

La norma de qua sanziona con la reclusione (…) “la condotta di chi cagiona un disastro ambientale che si configura allorquando si verifica un’alterazione irreversibile dell’equilibrio di un ecosistema, oppure (…) un’alterazione la cui eliminazione risulti particolarmente onerosa e conseguibile solo con provvedimenti eccezionali, ovvero un’offesa alla pubblica incolumità in ragione della rilevanza del fatto per l’estensione della compromissione o dei suoi effetti lesivi, ovvero per il numero delle persone offese o esposte al pericolo.”

Da un’interpretazione letterale della norma, emerge come questa condivida con il delitto di cui all’art. 452 bis c.p. la natura di reato di evento a forma libera, integrato dalla causazione del disastro di cui il legislatore enuclea una definizione attraverso la descrizione di tre fattispecie. I primi due eventi tipizzati dalla norma sono accumunati dalla previsione di un macrodanneggiamento al bene ambiente, consistente nell’alterazione di un ecosistema. Tali ipotesi hanno tradotto in previsione normativa quelle indicazioni che la Corte Costituzionale aveva individuato come i tratti distintivi del disastro.

In particolare, la Corte aveva identificato un aspetto dimensionale e uno offensivo. Con il primo si fa riferimento alla stabilità degli effetti dannosi (carattere irreversibile dell’alterazione) e alla difficoltà della rimozione degli stessi (particolare onerosità dell’eliminazione); con il secondo, invece, ci si riferisce all’idoneità che siffatto nocumento, di prorompente diffusione, ha di esporre a pericolo un numero indeterminato di persone. Invero, il terzo evento tipico, a differenza dei primi due, prescinde dall’aggressione al bene ambiente, riferendosi unicamente alla messa in pericolo della pubblica incolumità.

In questo modo, il legislatore sembra aver positivizzato l’ipotesi del c.d. disastro sanitario, i cui indici rilevatori sono da rintracciare nell’estensione della compromissione, negli effetti lesivi e nel numero di persone offese o esposte al pericolo. Tuttavia, una prima difficoltà interpretativa è sorta proprio con riferimento all’espressione “offesa alla pubblica incolumità”, nonché al significato da attribuire a quest’ultima.

Orbene, posto che oggetto delle previsioni incriminatrici non è il danno arrecato a soggetti ben individuati, bensì il pericolo al quale è stata esposta l’incolumità di una pluralità indeterminata di soggetti, larga parte della dottrina è incline nel ritenere che il termine “offesa”, impropriamente adottato dal legislatore, debba essere letto come mero pericolo. Ciò anche in virtù della mancata previsione, nel corpo della norma, della concretizzazione del pericolo in danno ai singoli individui che, se realizzati, darebbero luogo a diverse fattispecie delittuose, quali omicidio o lesioni personali, in concorso con il reato in esame, posto a presidio di un diverso bene giuridico.

Anche per il disastro ambientale è stato soppresso l’inciso relativo alla violazione di disposizioni legislative, regolamentari o amministrative ed è stato mantenuto il carattere “abusivo” della condotta.

Parimenti a quanto detto circa l’inquinamento, l’orientamento di legittimità prevalente è favorevole nel ritenere che l’inciso “abusivamente” denoti una clausola di illiceità espressa che subordina l’obbligo di incriminazione di determinate condotte alla condizione che siano illecite.

Altra questione particolarmente spinosa dell’art.452 quater c.p. è la clausola di sussidarietà espressa in essa contenuta che fa salvi i casi previsti dall’art. 434 c.p. La suddetta clausola sembra postulare una problematica coesistenza fra il vecchio e il nuovo disastro, attribuendo alla norma di nuovo conio il carattere della sussidarietà, con un ambito applicativo alquanto ridotto. Invero, sulla base dell’elaborazione giurisprudenziale formatasi intorno all’art. 434 c.p., sarebbero sussumibili entro tale fattispecie quelle condotte che si traducono in un’aggressione del bene giuridico ambiente e nella messa in pericolo dell’incolumità pubblica: di contro, nell’ambito applicativo dell’art. 452 quater c.p. dovrebbero essere ricondotte quelle sole condotte che si traducono nell’aggressione del bene giuridico ambiente.

In realtà, dai lavori parlamentari emerge come l’introduzione della clausola in questione sia finalizzata ad evitare, da un lato, ogni possibile “interpretatio abrogans” dell’art. 434 c.p. e, dall’altro, a scongiurare qualsivoglia forma di interferenza della nuova previsione con i processi già pendenti i quali, in virtù dei principi generali del Codice Penale primo fra tutti quello inerente la successione delle leggi penali nel tempo, dovranno essere risolti alla luce della normativa vigente al momento in cui il fatto è stato commesso.

Da ultimo, occorre sottolineare come anche nel disastro ambientale e, più precisamente, al co.2 della disposizione di riferimento, sia stata riprodotta la circostanza aggravante per l’ipotesi in cui l’evento in questione si verifichi in un’area tutelata o in danno di specie animali o vegetali protette, con un aumento della pena sino a due terzi, secondo il meccanismo previsto dall’art. 64 c.p. Di contro, una riduzione della pena sino ad un massimo di due terzi è prevista, ai sensi dell’art. 452 quinques c.p., nei casi in cui il disastro ambientale, al pari dell’inquinamento, sia la conseguenza diretta di una condotta colposa del soggetto attivo.

In conclusione può affermarsi che il legislatore, sebbene nell’introdurre fattispecie delittuose ad hoc abbia predisposto un impianto sanzionatorio ben più efficace e rigoroso rispetto al passato, ha tuttavia suscitato, in dottrina e in giurisprudenza, innumerevoli critiche senz’altro per la terminologia adoperata che lascia ampio spazio tanto alla libera interpretazione degli operatori del diritto, quanto alla discrezionalità degli organi giudicanti chiamati a pronunciarsi su questioni aventi ad oggetto le fattispecie delittuose testè esaminate.


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