I poteri dell’ANAC in tema di gravi violazioni del codice dei contratti. I nuovi regolamenti anticorruzione

I poteri dell’ANAC in tema di gravi violazioni del codice dei contratti. I nuovi regolamenti anticorruzione

Come è noto, il D.L. n. 90/2014, convertito in l. n. 114/2014, ha soppresso l’Autorità di vigilanza sui contratti pubblici, istituendo contestualmente l’ANAC, autorità che conserva e ampia i poteri di controllo sull’attività contrattuale delle p.a.

Le funzioni e i poteri dell’ANAC sono ad oggi contenute nel codice dei contratti pubblici (oggi d.lgs. n. 50/2016), fonte normativa che disciplina l’attività di diritto privato svolta dalle Amministrazioni.

All’indomani dell’approvazione del codice, attuativo di ben due direttive europee, diverse modifiche sono intervenute e numerose questioni sono rimaste irrisolte. La soluzione di alcune di queste è rimandata dallo stesso codice all’emanazione di regolamenti; un ruolo rilevante hanno e avranno, poi, i regolamenti interni che adotterà l’ANAC, volti a disciplinare l’esercizio del potere conferito all’Autorità.

Fra questi, è atteso il regolamento relativo ai poteri dell’Autorità in materia di precontenzioso, vale a dire in materia di ricorso contro i provvedimenti adottati dalle  stazioni appaltanti in violazione del codice dei contratti.

Come è noto, alla p.a. è consentito di servirsi di strumenti tipici del privato, sia per quanto attiene l’organizzazione (si pensi agli enti pubblici in forma societaria), sia per quanto riguarda l’azione amministrativa. In quest’ultimo ambito ricade la facoltà della p.a. di stipulare contratti col privato, contratti con cui l’Amministrazione persegue uno risultato analogo a quello che potrebbe ottenere adottando un atto di imperio ovvero contratti che permettono alla p.a. di assicurarsi un bene disponibile solo sul mercato. Nella prima classe rientrano i contratti con cui la p.a. acquista, per esempio, immobili da destinare a pubblica utilità, invece di espropriare un’area e costruirvi poi l’edificio, ovvero i casi di affidamento di servizi al privato; nella seconda rientrano, per esempio, i contratti di fornitura e acquisto di materiale o gli appalti per la realizzazione di opere su suolo pubblico.

Tale attività privata del soggetto pubblico resta però vincolata allo scopo del perseguimento dell’interesse generale fissato dalla legge. La contrattualistica degli enti pubblici soggiace, perciò, ai principii di economicità, efficacia, imparzialità, trasparenza, proporzionalità e tutela dell’ambiente, richiamati dal codice dei contratti. Ratio della normativa è la garanzia del corretto accesso dell’ente pubblico al mercato privato. Quando l’ente amministrativo si rivolge al mercato per ottenere un bene o un servizio, invero, esso dismette i suoi poteri pubblici, ma non cede il suo status di Potere pubblico, con due conseguenza inevitabili. In primo luogo, la concorrenza viene falsata, posto che un operatore (la p.a.) gode di un monopolio e di una posizione di preminenza rispetto all’altro. In seconda battuta, l’attività amministrativa, rivolgendosi al mercato, si espone al rischio di tradire la missione pubblicistica, se agisse per interessi egoistici e in assenza di criteri che orientino il contenuto dei contratti da stipulare, i canoni da seguire e la scelta dei contraenti. Per questo la normativa sui contratti pubblici tutela la parità di trattamento dei privati contraenti con la p.a. ma anche l’amministrazione da un uso del potere distorto e dannoso per la collettività. Si spiega così il fatto che il codice trova applicazione non solo nei casi in cui una Amministrazione stipuli un contratto con il privato che abbia per effetto un onere economico a carico della p.a., ma anche quando la p.a. assegni gratuitamente a privati vantaggi, senza ricorrere a una competizione che renda il bene contendibile (cfr. Cons. di Stato, sent. n. 4164/2017).

Fra i poteri di sorveglianza sui contratti della p.a. affidati all’ANAC rientra il c.d. controllo pre-contenzioso.

L’art. 211, comma 1 ter, cod. contr. pubbl., stabilisce che “L’ANAC, se ritiene che una stazione appaltante abbia adottato un provvedimento viziato da gravi violazioni del presente codice, emette, entro sessanta giorni dalla notizia della violazione, un parere motivato nel quale indica specificamente i vizi di legittimità riscontrati. Il parere è trasmesso alla stazione appaltante; se la stazione appaltante non vi si conforma entro il termine assegnato dall’ANAC, comunque non superiore a sessanta giorni dalla trasmissione, l’ANAC può presentare ricorso, entro i successivi trenta giorni, innanzi al giudice amministrativo”.

La disposizione prevede il potere dell’Autorità di adottare pareri circa gravi violazioni del codice e di ricorrere al giudice in caso di inosservanza del parere stesso.

La norma qualifica, quindi, l’ANAC come ente esponenziale, portatore di un interesse collettivo al corretto funzionamento del mercato. Deve allora ritenersi, pur nel silenzio della legge, che l’ANAC operi come ente destinatario di un interesse legittimo e non già come pubblico ministero del codice dei contratti; diversamente, infatti, la norma contrasterebbe con l’art. 24 Cost., perché introdurrebbe un’azione volta ad accertare l’interesse generale alla legalità e non a tutelare una posizione soggettiva, ancorché collettiva.

La principale questione posta dall’art. 211 cod. contr. pubbl. è quella relativa alla natura del parere dell’ANAC e, di conseguenza, dei rapporti fra art. 211 cod. contr. pubbl. e art. 21 nonies, l. n. 241/1990, in tema di annullamento degli atti illegittimi. Ci si chiede cioè se parere volto alla rimozione dell’atto illegittimo e annullamento dello stesso siano in rapporto di consequenzialità.

Come è noto, l’art. 21 nonies sancisce che il provvedimento amministrativo illegittimo può essere annullato d’ufficio dalla p.a. che lo ha emesso, se sussistono ragioni di interesse pubblico all’annullamento. La norma pone, poi, una serie di limiti al potere di annullamento in autotutela: limiti temporali, limiti dati dall’affidamento del privato al provvedimento, limiti tipologici che riguardano il contenuto ampliativo o restrittivo dell’atto da annullare.

Mentre l’art. 21 nonies cit. consente l’annullamento di tutti gli atti, l’art. 211 cit. ha portata ristretta e fa riferimento ai bandi e agli atti consequenziali a un contratto pubblico adottati da una p.a. aventi rilevante impatto. Relativamente a questi soli l’ANAC ha potere di emanare pareri, con conseguente annullamento del provvedimento da parte della stazione destinataria dell’avviso; l’ANAC non potrà quindi rilevare vizi relativi ad atti diversi o che non abbiano un “rilevante impatto” sull’operazione.

In secondo luogo, secondo l’art. 211 cit. i pareri dell’ANAC possono investire solo i contratti che presentino “gravi violazioni del presente codice” (co. 1 ter). Secondo l’art. 21 nonies cit., invece, qualsiasi vizio di legittimità dell’atto adottato consente di annullare il  provvedimento; si tratta, in particolare, dei di incompetenza, violazione di legge, eccesso di potere di cui all’art. 21 octies, l. n. 241/1990. Una lettura restrittiva dell’art. 211 cit. si esporrebbe, tuttavia, a non pochi dubbi di costituzionalità, perché porterebbe a escludere la rilevanza di vizi particolarmente incisivi sulla gara di aggiudicazione, quale l’esercizio disfunzionale del potere. Bisogna concludere che in casi di palese eccesso o sviamento del potere in corso di gara l’ANAC non potrà intervenire per rilevare il vizio e chiedere la rimozione del provvedimento o del contratto? In tal caso, in verità, si lascerebbe alla p.a. il potere di intervenire a propria discrezione su un atto fortemente lesivo della concorrenza o della trasparenza. Per dare una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 211 Cost., si dovrà ritenere, quindi, che il richiamo alle violazioni del “presente codice” include anche le violazioni di quei principi generali, ancorché extracodicistici, che il codice dei contratti recepisce: così, per esempio, i principi di trasparenza, parità di trattamento, buon andamento di cui all’art. 4 cod. contr. pubbl..

Ciò premesso, si possono ricostruire i rapporti fra annullamento d’ufficio e parere dell’ANAC.

Le soluzioni descrittive sono tuttavia molteplici.

Si può in primo luogo osservare che l’art. 211 cit. consentirebbe all’ANAC di segnalare la violazione alla stazione appaltante, la quale resterebbe titolare di un potere autonomo e discrezionale ex art. 21 nonies di annullare o non annullare l’atto.

Dal punto di vista della disciplina, la p.a. avrebbe facoltà di annullamento, pur nel rispetto dei requisiti e dei limiti motivazionali e temporali dettati dall’art. 21 nonies cit.. In sintesi, le due norme opererebbero in piani distinti, nel senso che la prima provocherebbe il potere di annullamento, senza però interferire col suo esercizio e coi suoi requisiti.

Secondo un’altra ricostruzione possibile, l’art. 211 cit. attiverebbe un potere di annullamento doveroso da parte della p.a. destinataria. La legge imporrebbe, così, un obbligo di eliminazione dell’atto senza procedere alla valutazione dell’interesse pubblico richiesto dall’art. 21 nonies; sarebbe infatti in re ipsa l’interesse pubblico a eliminare l’atto segnalato dall’ANAC.

Dal punto di vista delle norme applicabili, si giungerebbe a una conclusione opposta alla precedente: l’art. 211 cit. permetterebbe di scavalcare l’art. 21 nonies, derogando di conseguenza anche ai limiti e requisiti ivi previsti e imponendo un annullamento atipico e necessario.

Tale ricostruzione incontra, però, un importante limite storico e dogmatico. Come si evince dalla lettera della norma, contro l’atto della p.a. inosservante del parere l’ANAC può proporre ricorso innanzi al giudice amministrativo. Tale rimedio supera quello previsto dall’abrogato art. 211, comma 2, cod. contr. pubbl., il quale sanciva un potere dell’ANAC di sanzionare la p.a. inosservante. La doverosità dell’annullamento sembra superata, pertanto, dalla riforma dell’art. 211; da un punto di vista dogmatico, inoltre, si deve rilevare che il parere dell’ANAC oggi previsto dai commi 1 bis e 1 ter non è vincolante, ma è presupposto giuridico per l’impugnazione dell’atto viziato e non rimosso a seguito di segnalazione.

Il rapporto fra ANAC e stazione viene a inquadrarsi, perciò, in uno schema di collaborazione fra enti, da cui risulta l’esercizio un potere soggettivamente complesso di segnalazione-eliminazione. La p.a. inosservante non è, però, tenuta a dare seguito a un parere che potrà perseguire il suo effetto caducatorio solo con l’esercizio dell’azione giurisdizionale: si potrà parlare al riguardo, mutuando un’espressione della dottrina processual-civilistica, di attuazione, in via secondaria e sostitutiva, di interessi legittimi facenti capo all’ANAC, ciò che è l’esatto opposto dell’autotutela diretta.

Sul piano disciplinatorio, consegue che deve trovare applicazione l’art. 21 nonies cit., perché residua in capo alla p.a. il potere (e non l’obbligo) di annullamento; tuttavia, l’esigenza pubblicistica che porta all’eliminazione dell’atto deve indurre a ritenere presuntivamente presente l’interesse pubblico all’annullamento e a derogare i limiti temporali previsti dal 21 nonies. È evidente che la procedura prevista dall’art. 211 cit. richiede tempi – fissati dal codice – di gran lunga superiori a quelli previsti dal termine di annullamento (non oltre i 180 giorni) ex art. 21 nonies. Dovrà, per le stesse ragioni, trova attenuazione, nel giudizio di comparazione, il limite dell’affidamento del privato, considerata la rilevanza dell’interesse pubblico concorrente.

Ultimo punto da esaminare in tema di poteri ex art. 211 cod. contr. pubbl., sono le conseguenze della inosservanza del parere ANAC da parte della stazione appaltante.

L’art. 211, commi 1 ter e 1 bis, sancisce che l’ANAC può presentare ricorso contro l’atto viziato. Il codice non specifica, però, se tale potere di impugnazione sia doveroso o facoltativo. A favore della facoltatività sembra deporre l’argomento secondo cui l’azione costituisce una facoltà processuale e, in ultima analisi, un diritto costituzionalmente sancito (art. 24 Cost.): la nozione di diritto è quindi direttamente contrastante con quella di doverosità di esercizio. L’impugnativa, per di più, non potrà sostanziare nemmeno un potere pubblicistico in senso tecnico, dovendo perciò escludersi che l’ANAC sia tenuta a vincoli motivazionali o che l’omessa impugnazione configuri un mancato esercizio di potere doveroso; resta fermo, infatti, che l’ANAC agisce nell’interesse collettivo di cui è esponente. Si deve prendere atto, inoltre, che la bozza del regolamento ANAC sull’esercizio dei poteri di cui all’art. 21 commi 1-bis e 1-ter del d.lgs. 50/2106, pubblicata il 4 gennaio 2018, caldeggia la soluzione dell’azione facoltativa. Nel documento provvisorio si legge che “il ricorso è proposto previa delibera del Consiglio, su proposta dell’Ufficio competente, nei termini di legge” (art. 5.1) e che “il ricorso è proposto previa delibera del Consiglio, su proposta dell’Ufficio competente, nei termini di legge” (art. 6.1). Si tratta, dunque, di decisione collegiale dall’esito variabile. Ancor più evidente, sul punto, è l’art. 11 del documento, che rimette al Consiglio dell’Autorità apertis verbis la decisione sulla proposizione del ricorso avverso l’atto che si assume illegittimo.

Allo stato attuale, quindi, non resta che attendere il regolamento definitivo.


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Simone Risoli

Gennaio 1991, Avvocato, laureato nel 2015 presso l'Università degli Studi di Milano, già tirocinante presso le sezioni civili e penali del Tribunale di Milano e la Prima Corte di Assise, cultore della materia presso il Dipartimento Beccaria dell'Università degli studi di Milano, già collaboratore presso la Commissione Tributaria Regionale della Lombardia.

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