Il danno da discriminazione di genere: semplificazione probatoria e funzione sanzionatoria

Il danno da discriminazione di genere: semplificazione probatoria e funzione sanzionatoria

Sommario: 1. Difficoltà relative all’onere probatorio – 2. Carattere oggettivo della discriminazione – 3.  Semplificazione probatoria – 4.  Funzione sanzionatorio-punitiva del risarcimento del danno

 

1. Difficoltà relative all’onere probatorio  

Le vittime dei comportamenti lesivi incorrono in  maggiori difficoltà in relazione alla questione relativa all’onere probatorio delle azioni civili, per questa ragione  sia la normativa europea, che la normativa italiana, sono state adattate al fine di rendere meno gravoso l’onere probatorio. La Dir. 97/80/Ce ha apportato un importante contributo nella puntuale disciplina e specificazione dell’onere della prova nelle discriminazioni basate sul sesso, la disciplina de quo, è stata recepita nella Dir. 2006/54/Ce che all’art. 19, recita : “ Gli Stati membri secondo i loro sistemi giudiziari adottano i provvedimenti necessari affinché spetti alla parte convenuta provare l’insussistenza della violazione del principio di parità di trattamento ove chi si ritiene leso della mancata osservanza nei propri confronti di tale principio abbia prodotto davanti ad un organo giurisdizionale ovvero dinanzi ad un altro organo competente elementi di fatto in base ai quali si possa presumere che ci sia stata una discriminazione diretta o indiretta”. Si tratta di principi recepiti anche dalla Dir. n. 43 del 2000, all’art. 8 e dalla Dir. n.78 del 2000. Dunque le direttive prescrivono agli Stati membri di predisporre un quadro probatorio che imponga alla parte attrice, di produrre quei fatti dai quali possa intendersi l’illiceità della condotta. Da ciò si evince come il carico probatorio gravi sulla parte attrice, mentre l’istruzione dei fatti spetta all’organo competente. Il nostro ordinamento aveva già provveduto nel disciplinare un meccanismo probatorio maggiormente agevole con la l. n. 125 del 1991, sulla quale sono intervenute le modifiche del D. Lgs n.196 del 2000, successivamente sostituito dal codice delle pari opportunità. Fondamentale è per la nostra analisi  l’art. 40 del D. lgs n. 198/2006, il quale prescrive : “ Quando il ricorrente fornisce elementi di fatto, desunti anche da dati di carattere statistico relativi alle assunzioni, ai regimi retribuitivi alla assegnazione di mansioni e qualifiche, ai trasferimenti, alla progressione in carriera ed ai licenziamenti, idonei a fondare in termini precisi e concordanti, la presunzione dell’esistenza di atti, patti o comportamenti discriminatori in ragione del sesso, spetta al convenuto l’onere della prova sull’insussistenza della discriminazione”. Sul punto è intervenuta la Corte di Cassazione con la sentenza n.25543 12/10/2018, specificando che : “In tema di comportamenti datoriali discriminatori, l’art. 40 del d.lgs. n. 198 del 2006 – nel fissare un principio applicabile sia nei casi di procedimento speciale antidiscriminatorio che di azione ordinaria, promossi dal lavoratore ovvero dal consigliere di parità – non stabilisce un’inversione dell’onere probatorio, ma solo un’attenuazione del regime probatorio ordinario in favore del ricorrente, prevedendo a carico del datore di lavoro, in linea con quanto disposto dall’art. 19 della Direttiva CE n. 2006/54 (come interpretato da Corte di Giustizia Ue 21 luglio 2011, C-104/10), l’onere di fornire la prova dell’inesistenza della discriminazione, ma a condizione che il ricorrente abbia previamente fornito al giudice elementi di fatto, desunti anche da dati di carattere”.

2. Carattere oggettivo della discriminazione

Emerge il carattere oggettivo della discriminazione e ciò comporta che l’istruzione dell’organo competente è finalizzata ad accertare quale sia la tipologia di atto posto in essere, prescindendo dall’analisi dello stato soggettivo psicologico dell’autore dell’atto lesivo. Si tratta di un aspetto che è stato mutuato da quella che è l’essenza del concetto dell’antisindacalità, ma che contribuisce ad un importante semplificazione dell’onere probatorio. Non è stata molto semplice riuscire ad individuare in concreto il regime probatorio, in quanto anche se appare essere richiamato il meccanismo delle presunzioni, la formulazione non è molto limpida, ed è stata proprio la mancanza di chiarezza che ha fatto in modo che nel corso del tempo, numerosi giuristi abbiano fornito diverse interpretazioni dottrinali1.

3. Semplificazione probatoria

Occorre quindi soffermarsi su quella che è la  semplificazione probatoria, la quale può essere realizzata tramite una diversa distribuzione dell’onere probatorio, sia con l’attribuzione della capacità probatoria a fatti che nè sono privi per natura oppure secondo alcuni autori 2,  la tecnica legislativa utilizzata sarebbe da accostare alle c. d presunzioni legali relative, per le quali,  i fatti secondari provati vengono considerati direttamente equivalenti al fatto costitutivo; con la necessaria conseguenza che l’insussistenza di questo si presenta quale fatto impeditivo che spetta all’altra parte dimostrare. Secondo la Barbera appare molto più plausibile ritenere che non possa parlarsi di un’inversione dell’onere probatorio di natura sostanziale, in quanto tale regime può essere prescritto solo dalla legge, che in deroga al principio dell’art. 2967, c. 1 c. p. c. attribuisce al convenuto l’onere di provare fatti contrastanti rispetto a quelli che sono stati dedotti dall’attore, infatti secondo quanto stabilisce l’art 5 della l. n. 604/1966 sui licenziamenti individuali, appartiene al datore di lavoro il dovere di fornire la prova della sussistenza della giusta causa o del giustificato motivo di licenziamento. Nel caso in oggetto invece il carico probatorio del convenuto si determina solo se l’autore abbia a sua volta fornito elementi anche relativi ad accadimenti secondari, che l’organo competente è tenuto ad esaminare secondo un giudizio di verosimiglianza. Si riporta in materia una recente sentenza della Corte d’appello di Roma, che afferma: “In tema di discriminazione, ai fini della c.d. dimostrazione “alleggerita”, richiesta nella materia dalla Suprema Corte, deve considerarsi che la formula originaria usata dall’art. 4 del D.Lgs. n. 216/2003, era sensibilmente diversa da quella attuale: tra l’altro, l’art. 28 D.Lgs. n. 150/2011, ha eliminato l’implicito riferimento all’art. 2729 c.c. Sembra quindi che il ricorrente sia sollevato dall’onere di fornire la piena prova degli “elementi di fatto” che deduce nel ricorso introduttivo, e che la semplice deduzione di fatti significativi sia sufficiente a far scattare l’inversione dell’onere della prova ed a porre a carico del convenuto l’onere di provare l’insussistenza della discriminazione, nella fattispecie in esame non assolto”3. Secondo Sassani la casistica giudiziaria è assai scarna e non ha contribuito nell’apportare dei chiarimenti, in quanto la giurisprudenza ha riadattato l’interpretazione della norma al caso concreto preso in esame arrivando così di volta, in volta, a soluzioni differenti ed addirittura contrastanti.4

Nel caso della discriminazione indiretta, il convenuto viene onerato della dimostrazione che gli atti, i patti, i comportamenti e le prassi siano tali da mettere i lavoratori appartenenti ad un determinato sesso in particolari condizioni svantaggiose e riguardano quelli che sono i requisiti essenziali dello svolgimento dell’attività lavorativa” e che la loro adozione è strumentale rispetto al perseguimento di un obiettivo legittimo. Nel caso della responsabilità contrattuale l’inadempimento rileva oggettivamente, quindi non vi è la necessità di prova della colpa o del dolo, il che è coerente con la definizione normativa delle fattispecie discriminatorie, che non sono qualificate dalla sussistenza di un elemento psicologico da parte del soggetto agente. Ma anche se in via del tutto marginale l’elemento psicologico ha un certo ruolo, in quanto nel caso in cui si tratti di discriminazione dolosa non si può limitare il danno risarcibile a quello prevedibile al momento della nascita dell’obbligazione, come prescritto nel nostro codice civile. Nel caso in cui il lavoratore agisca in via extracontrattuale, sarà sempre tenuto ad allegare e provare il fatto illecito ovvero l’atto o il patto o il comportamento discriminatorio. Egli sarebbe tenuto nel fornire anche la dimostrazione del dolo o della colpa, ma nel caso di discriminazione, questo è un onere che si ritiene escluso, in quanto come ben sappiamo la discriminazione rileva oggettivamente a prescindere del dolo o della colpa del soggetto agente. Quindi nel caso in cui sia esperita l’azione di danno sia in via contrattuale che extracontrattuale, il lavoratore dovrà dare specifica allegazione e dimostrazione anche se presuntiva del danno subito, in tutte le componenti, patrimoniale, non patrimoniale, biologico, esistenziale, morale soggettivo. Fatta salva relativa applicazione dell’art 1226 Cod. civ per l’ammontare 5.

4.  Funzione sanzionatorio-punitiva del risarcimento del danno

Una nuova frontiera in materia di risarcibilità dei danni è stata aperta da una recente pronuncia della Cassazione, a proposito di quelli che sono i “danni punitivi”, la quale prevede: “Il riconoscimento di una sentenza estera di condanna al risarcimento dei danni c.d. punitivi non è incompatibile con l’ordinamento italiano, alla luce della funzione anche deterrente e sanzionatoria della responsabilità civile. La delibazione, in tal caso, presuppone che il provvedimento straniero sia stato reso su basi normative che garantiscono la tipicità delle ipotesi di condanna, la prevedibilità e i limiti quantitativi della medesima, dovendosi avere riguardo, sempre in sede di delibazione, agli effetti della sentenza e alla loro compatibilità con l’ordine pubblico”6.

Tale sentenza ha aperto la possibilità al danneggiato di poter ottenere un risarcimento non solo tradizionalmente compensativo, ma anche “sanzionatorio-punitivo”. Si sposa la tesi dottrinale che individua nel danno da discriminazione di genere, una componente sanzionatoria e punitiva oltre che compensativa.

Elementi a supporto di tale tesi, possono essere: “-la previsione di una decisione del giudice a contenuto attivo quale il “piano di rimozione” di cui all’art. 36, comma 2, evidentemente correlata ad istanze più generali; -la legittimazione attiva del soggetto istituzionale, a dimostrazione della coesistenza di un interesse collettivo superindividuale, che si aggiunge a quello individuale, in chiave pluri-offensiva e che non necessariamente trova soddisfazione con il risarcimento; -la previsione della c.d. vittimizzazione e cioè la previsione di una maggiorazione del danno in caso di ritorsione: qui si estende il piano dell’indagine giudiziale ad un terzo rispetto al rapporto contrattuale e ne inferisce conseguenze ai fini della graduazione della responsabilità aggravata dell’agente; – la rilevanza della discriminazione collettiva come emerge dalla giurisprudenza nazionale ed euro unitaria a dimostrare che la liquidazione del danno non viene correlata alla concreta lesione del singolo denunciante”7. La Corte di Giustizia si è pronunciata in materia di risarcimento del danno derivante da discriminazione di genere, stabilendo che qualora non sia prevista all’interno dell’ordinamento nazionale la liquidazione dei danni punitivi alla persona danneggiata, la normativa europea non attribuisce al giudice nazionale una discrezionalità simile, anche se il danno da discriminazione deve essere risarcito in modo integrale, facendo si che il risarcimento sia non soltanto riparatorio, ma adempia alla funzione dissuasiva. Emerge quindi, la portata collettiva e generale del danno de quo.

 

 

 

 


1 M. BARBERA, Il nuovo diritto antidiscriminatorio. Il quadro comunitario e nazionale., Milano,2010, p. 553.
2 In Ibidem.
3 Corte appello Roma sez. lav., 12/03/2018, n.111 fonte in www. DeJure.it
4 B. SASSANI L’onere della prova in M. BARBERA a cura di La riforma delle istituzioni e degli strumenti e delle politiche di pari opportunità, Padova ,2003, p. 740.
5 Cass SS. UU. 24 marzo 2006 n. 6562: “Il lavoratore che chiede di essere risarcito per aver subito un demansionamento o una dequalificazione, deve allegare e provare di aver subito realmente le conseguenze pregiudizievoli denunciate”. Fonte in www. DeJure.it
6 Cassazione civile sez. un., 05/07/2017, n.16601 in www. DeJure.it
7 M. CERBONE, La discriminazione di genere nei rapporti di lavoro: tecniche processuali di tutela e contenuto intangibile dei diritti, in Riv. Dir. Fond., Fascicolo 2/2020, p. 1181

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Serafina Sabrina Falco

Laureata in Giurisprudenza presso l'Università della Calabria con una tesi in Diritto del Lavoro, attualmente praticante legale e masterizzanda in Diritto del Lavoro, Welfare e Servizi per l'impiego.

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