Il danno da perdita del rapporto parentale: dottrina ed orientamenti giurisprudenziali recenti

Il danno da perdita del rapporto parentale: dottrina ed orientamenti giurisprudenziali recenti

Il danno da perdita del rapporto parentale è stato elaborato dalla giurisprudenza in seguito ad una rinnovata visione del danno da morte, di natura non patrimoniale, il quale in passato si riteneva riguardasse il solo danneggiato in via primaria, ovvero la persona vittima dell’evento lesivo.

Col tempo, giurisprudenza e dottrina hanno iniziato a considerare anche i c.d. “danni da rimbalzo”, ovvero quei danni che l’evento lesivo provoca nei confronti degli stretti congiunti del danneggiato in via primaria, detti anche “vittime secondarie”.

Valorizzando il legame esistente tra il defunto ed i suoi stretti congiunti e, perciò, lo stravolgimento che l’evento lesivo abbia loro provocato, la giurisprudenza ha teorizzato il danno non patrimoniale da perdita del rapporto parentale la cui ratio risiede nella privazione e nel vuoto determinato dalla definitiva perdita del godimento del congiunto nonché dall’irreversibile distruzione di un sistema di vita basato sull’affettività, sulla condivisione e sulla quotidianità dei rapporti.

Il fondamento di questa rinnovata visione dei prossimi congiunti si rinviene negli articoli 2, 29, 30 della Costituzione, che riconoscono la famiglia quale formazione sociale, ed altresì nell’articolo 8 della C.E.D.U., in quanto il bene giuridico tutelato è l’intangibilità della famiglia.

Inizialmente, il danno da perdita parentale derivava esclusivamente dall’appartenere alla famiglia nucleare, situazione giuridica la quale determina l’insorgere, in capo ai membri della stessa, diritti ed obblighi reciproci, non solo economici ma anche affettivi.

Di recente, una questione che si è posta all’attenzione della giurisprudenza è quella relativa alla possibilità di estendere il diritto al risarcimento del danno da perdita parentale anche a soggetti che si trovino al di fuori della famiglia nucleare, ovvero ai membri della famiglia c.d. “allargata” (si pensi, ad esempio, al legame affettivo tra nonno e nipote).

Sul punto, la giurisprudenza ha aderito nel tempo a due orientamenti alternativi.

In un primo momento la Cassazione ha ancorato il risarcimento a situazioni giuridiche certe per evitare l’eccessivo dilatamento della cerchia dei soggetti aventi diritto, sostenendo che potessero essere risarciti solo gli ascendenti ed i discendenti conviventi con la vittima dell’evento lesivo. Alla luce di tale posizione, presupposto perché potesse ottenersi il risarcimento era, dunque, quello della convivenza tra vittima primaria e congiunto richiedente il risarcimento.

Tuttavia, tale orientamento non solo non pare in linea con l’ordinamento giuridico italiano, il quale sembra invece sposare il concetto di famiglia “nucleare”, ma altresì appare troppo rigidamente ancorato ad un dato formale – quello della convivenza sotto lo stesso tetto – senza preoccuparsi di indagare il reale legame esistente tra i soggetti coinvolti. Vi sono casi, infatti, di persone che convivano senza nutrire alcun affetto e, viceversa, altre fortemente legate da vincolo affettivo sebbene non conviventi.

Ed infatti, nel 2017, la Cassazione ha superato il proprio precedente orientamento subordinando il risarcimento alla prova dello sconvolgimento affettivo, non mancando di osservare come possano esserci convivenze di comodo e, al contrario, rapporti affettivi molto stabili tra soggetti non conviventi.

Così si è espressa di recente la Cassazione – che ha accolto sul punto il ricorso della nonna di un ragazzo deceduto in un incidente stradale avverso la decisione di merito per la quale solo la convivenza consentiva di esteriorizzare l’intimità delle relazioni di parentela, anche allargate, e far assumere rilevanza al collegamento tra danneggiato primario e secondario – chiarendo che “in tema di risarcimento del danno derivante da sinistri stradali, il risarcimento chiesto dai nonni della vittima non può essere bocciato adducendo come circostanza impediente la semplice assenza di convivenza con il nipote deceduto […] il rapporto di convivenza non assurge a connotato minimo di esistenza, ma può costituire elemento probatorio utile a dimostrare l’ampiezza e la profondità dei rapporti familiari […] non essendo condivisibile limitare la <società naturale>, cui fa riferimento l’articolo 29 Costituzione, all’ambito ristretto della sola cd. <famiglia nucleare>” (Cassazione civile sez. III, 04/10/2018, n.24162).

In particolare, quanto all’onere della prova, i giudici di legittimità hanno chiarito che, affinché possa configurarsi il danno da perdita parentale, è necessario indagare rigorosamente sulla presenza di una serie di circostanze dalle quali possa desumersi la sussistenza di un vincolo affettivo esistente al momento del verificarsi dell’evento lesivo e, di conseguenza, lo sconvolgimento dell’“agenda di vita” derivante dalla morte del congiunto.

In assenza di elementi di prova oggettivi e di sicuro spessore, non possono essere sufficienti a tale scopo apodittiche e generiche affermazioni dei parenti della vittima circa il forte legame affettivo esistente con il congiunto defunto, la sua vitalità, il ruolo svolto in famiglia, la coabitazione, né la vicinanza del vincolo parentale.

Ad analoghe riflessioni sono stati chiamati i giudici di legittimità rispetto a persone affettivamente legate da rapporti amicali o di tipo para-coniugale, ovvero non formalizzati; in tal caso, il fondamento del loro eventuale diritto al risarcimento del danno da perdita affettiva sarebbe da rinvenire nell’articolo 2 della Costituzione.

Mentre i giudici italiani sembrano concordi nel negare che la morte di un amico possa far sorgere il diritto al risarcimento del danno in parola – perché, da un lato, si allargherebbe oltremisura la cerchia dei soggetti che potrebbero vantare pretese monetarie e, dall’altro, perché sarebbe alquanto difficile ottenere la prova dello stravolgimento di vita, presupposto imprescindibile per ottenere il risarcimento – quanto ai rapporti para-coniugali, al contrario essi hanno aperto alla possibilità di riconoscere il risarcimento a persone legate da stabile vincolo sentimentale, ancorché il loro rapporto non sia stato formalizzato (è il caso tipico del fidanzato o del convivente) rilevando come ciò che conti sia la programmazione di una comune vita futura, con onere della prova in capo al danneggiato secondario.

Altra questione è quella relativa alla quantificazione del danno da perdita parentale, rispetto alla quale la giurisprudenza è concorde nel ritenere che l’allegazione e la prova di circostanze ulteriori (quali la durata e l’intensità del vissuto, la composizione del restante nucleo familiare, la personalità individuale dei familiari danneggiati, la loro capacità di reazione e sopportazione del trauma ed ogni altra circostanza del caso concreto) incida non sull’an, ma sul quantum del risarcimento, che deve essere integrale per ciascuno degli stretti congiunti e deve comprendere sia il danno morale – da identificare nella sofferenza interiore soggettiva patita sul piano strettamente emotivo, non solo nell’immediatezza dell’illecito, ma anche in modo duraturo, pur senza protrarsi per tutta la vita – sia quello dinamico-relazionale, consistente nell’alterazione delle condizioni e abitudini, quanto meno interne al nucleo familiare, che resta privo di uno dei suoi componenti, di vita quotidiana (ex plurimis, Corte appello L’Aquila, 28/11/2018, n.2214)

La liquidazione del danno non patrimoniale in via equitativa resta affidata ad apprezzamenti discrezionali del giudice di merito, non sindacabili in sede di legittimità purché la motivazione della decisione dia adeguatamente conto del processo logico indicando i criteri assunti come in questo caso: farsi riferimento al parametro equitativo del danno da perdita parentale.

Qualora la liquidazione del danno da fatto illecito extracontrattuale sia effettuata “per equivalente”, con riferimento, cioè, al valore del bene perduto dal danneggiato all’epoca del fatto illecito, e tale valore venga poi espresso in termini monetari che tengano conto della svalutazione intervenuta fino alla data della decisione definitiva (anche se adottata in sede di rinvio), è dovuto al danneggiato anche il risarcimento del mancato guadagno provocato dal ritardato pagamento della suddetta somma (Tribunale Cagliari, 25/01/2017, n.259).

Di recente, la Cassazione si è altresì pronunciata sulla coesistenza del danno da perdita parentale e del danno biologico, il quale riguarda l’ipotesi in cui la vittima primaria abbia continuato a vivere per qualche tempo dopo l’evento lesivo in una condizione di menomazione. In particolare, i giudici di legittimità hanno chiarito che “la morte di un prossimo congiunto può causare nei familiari superstiti oltre al danno parentale, consistente nella perdita del rapporto e nella correlata sofferenza soggettiva, anche un danno biologico vero e proprio, in presenza di un’effettiva compromissione dello stato di salute fisica o psichica di chi lo invoca, l’uno e l’altro dovendo essere oggetto di separata considerazione come elementi del danno non patrimoniale, ma nondimeno suscettibili – in virtù del principio della “onnicomprensività” della liquidazione – di liquidazione unitaria” (Cassazione civile, sez. III, 25/06/2019, n.16909).


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Roberta Aleo

Nasce a Palermo nel 1991. Dopo la maturità classica si laurea nel 2017 in Giurisprudenza presentando una tesi sperimentale dal titolo "Le strutture investigative di contrasto alla criminalità organizzata". Nel 2019 consegue il diploma di specializzazione presso la Scuola di Specializzazione per le Professioni legali presentando una tesi dal titolo "Rapporti tra carcere duro ed esigenze di tutela dei diritti fondamentali dei detenuti". Tirocinante presso il Tribunale e la Procura della Repubblica ed abilitata all'esercizio della professione forense, collabora alla stesura di testi ed articoli giuridici con riviste scientifiche e studi legali.

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