Il danno da perdita di congiunto: l’iter evolutivo giurisprudenziale

Il danno da perdita di congiunto: l’iter evolutivo giurisprudenziale

L’ingresso del danno da perdita  di congiunto nel panorama giurisprudenziale non è stato lineare, bensì tortuoso ed è stato assai osteggiato anche dalla Corte Costituzionale[1].

In origine era conosciuto come danno riflesso o “da rimbalzo” ed il pregiudizio derivante dalla perdita del rapporto parentale non era ritenuto meritevole di tutela, poiché patito da un soggetto diverso rispetto alla vittima vera e propria. Pertanto, secondo i fautori della teoria tradizionale, il danno si sarebbe prorogato solo di riflesso sul congiunto.

Le argomentazioni su cui si basava la tesi in epigrafe muovevano, in primo luogo, dall’interpretazione letterale dell’art. 1223 c.c., conformemente al quale, ai fini del risarcimento il danno dev’essere conseguenza immediata e diretta dell’illecito, e, secondo poi, si prospettava la necessità dell’elemento soggettivo della colpa del responsabile.

Da un lato, quindi, si affermava l’assenza d’integrazione del nesso di causalità  tra il pregiudizio sofferto dal congiunto della vittima ed il comportamento del danneggiante, dall’altro, invece, si riteneva che quest’ultimo non avrebbe potuto ponderare ex ante le conseguenze che si sarebbero potuto “riflettere” sui congiunti della persona morta in dipendenza dell’illecito[2].

L’esegesi più evoluta, al contrario, ha centrato il pivot del  dibattito sul principio della causalità adeguata, secondo cui è sufficiente che l’evento sia eziologicamente riconducibile tra le conseguenze “normali” della condotta attribuibile al danneggiato; in riferimento, invece, al profilo soggettivo, ha affinata la probabilità astratta del patimento dei congiunti per l’illecito commesso ai danni della vittima.

Conseguentemente, la nozione del danno da “rimbalzo” ha ceduto il passo alla teoria della plurioffensività dell’illecito, sul presupposto che la perdita del congiunto pregiudichi il diritto all’integrità psico-fisica della vittima in concomitanza con l’offesa al diritto all’intangibilità degli affetti familiari: entrambi conseguenze immediate e dirette dell’illecito[3].

Per quanto riguarda i soggetti legittimati a richiedere il risarcimento, la progressiva apprezzabilità dei rapporti di fatto ha implicato che la sussistenza di un vincolo giuridico non rappresenta più una condicio sine qua non ai fini dell’ottenimento del ristoro per i danni sofferti: possono infatti sussistere situazioni in cui al legame formale non corrisponde sul piano effettivo la solidarietà e l’affetto, che dovrebbero rappresentare il nucleo della relazione familiare. Mentre possono esistere rapporti di fatto, come la c.d. convivenza more uxorio, che, pur privo di una legittimazione formale, risulta imperniata su valori, un tempo, attribuiti alla famiglia strictu sensu.

È stato così trasfigurato il concetto di famiglia, non più innestato sulla mera unione matrimoniale e sul rapporto parentale, bensì diventando “omnicomprensivo”, deducibile  cioè dalla sussistenza dei valori di comunanza di vita morale e materiale tra gli individui. La predetta evoluzione è da ricondurre all’interpretazione estensiva dell’art. 8 Cedu; a titolo esemplificativo, in tema di rapporto tra minore e il compagno del genitore, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha precisato che l’area di applicazione del suddetto articolo andrebbe estesa anche alle relazioni familiari di fatto, ma è necessario che a tal fine sussistano determinati presupposti, quali la qualità dell’affectio e la sua stabilità[4].

In linea con tale esegesi, la giurisprudenza italiana ha confermato che  è risarcibile il danno non patrimoniale patito dal convivente more uxorio a causa dell’uccisione del figlio unilaterale della partner, purchè venisse dedotto e provato un legame familiare saldo e longevo tra l’attore e la vittima[5]. Nello stesso senso, la Cassazione[6] ha riconosciuto la legittimazione della fidanzata ad essere risarcita per il danno parentale tribolato a seguito della morte del compagno, sul presupposto che il fidanzamento sarebbe stato destinato ad evolversi in una relazione matrimoniale, attesa la violazione ex art. 29 Cost.

La Cassazione valorizza anche il rapporto a distanza, a prescindere da una vera e propria convivenza, il quale non incide sull’an del pregiudizio, ma solo sul quantum debeatur[7]; infatti anche le telefonate frequenti possono denotare  la presenza di un legame amorevole: ad esempio, il nipote può agire in giudizio per il risarcimento del danno non patrimoniale causatogli dalla dipartita del nonno[8].

È stato riconosciuto a livello nazionale e sovranazionale il diritto di credito vantato dal figlio, nato orfano da un genitore, con cui si sarebbe integrato un rapporto affettivo ed educativo che la legge protegge allo scopo di consentire uno sviluppo bilanciato della personalità del bambino[9].

Per la positiva ammissione della pretesa risarcitoria, ferma l’operatività dei meccanismi presuntivi anche in base al principio della prossimità della prova, spetta al congiunto la dimostrazione della gravità del pregiudizio, ovvero il drastico sconvolgimento nello stile di vita; sarà, in ogni caso, onere del giudice ponderare la sussistenza delle ripercussioni del danno parentale.

Con la pronuncia dell’ 11 novembre 2019, n.28989 la Cassazione si è occupata di trattare i rapporti intercorrenti tra il danno parentale ed il danno morale, censurando la decisione di merito che aveva liquidato separatamente i due pregiudizi e ha determinato in tal modo una di quelle “duplicazioni risarcitorie” tanto invise alla Corte; anche in questa occasione è stato definitivamente sancito che il “danno da perdita parentale” ed il “ danno morale soggettivo” ledono lo stesso ed unico interesse, ovvero quello dell’intangibilità degli affetti familiari, costituzionalmente garantito agli artt. 2, 29 e 30 Cost.[10] È lapalissiano, tuttavia, che il danno derivante dalla perdita di un congiunto, con la conseguente interruzione di ogni rapporto con quest’ultimo, possa manifestarsi in una sofferenza interiore tanto seria da sfociare in un danno biologico medicalmente accertabile: possono pertanto pacificamente coesistere in sede risarcitoria, ove debitamente allegati e provati, il danno da perdita del rapporto parentale ed il pregiudizio alla salute.

 

 


[1] Corte Costituzionale, 27 ottobre 1994, n.372, in Foro Italiano, 1994, I, 3297, con nota Ponzanelli, La Corte costituzionale e il danno da morte.
[2] De Cupis, Il danno. Teoria generale della responsabilità civile, Milano, 1970, 104, che stressava la necessità di non ampliare eccessivamente i confini della responsabilità civile, allargando il novero dei soggetti legittimati attivi.
[3] La Battagli, Danno da perdita del congiunto: nessi di causalità e pregiudizi non patrimoniali risarcibili del congiunto: nessi di causalità e pregiudizi non patrimoniali risarcibili, in Famiglia e diritto, 2016,458; Ziviz, Il danno non patrimoniale, in La responsabilità civile, 1998, 943; sul versante giurisprudenziale Cassazione, 31 maggio 2003, nn. 8827 e 8828. In Foro Italiano, 2003, I, 2272.
[4] Cfr. Cort europea dei diritti dell’uomo 27 aprile 2010, Moretti e Benedetti c. Italia, www.giustizia.it, § 48.
[5] Cfr. Cass. 21 aprile 2016, n.8037, in Foro italiano, 2017, I, 296, con nota di Patti, Le convivenze “di fatto” tra normativa di tutela e regime opzionale.
[6] Cfr. Cass. 21 marzo 2013, n. 7128, Foro italiano, Rep. 2013, voce Danni civili, n. 180; Trib. Firenze 26 marzo 2015, n. 1011. Giud. Donnarumma, Cipolla e a. c. Società cattolica di assicurazione coop. e a.
[7] Cassazione, 20 ottobre 2016, n. 21230, in Foro italiano, 2017, I, 623 e Scalvini, Risarcibilità del danno parentale: la convivenza non è una condicio sine qua non, in Giurisprudenza italiana, 2018, 2354.
[8] Cfr. Cassazione 7 dicembre 2017, n. 29332, in Foro italiano, Rep. 2018. Voce Danni civile, n.170.
[9] Sul punto, Cass. 3 maggio 2011, n.9700, Foro italiano, Rep. 2011, voci Danni civili, n. 253.
[10] Cassazione 11 novembre 2019, n. 28989, Foro italiano, 350, 2020. “In caso di risarcimento del danno da perdita del rapporto parentale (…) spetterà al giudice di merito  il compito di procedere alla veritfica (…) dell’eventuale sussistenza di unno solo, o di entrambi, i profili di danno non patrimoniale in precedenza descritti (ossia, della sofferenza eventualemnte patita, sul piano morale soggettivo, nel momento in cui la perdita del congiunto è percepita nel proprio vissuto interiore, e quella, viceversa, che eventualmente si sia riflessa, in termini dinamico-relazionali, sui percorsi della vita quotidiana attiva del soggetto che l’ha subita”.

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