Il delitto di Trasferimento Fraudolento di Valori: tratti caratteristici e focus sulla “specifica” finalità elusiva

Il delitto di Trasferimento Fraudolento di Valori: tratti caratteristici e focus sulla “specifica” finalità elusiva

Sommario: 1. Profili generali: bene giuridico tutelato e contorni oggettivo – applicativi della fattispecie – 2. Elemento soggettivo: Il postulato della specifica finalità elusiva

 

1. Profili generali: bene giuridico tutelato e contorni oggettivo – applicativi della fattispecie

Mediante l’introduzione del nuovo art. 512-bis c.p., inserito nel codice penale, in luogo della precedente disposizione normativa di cui all’ art. 12-quinquies D.L. 306/1992 (conv. In L. 356/1992) in virtù delle modifiche allo stesso apportate dal il D. Lgs n. 21/2018, il Legislatore ha inteso, a ben vedere, ricondurre sotto l’egida della punibilità penale tutte quelle condotte di simulazione soggettiva attuate mediante il fraudolento trasferimento di valori, precipuamente dirette ad eludere il perimetro applicativo delle misure di prevenzione patrimoniali, ovvero, ad agevolare la commissione delle fattispecie di reato contemplate agli artt. 648, 648-bis e 648-ter c.p..

Tanto premesso sul versante etimologico della fattispecie in discorso, avuto riguardo, invece, al bene giuridico oggetto di protezione normativa, quest’ultimo viene generalmente individuato da parte, rispettivamente, della dottrina e dalla giurisprudenza, nell’esigenza di tutelare la trasparenza dei traffici giuridici, sì da impedire che il regolare e libero funzionamento della struttura produttiva venga turbato dalle iniziative economiche “fittizie” poste in essere da parte di soggetti appartenenti, o comunque strutturalmente contigui, al tessuto della criminalità organizzata.

Quanto al profilo ontologico – strutturale, si ritiene, tenuto conto dell’insegnamento ermeneutico tracciato dalla nota pronuncia a Sezioni Unite n. 8/2001, Ferrarese, che la fattispecie in disamina integri una ipotesi di reato istantaneo di “pericolo in astratto”, il cui momento consumativo coincide con la realizzazione della condotta di fittizia attribuzione, indipendentemente della rilevanza assegnabile al permanere della situazione giuridica risultante dall’impiegata interposizione soggettiva.

L’essere la figura delittuosa in esame concepita alla stregua di reato di “pericolo in astratto” a forma libera, implica, altresì, il logico corollario per cui il disvalore della condotta di rilievo penale si esaurisce nella messa in atto, da parte del soggetto agente, di meccanismi interpositori – quali ad esempio il compimento di qualsivoglia negozio giuridico – i quali, sulla scorta di un giudizio di prognosi postuma da compiersi con valutazione ex ante e su base parziale, rivelino la concreta attitudine ad eludere le disposizioni di legge fissate in materia di misure di prevenzione patrimoniale.

Nondimeno, quantunque la realizzabilità dell’evento contemplato dalla norma incriminatrice risulti affidata a forme di manifestazione non previamente individuate dal Legislatore,  ciò non esime l’interprete dal verificare la effettiva paternità dei mezzi in concreto utilizzati ai fini della realizzazione della falsa situazione rappresentativa, dovendo, infatti, gli stessi necessariamente provenire dalla sfera patrimoniale del soggetto che intenda perseguire il fine elusivo interdetto dalla norma.

Detta condivisibile esigenza di ordine strutturale, altresì, è stata più volte ribadita dalla giurisprudenza del Supremo Consesso di legittimità, mediante l’enunciazione dell’oramai costante assunto esegetico secondo cui, in tema di “fittizia attribuzione della titolarità”, affinché la condotta posta in essere da parte del soggetto agente sia suscettibile di rilevanza penale  “è necessario che il bene sia stato acquistato (o realizzato) con risorse del soggetto che vuole “schermare” il suo investimento patrimoniale al fine di eludere l’applicazione di misure di prevenzione e che, per tale ragione, attribuisce fittiziamente la titolarità formale al terzo” (cfr. Cass. Pen. Sez. III, n. 14222/2022).

In termini sostanzialmente analoghi al prefato orientamento ermeneutico è stato, altresì, efficacemente lumeggiato come, “ai fini della configurabilità del reato, sotto il profilo materiale, non è sufficiente l’accertamento della mera disponibilità del bene da parte di chi non risulti formalmente titolare, ma occorre la prova della provenienza delle risorse economiche impiegate per il suo acquisto da parte del soggetto che intenda eludere l’applicazione di misure di prevenzione” (cfr. Cass. Pen. Sez. VI, n. 18125/2019).

Orbene, dal recepimento delle suindicate coordinate interpretative, è dato agevolmente desumere la circostanza per cui il fine assiologico perseguito dal legislatore non è tanto la “generica” disponibilità di un bene in capo al soggetto che non ne risulta essere formalmente titolare, quanto, piuttosto, la specifica condotta di fittizia attribuzione di risorse proprie a terzi soggetti, sì da escluderle dal perimetro di efficacia di una misura di contenimento patrimoniale già adottata, o comunque, sulla base di elementi indiziari contrassegnati da certa valenza esplicativa, concretamente applicabile.

2. Elemento soggettivo: il postulato della specifica finalità elusiva

Dopo avere analizzato la trama componenziale oggettiva di detta singolare forma delittuosa, altrettanto foriera di numerosi equivoci sul piano interpretativo, occorre adesso brevemente soffermarsi ad analizzare il peculiare coefficiente soggettivo normativamente richiesto dalla disposizione incriminatrice.

Al riguardo, va propedeuticamente evidenziato il fatto che la norma incriminatrice in disamina, in ossequio alla condivisibile esigenza di sopperire all’evidente deficit di tassatività riscontrabile in merito al profilo oggettivo, richieda l’esistenza di una qualificata connotazione dell’elemento psicologico costituito, per inciso, dal dolo specifico di eludere le disposizioni normative prescritte in materia di prevenzione patrimoniale.

Il fatto che il legislatore abbia inteso coniugare l’operato del soggetto agente ad una specifica vocazione finalistica, non può essere considerato alla stregua di una pura casualità, in funzione del significato che il ruolo del dolo specifico è chiamato ad assolvere, ovvero, quello di predisporre la condotta dell’agente in vista della produzione di un determinato risultativo lesivo posto in connessione condizionante rispetto al contenuto teleologico descritto dalla norma penale.

Ne discende che, un reato a dolo specifico non può di fatto ritenersi integrato se non attraverso atti idonei a conseguire lo scopo verso il quale si rivolge l’intenzione dell’agente, dacché, solo una interpretazione di tipo oggettivo dello scopo caratteristico dei reati a dolo specifico può ritenersi rispettosa del principio costituzionalmente tutelato di offensività del reato.

Nella medesima prospettiva, si colloca, altresì, la giurisprudenza del Supremo Consesso di legittimità la quale, con riguardo specifico al delitto oggetto di disamina,  ha più volte sancito la condivisibile esigenza di “fornire la prova che l’intestazione sia compiuta al fine di eludere la normativa in tema di prevenzione patrimoniale” attraverso “un accertamento che deve prescindere da comode presunzioni, da sbrigative scorciatoie, che non coincide di per sé con il fatto oggettivo della intestazione fittizia, e, soprattutto, un accertamento del quale il giudice deve dare conto in motivazione” (cfr. Cass. Pen. Sez. VI, n. 5537/2022).

Ed invero, la circostanza per cui, stante l’orientamento ermeneutico allo stato maggioritario, ai fini della consumazione del reato non sia affatto richiesta la concreta ed attuale sottoposizione del soggetto a strumenti di prevenzione patrimoniale quanto, piuttosto, l’esistenza di elementi che militino, fondatamente, a sostegno di una possibile ed eventuale instaurazione di un procedimento di prevenzione, non basta ad esimere il giudice dal fornire, mediante la predisposizione di un impianto motivazionale completo ed adeguato, la rigorosa dimostrazione dell’avere il soggetto attivo del reato agito con il dolo specifico di eludere le disposizioni di legge in materia di prevenzione patrimoniale.

Detto altrimenti, per ritenere configurabile la sussistenza della qualificata direzione finalistica richiesta dalla norma incriminatrice, non può l’interprete limitarsi a dare atto della raggiunta prova in giudizio della esistenza di una fittizia attribuzione della titolarità o disponibilità di denaro patrimoniale, essendo ben possibile, come accuratamente lumeggiato dalla Suprema Corte regolatrice, l’eventualità per cui difetti, sotto il profilo soggettivo, la consapevolezza dell’imputato, per le più svariate ragioni,  di eludere il proprio compendio patrimoniale dal perimetro applicativo della disciplina normativa fissata dal Legislatore in materia di misure di prevenzione patrimoniale.

Correlativamente, risulta imprescindibile, per dirsi la condotta dell’agente punibile sul piano della colpevolezza in concreto, “che l’intestatario fittizio sia a conoscenza del fine di eludere le disposizioni di legge in materia di misura di prevenzione ed abbia agito con il dolo specifico di aggirarle” (cfr. Cass. Pen. Sez. II, n. 45080/2021).


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Gabriele Ferro

Laureato in giurisprudenza presso l'Università degli Studi di Siena, attualmente praticante avvocato, con predilezione per il settore del diritto penale sostanziale e processuale.

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