Il diritto di autodeterminazione: il caso dei Testimoni di Geova

Il diritto di autodeterminazione: il caso dei Testimoni di Geova

Sommario: 1. Introduzione – 2. Evoluzione normativa – 3. Il consenso: caratteristiche – 4. Il consenso in vista di una futura incapacità di autodeterminarsi: le disposizioni anticipate di trattamento nella L. n. 219/2017 – 5. Il consenso alle emotrasfusioni: il caso dei Testimoni di Geova – 6. Conclusioni

 

1. Introduzione

Il diritto di autodeterminazione costituisce il riconoscimento della capacità di scelta autonoma e indipendente di un individuo

Nell’ordinamento giuridico italiano, in particolare nell’ambito sanitario, è oggi pacifico il principio che nessun trattamento sanitario possa essere compiuto o proseguito in difetto del previo ed esplicito consenso dell’interessato. Il diritto a decidere liberamente se e come curarsi discende dall’art. 32 Cost., secondo il quale “nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge.”

La necessità di un consenso libero e informato all’atto medico rappresenta l’esito di un’evoluzione che da un atteggiamento paternalistico del medico è giunta alla cosiddetta “alleanza terapeutica.”

2. Evoluzione normativa

Storicamente[1], il medico aveva il dovere di fare il bene del paziente e ripristinare l’ordine della natura sconvolto dalla patologia. Il paziente non poteva non accettare le cure proposte dal medico e doveva sottoporvisi.

In tale contesto, il consenso del paziente veniva ritenuto implicito nella richiesta di aiuto.

L’atteggiamento paternalistico, sopravvissuto per secoli, viene messo in discussione dal pensiero illuministico e dal riconoscimento dell’opportunità del paziente di ottenere informazioni sul suo stato di salute e sulle terapie. Non si parlava ancora di autodeterminazione, ma sussisteva la convinzione che la consapevolezza del malato contribuisse a determinare un beneficio terapeutico.

Soltanto a partire dal 1948 il principio di autodeterminazione s’impone a livello internazionale ed è ripreso in tutti i codici di deontologia medica.

Oggi il rapporto tra medico e paziente è costruito su una relazione equilibrata che pone su uno stesso piano la libertà di chi assiste e di chi è sottoposto alle cure.

Il consenso informato è un fattore di espressione della libertà del singolo ed è un diritto fondamentale riconosciuto dall’ordinamento.

Ruolo fondamentale assumono i principi costituzionali, tra i quali l’art. 32 Cost., già menzionato, che tutela la salute; l’art. 2 Cost., che pone i doveri di solidarietà sociale; l’art. 9 Cost. sul progresso della medicina; l’art. 13 Cost che riconosce l’inviolabilità della libertà personale all’interno della quale è ricompresa anche la libertà di salvaguardare la propria salute e integrità fisica, escludendone ogni restrizione, se non per atto motivato dall’autorità giudiziaria e nei soli casi e con le modalità previste dalla legge.

Tali principi trovano espressione anche nell’art. 33, L. n. 833/1978, istitutiva del Servizio sanitario nazionale, che stabilisce che gli accertamenti e i trattamenti sanitari sono di norma volontari.

Nel caso in cui siano previsti trattamenti sanitari obbligatori, questi debbono rispettare la dignità della persona, i diritti civici e politici, e il diritto alla libera scelta del luogo di cura e del medico.

Notevole pregio acquista l’art. 5 della Convenzione di Oviedo che ribadisce la necessità del consenso al trattamento sanitario affinché quest’ultimo sia praticato. Il paziente ha diritto a ricevere le informazioni sulle finalità e sulla natura del trattamento, nonché sulle conseguenze e sui rischi ad esso connessi. Inoltre, l’interessato può revocare il consenso in ogni momento.

I principi finora esposti trovano espressione nel Codice deontologico della Federazione Nazionale dell’Ordine dei Medici e degli Odontoiatri del 1995.

Segnatamente, il predetto Codice prevede l’obbligo di informazione del paziente (art. 30), o dell’eventuale terzo (art. 31); l’obbligo di acquisire il consenso informato del paziente (art. 32) o del legale rappresentante (art. 33); l’obbligo di rispettare la reale volontà del paziente (art. 34) e i comportamenti da tenere nel caso di assistenza e urgenza.

Da ultimo, con la L. n. 219/2017, il legislatore ha consacrato alcuni principi emersi nell’elaborazione dottrinale e giurisprudenziale.

Infatti, l’art. 1, L. n. 219/2017 prevede che nessun trattamento sanitario può essere iniziato o proseguito se privo del consenso libero e informato della persona interessata, tranne nei casi previsti dalla legge.

L’alleanza terapeutica, che caratterizza il rapporto tra medico e paziente, impone il diritto del paziente di conoscere le proprie condizioni di salute e di essere informato in modo comprensibile in ordine alla diagnosi, prognosi, ai benefici, ai rischi degli accertamenti diagnostici e dei trattamenti sanitari indicati, oltre alle possibili alternative e alle conseguenze di un eventuale rifiuto degli accertamenti diagnostici e del trattamento sanitario.

Corollario di tale alleanza è il principio di pianificazione condivisa delle cure espresso dall’art. 5, L. n. 219/2017.

Inoltre, di fondamentale rilievo, l’art. 1, co. 5 e 6, L. n. 219/2017 che afferma che ogni persona capace di agire ha il diritto di rifiutare, in tutto o in parte, qualsiasi accertamento diagnostico o trattamento sanitario indicato dal medico per la propria patologia, o anche singoli atti del trattamento stesso, e ha il diritto di revocare il consenso prestato in ogni momento.

3. Il consenso: caratteristiche

Dalla lettura delle norme precedenti è possibile individuare le caratteristiche del consenso.

Il consenso deve essere personale, cioè manifestato direttamente dal paziente, purché capace di intendere e di volere; il consenso deve essere esplicito e specifico, ossia deve avere ad oggetto il singolo intervento ovvero ognuna delle ipotesi di trattamento prospettate e non può essere generico se non nei casi di interventi di routine o a basso rischio.

Inoltre, s’impone un consenso informato: ciò significa che il medico deve informare il paziente e quest’ultimo è l’arbitro della decisione di sottoporsi alle cure o di non sottoporsi ad alcun intervento.

Il consenso deve essere immune da vizi, reale ed effettivo, attuale, cioè deve persistere al momento dell’inizio dell’intervento e sempre revocabile.

4. Il consenso in vista di una futura incapacità di autodeterminarsi: le disposizioni anticipate di trattamento nella L. n. 219/2017

Sinora si è fatto riferimento al consenso inteso come forma attuale di autodeterminazione del paziente rispetto alle cure.

Tuttavia, l’art. 4, L. n. 219/2017 riconosce la possibilità al soggetto maggiorenne e capace di intendere e volere, di esprimere le proprie autodeterminazioni in vista di una futura eventuale incapacità di autodeterminarsi, formulando le proprie scelte in ordine a eventuali accertamenti diagnostici e scelte sanitarie. Si tratta delle disposizioni anticipate di trattamento (DAT).

Di rilievo è l’art. 4, co. 5, L. n. 219/2017 che pone un limite all’obbligo del medico di rispettare le volontà dell’interessato espresse tramite DAT.

È il caso della possibile sopraggiunta inattualità degli orientamenti espressi e mai revocati dal disponente, per mutamenti nei trattamenti sanitari alla luce delle nuove scoperte scientifiche o modalità di cura.

Infine, nel caso di minor d’età o incapace di esprimere il consenso consapevole al trattamento, l’art. 3, L n. 219/2017 individua i soggetti legittimati a esprimere il consenso o il dissenso, avendo come scopo la tutela della salute, della vita e della dignità di chi rappresentano.

Nel contesto dell’attività medica, il consenso integra la causa di giustificazione di cui all’art. 51 c.p.: in tal senso saranno scriminate le lesioni dell’integrità fisica conseguenti al trattamento sanitario autorizzato dal paziente.

Talvolta il consenso ha autonoma efficacia scriminante, ricadendo nel paradigma di cui all’art. 50 c.p., come nel caso di attività di routine o trattamenti estetici puri. La minima invasività di questi ultimi consente di ritenere sufficiente il consenso del paziente ai fini dell’esonero da responsabilità del medico.

Di contro, il dissenso espressamente manifestato dal paziente segna in negativo l’ambito di penale liceità della condotta del medico.

La L. n. 219/2017 ha disegnato una nozione ampia di autodeterminazione costruita sia in positivo, come libera adesione del paziente alle cure proposte dal medico, sia in negativo, quale diniego al sanitario dell’autorizzazione a intervenire sulla persona.

Pertanto, se il medico procedesse ugualmente, nonostante il dissenso manifestato consapevolmente dal paziente, la sua condotta sarebbe illegittima e non coperta da alcuna causa di giustificazione.

È invece lecita la condotta del medico che si astiene dal prestare le cure, a fronte della richiesta del paziente di non essere curato, anche ove ciò determini la morte del paziente stesso.

Vi sono altresì ipotesi in cui manca il consenso liberamente manifestato dal paziente.

Si distinguono tre diverse ipotesi. Infatti, vi sono casi in cui l’ordinamento prescinde dal consenso dell’interessato, ossia i trattamenti sanitari obbligatori.

Poi, i casi in cui il consenso del paziente è parziale rispetto all’intervento eseguito dal sanitario. In queste ipotesi, la giurisprudenza distingue tra esito fausto o infausto del trattamento eccedente.

In caso di esito fausto, la Cassazione ha escluso la tipicità ai sensi dell’art. 610 c.p. e la riconducibilità della condotta del medico nel paradigma delle lesioni, non essendo configurabile alcuna malattia.

In caso di esito infausto, invece, la giurisprudenza di legittimità ha sottolineato la necessità di valutare il profilo soggettivo del comportamento del medico che ha agito in vista di una finalità terapeutica. Rispetto all’evento-lesioni o all’evento-morte sarà al più configurabile la colpa del medico che ha erroneamente ritenuto esistente il consenso manifestato dal paziente o ha ecceduto rispetto ai limiti tracciati dal previo consenso.

Infine, vi sono quei casi in cui il paziente non può autodeterminarsi liberamente. Sul punto è intervenuto l’art. 1, co. 7, L. n. 219/2017 che, nelle situazioni di urgenza e necessità, impone al medico di apprestare le cure necessarie, nel rispetto della volontà del paziente ove le sue condizioni cliniche e le circostanze consentano di recepirla.

5. Il consenso alle emotrasfusioni: il caso dei Testimoni di Geova

Il tema della rilevanza del consenso come espressione di autodeterminazione del paziente acquista pregio nel caso di rifiuto alle emotrasfusioni da parte dei Testimoni di Geova per motivi religiosi[2].

Recentemente, sulla questione è intervenuta la Cassazione che ha ribadito il diritto di rifiutare l’emotrasfusione in materia di trattamento sanitario a tutela della libertà di professare la propria fede religiosa.

In particolare, tale diritto è valido anche se il paziente ha prestato consenso a un diverso trattamento che abbia successivamente richiesto la trasfusione, anche con dichiarazione formulata prima del trattamento stesso, purché emerga inequivocabilmente la volontà di impedire la trasfusione anche in caso di pericolo di vita.

I giudici di legittimità hanno precisato che la disciplina della fattispecie in esame è affidata ai principi costituzionali sul diritto all’autodeterminazione sanitaria e di libertà religiosa (artt. 2, 13, 32 e 19 Cost.).

Quanto al diritto all’autodeterminazione, la Corte di Cassazione ha precisato che la manifestazione del consenso del paziente al trattamento sanitario, costituisce un diritto autonomo rispetto al diritto alla salute; si configura un diritto della persona che trova fondamento negli artt. 2, 13 e 32 Cost.

Rispetto alla libertà religiosa, la Cassazione ha ribadito che è un diritto inviolabile tutelato al massimo grado. La tutela di tale diritto deve essere positiva dal momento che il principio di laicità deve essere inteso non come indifferenza dello Stato rispetto all’esperienza religiosa, ma come tutela del pluralismo secondo criteri d’imparzialità.

Pertanto, è necessario che l’ordinamento appresti meccanismi volti ad attuare effettivamente tale diritto fondamentale.

Secondo i giudici di legittimità non ha senso contrapporre all’esercizio del diritto di rifiuto alle emotrasfusioni, come espressione di libertà religiosa, la tutela della vita e della salute del paziente.

Questi diritti e interessi rientrano esclusivamente nella sfera soggettiva del paziente e non ad un bene e interesse contrapposto a tale posizione. Ciò significa che non sussiste un principio da contrapporre a quello di autodeterminazione e libertà religiosa garantiti dall’art. 19 Cost.

La Cassazione descrive un processo di osmosi di tali diritti costituzionali ed esclude la necessità di bilanciare gli stessi.

Viene confermato l’abbandono del concetto di “stato di necessità”.

Dall’interpretazione dei suesposti principi si ricava il diritto del Testimone di Geova a rifiutare l’emotrasfusione essendosi instaurato con il medico un rapporto giuridico caratterizzato dall’obbligazione negativa del sanitario di non ledere la sfera giuridica vantata dal paziente.

Al centro è posto il paziente con le sue scelte di vita e i valori che caratterizzano la persona, tra cui i propri convincimenti religiosi.

La Cassazione, inoltre, ha precisato che la dichiarazione anticipata di dissenso all’emotrasfusione, che possa essere richiesta da un’eventuale emorragia causata dal trattamento sanitario, non è neutralizzata dal consenso prestato a quest’ultimo-

Il consenso al trattamento emotrasfusionale e il consenso all’intervento chirurgico sono manifestazioni di volontà diverse e separate.

La pronuncia in esame sottolinea che il rifiuto delle emotrasfusioni per i Testimoni di Geova non è mera autodeterminazione sanitaria, ma una forma di obiezione di coscienza.

Accettare una trasfusione costituirebbe un atto di abiura della propria fede; pertanto, è necessario rispettare non solo il corpo della persona nella sua fisicità, ma anche i valori umani, etici e morali della persona.

Il medico che si appresta a curare un paziente Testimone di Geova deve essere consapevole della portata del suddetto rifiuto.

Nell’ipotesi in cui il peggioramento delle condizioni cliniche del paziente faccia ritenere sussistente un pericolo di vita per lo stesso, il rifiuto al trattamento sanitario manifestato precedentemente mantiene valore, anche se tale rifiuto può causare la morte.

Il dissenso deve avere delle specifiche caratteristiche per avere rilevanza. Esso deve essere espresso, inequivoco ed attuale.

La Cassazione ha attribuito valore alla manifestazione di dissenso alle emotrasfusioni espressa, anche per iscritto, purché in forma articolata, puntuale ed inequivoca.

L’attualità del dissenso è riferita al momento in cui la volontà è manifestata. Il dissenso dato in condizioni di capacità non perde valore se sopraggiunge un successivo stato d’incapacità o una situazione di pericolo.

Infine, quando al rispetto del principio di “alleanza terapeutica” tra medico e paziente, la Cassazione ha precisato che il medico che valorizza e rispetta la volontà del paziente è esente da responsabilità civile e penale se dal dissenso alle cure ne derivano conseguenze pregiudizievoli.

Di contro, la giurisprudenza penale ha ritenuto responsabile di violenza privata il medico che ha praticato la trasfusione contro la volontà manifestata dal paziente.

6. Conclusioni

In conclusione, la Corte di Cassazione ha ribadito il principio per cui il Testimone di Geova può rifiutare l’emotrasfusione facendo valere il diritto all’autodeterminazione in materia di trattamento sanitario a tutela della libertà di professare la propria fede religiosa.

Tali principi tutelano non solo i pazienti, ma costituiscono garanzie per i medici che in passato subivano i rischi di eventuali azioni penali nei loro confronti nel caso di esito infausto.

L’evoluzione giurisprudenziale in materia di autodeterminazione e consenso al trattamento sanitario ha posto invece importanti capisaldi da osservare.

 

 

 

 

 


[1] ROBERTO GAROFOLI, Compendio di diritto penale, Parte Generale
[2] FEDERICO PAPINI, Autodeterminazione, integrità corporale e libertà religiosa: diritti inviolabili e rifiuto alle emotrasfusioni dei Testimoni di Geova, in www.diritto.it

Sitografia
Autodeterminazione, integrità corporale e libertà religiosa: diritti inviolabili e rifiuto alle emotrasfusioni del Testimone di Geova | Il portale giuridico online per i professionisti – Diritto.it

TRATTAMENTO SANITARIO E PRINCIPIO DI AUTODETERMINAZIONE – MLNV-NEWS

Disposizioni anticipate di trattamento, una legge umana (nurse24.it)


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Ambra Calabrese

Avvocato
Laurea Magistrale in Giurisprudenza presso l'Università degli Studi di Catania, con tesi di laurea in diritto processuale penale dal titolo "L'avviso di conclusione delle indagini preliminari". Conseguimento del diploma di specialista in professioni legali presso la Scuola di specializzazione per le professioni legali "La Sapienza" di Roma. Abilitazione all'esercizio della professione forense presso la Corte d'Appello di Roma. Master in Diritto di famiglia e minori conseguito presso Studio Cataldi in collaborazione con il Centro Studi di Diritto di famiglia e dei minori di Roma. Funzionario amministrativo presso il Ministero dell'agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste.

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