Il fenomeno delle fake news e i risvolti legali

Il fenomeno delle fake news e i risvolti legali

Cosa sono le Fake News? Ormai ognuno di noi ha sentito almeno una volta il termine “Fake News”, e prima di esaminare insieme le conseguenze giuridiche gravanti per coloro che le creano e le riportano, è opportuno rivedere l’etimologia di tale termine. Il termine inglese Fake News, letteralmente in italiano notizie false o quelle che noi chiamiamo comunemente “bufale”, fa riferimento ad articoli contenenti annunci fasulli, ingannevoli o contorti con lo scopo di disinformare o creare scandalo attraverso i mezzi di informazione.

Le notizie false e inventate sono sempre esistite, ma in un tempo attuale , dove Internet e i Social Network costituiscono i principali, se non quasi, gli unici canali di informazione e comunicazione con persone di ogni parte del mondo, divulgarle è diventato al quanto semplice.

Perchè la loro diffusione? Le motivazioni che spingono gli autori a diffondere notizie false, sono varie. Una prima motivazione, è sicuramente di carattere economico,  semplicemente, il lettore rapito dal titolo accattivante su temi scottanti , clicca  per leggere il contenuto della notizia  e quel clic genera traffico nel sito che ospita la notizia falsa, traffico di un sito che il più delle volte è monetizzato. Molti clic infatti significano molte visualizzazioni, una vera manna per gli sponsor che decidono di investire in pubblicità in quel sito.

Possono essere diffuse per altri motivi ancora, per pilotare l’opinione pubblica su questioni di carattere sociale o politico o per sferrare veri attacchi personali.

Sono quindi molteplici gli effetti negativi generati dalla divulgazione di fake news, dalla disinformazione, all’ingannevolezza e ancora a condurre il lettore in una condizione di perenne dubbio su ciò che legge, di non saper distinguere il falso dal vero.

Risvolti legali. Gli autori di fake news, non sono consapevoli forse che con la loro condotta, rischiano di essere chiamati a rispondere per la violazione di alcuni reati civili o penali, ovvero:

– Abuso della credulità popolare, art. 661 c.p.: “Chiunque, pubblicamente, cerca con qualsiasi impostura, anche gratuitamente, di abusare della credulità popolare è soggetto, se dal fatto può derivare un turbamento dell’ordine pubblico, alla sanzione amministrativa pecuniaria da euro 5.000 a euro 15.000.”  Per la configurabilità del reato sono necessari sia l’impostura, ossia un atteggiamento malizioso diretto ad ingannare e diretto allo scopo, sia l’abuso della credulità popolare, vale a dire l’approfittamento della corritività delle persone a prestare fede a fatti immaginari, derivante da mancanza di cultura, scarsa intelligenza, soggezione o inclinazione superstiziosa.

– Offesa della reputazione altrui, comma 3 art. 595 c.p.: “Se l’offesa è recata col mezzo della stampa [57-58bis] o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, ovvero in atto pubblico [2699], la pena è della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore a cinquecentosedici euro.

Inoltre La Cass. pen. con la sentenza  n. 4873/2017 ha stabilito che la diffusione di un messaggio diffamatorio attraverso l’uso di una bacheca “facebook” integra un’ipotesi di diffamazione aggravata ai sensi dell’art. 595, comma terzo, cod. pen., sotto il profilo dell’offesa arrecata “con qualsiasi altro mezzo di pubblicità” diverso dalla stampa, poiché la condotta in tal modo realizzata è potenzialmente capace di raggiungere un numero indeterminato, o comunque quantitativamente apprezzabile, di persone e tuttavia non può dirsi posta in essere “col mezzo della stampa”, non essendo i social network destinati ad un’attività di informazione professionale diretta al pubblico. (Fattispecie in cui la Corte ha escluso la sussistenza anche dell’aggravante di cui all’art. 13 della legge n. 47 del 1948).

– Concorrenza sleale, art. 2598 c.c.: compie atti di concorrenza sleale chiunque: (omissis) 2) diffonde notizie e apprezzamenti sui prodotti e sull’attività di un concorrente, idonei a determinare il discredito o si appropria di pregi dei prodotti o dell’impresa di un concorrente;  3) si vale direttamente o indirettamente di ogni altro mezzo non conforme ai principi della correttezza professionale e idoneo a danneggiare l’altrui azienda “.

A sostegno, con la sentenza n. 22042 del 31 ottobre 2016, la Prima Sezione della Corte Suprema di Cassazione ha fissato dei punti di chiarezza circa il contenzioso avviato da una catena di supermercati gestiti da una grande cooperativa contro il patron di una concorrente catena di supermercati che aveva scritto un libro discusso per i suoi contenuti.

Tra i denunciati anche la casa editrice nonché un economista ed un giornalista, questi ultimi presunti colpevoli di averne redatto la prefazione e la postfazione. I giudici della Suprema Corte hanno stabilito che la diffusione di informazioni che arrecano discredito e pregiudizio ad un’azienda concorrente rientra pienamente nel legittimo esercizio del diritto di critica e non costituisce di per sé un atto di concorrenza sleale per denigrazione, qualora tali informazioni siano conformi al vero e non siano un mero strumento di offese ed invettive nei confronti del concorrente.


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