Il pagamento al creditore apparente tra interpretazioni dottrinali e riferimenti giurisprudenziali

Il pagamento al creditore apparente tra interpretazioni dottrinali e riferimenti giurisprudenziali

Un’evenienza contemplata dalla legge in cui si determina la liberazione del debitore, pur essendo rivolto l’adempimento a soggetto non legittimato a riceverlo, è l’ipotesi del pagamento a creditore apparente regolata dall’art. 1189 c.c.

Secondo il dettato normativo del comma primo dell’art. 1189 c.c., il debitore che esegue il pagamento a chi appare legittimato a riceverlo in base a circostanze univoche, è liberato se prova di essere stato in buona fede.

In forza del comma secondo, chi ha ricevuto il pagamento è tenuto alla restituzione verso il vero creditore, secondo le regole stabilite per la ripetizione dell’indebito.

Dunque, il primo comma indica i presupposti per l’applicazione della disciplina, mentre il secondo comma le conseguenze. L’effetto liberatorio si produce in presenza di due elementi, uno oggettivo e l’altro soggettivo, che devono ricorrere cumulativamente.

Il primo elemento attiene alla sussistenza di una situazione di apparenza, fondata su elementi di fatto univoci e concordanti in grado di trarre in errore una persona di media diligenza.

In rapporto alla regola generale dell’art. 1189 c.p., la giurisprudenza si è mostrata propensa ad attenuare il rigore: non basta l’esistenza di circostanze esteriori tali da fare ritenere il creditore apparente come vero creditore o il rappresentante apparente come vero rappresentante; occorre, ulteriormente, che la situazione di apparenza sia stata ingenerata dal comportamento, sia pure solo colposo, del vero creditore, tale da far sorgere nel debitore la ragionevole presunzione che il creditore apparente fosse vero creditore o che il suo rappresentante apparente fosse vero. In altre parole: conserva il diritto alla prestazione il creditore che sia del tutto incolpevole.

Il secondo elemento consiste nella buona fede del debitore che si concretizza nell’ignoranza incolpevole di eseguire la prestazione a un soggetto privo di legittimazione.

Secondo il comma primo, il debitore che esegue il pagamento a chi appare legittimato a riceverlo in base a circostanze univoche è liberato se prova di essere stato in buona fede.

Innanzitutto, la norma parla di “pagamento”, come tale presupponente un’obbligazione pecuniaria, anche se tale disciplina può essere applicata a tutti i tipi di obbligazione (dunque, anche quelle avente ad oggetto un facere o una prestazione in natura). Pertanto, il termine “pagamento” deve essere inteso come esecuzione della prestazione dedotta dall’obbligazione.

Per individuare il soggetto che appare legittimato a ricevere la prestazione occorre leggere l’art. 1188 c.c. ai sensi del quale “il pagamento deve essere fatto al creditore o al suo rappresentante ovvero alla persona indicata dal creditore o autorizzata dalla legge o dal giudice a riceverlo.” Quindi, come regola generale, in primis è  il creditore ad essere legittimato a ricevere il pagamento (ossia la prestazione dedotta dall’obbligazione). Tuttavia, può anche darsi che il creditore indichi un’altra persona come legittimato a ricevere di pagamento ovvero che la prestazione possa essere riscossa dal suo rappresentante o da altro soggetto indicato dalla legge o dal giudice.

Attenta dottrina si è chiesta se la disciplina di cui all’art. 1189 c.c. trovi applicazione soltanto nelle ipotesi di creditore apparente oppure anche nei confronti di soggetto legittimato a ricevere la prestazione.

Invero, nel momento in cui si esegue una prestazione, rientra nella diligenza del debitore accertarsi che l’accipiens sia legittimato a riceverla.

Ebbene, la questione che viene in rilievo è se l’art. 1189 c.c. consenta di tutelare il debitore anche nel caso in cui questi abbia adempiuto la prestazione nei confronti del rappresentante apparente del creditore. Due posizioni dottrinali al riguardo.

La tesi restrittiva – che si focalizza  soltanto sull’ipotesi strettamente considerata dalla norma – nega l’estensione della fattispecie di cui all’art. 1189 c.c. anche al pagamento al rappresentante apparente per evitare che vi sia un’applicazione troppo ampia di tale fattispecie eccezionale. Inoltre, a deporre in tal senso, secondo questa prima tesi è l’interpretazione letterale della norma la quale induce a ritenere che la predetta tutela possa trovare concreta applicazione soltanto quando il pagamento venga effettuato a favore del creditore apparente, non anche del suo rappresentante.

Secondo una lettura più estensiva (tra l’altro prevalente in dottrina e supportata dalla giurisprudenza) la fattispecie del pagamento al creditore apparente si può estendere anche nei confronti di soggetti individuati dall’art. 1188 c.c.

Invero, se soggetti legittimati a ricevere la prestazione sono anche il rappresentante del creditore, l’indicatario di pagamento e le altre persone indicate dalla legge e dal giudice, evidentemente anche rispetto a tali soggetti sembra possibile configurare un’ipotesi di apparenza giuridica, tale da giustificare la tutela del debitore che abbia, in buona fede, adempiuto nei loro confronti.

Il debitore viene tutelato soltanto se il suo affidamento si basava su una condotta del creditore effettivo che ha giustificato l’errore in cui è incorso. Dunque, affinché possa estendersi la tutela di cui all’art. 1189 c.c. anche alla fattispecie di pagamento al rappresentante apparente del creditore è necessario che vi sia una condotta del creditore tale da far cadere in errore il debitore.

A tal proposito sussiste la differenza tra apparenza pura e apparenza colposa.

La prima è quella che esula da qualunque indagine relativa alla condotta tenuta dal titolare effettivo della situazione giuridica soggettiva (art. 1189 c.c.).

La seconda, invece, è quella che richiede un comportamento colposo del titolare della situazione giuridica soggettiva per riconoscere la tutela a colui il quale abbia fatto affidamento sulla situazione apparente (esempio è la rappresentanza apparente e dunque, il pagamento del rappresentante apparente del creditore).

Un esempio al creditore apparente è disciplinato dal legislatore all’art. 1264 c.c. secondo cui la cessione ha effetto nei confronti del debitore ceduto quando questi l’ha accettata o quando gli è stata notificata. Tuttavia, anche prima della notificazione, il debitore che paga al cedente non è liberato se il cessionario provi che il debitore medesimo era a conoscenza dell’avvenuta cessione.

Nella cessione del credito, dunque, non è necessario il consenso del debitore ceduto in quanto, in linea di massima, al debitore risulta indifferente adempiere nei confronti di un soggetto o nei confronti di un altro. Tale assunto, tuttavia, non è sempre veritiero in quanto il debitore potrebbe avere un interesse ad adempiere nei confronti di quel determinato creditore. Dunque, è indispensabile che al creditore venga comunicata l’avvenuta cessione in quando altrimenti non sa che titolare del rapporto è divenuto un altro soggetto.

Proprio per tale motivo l’art. 1264 c.c. tutela il debitore che adempia nei confronti del creditore originario qualora l’avvenuta cessione non gli sia stata notificata, avendo egli eseguito la prestazione nei confronti di un soggetto che appariva legittimato a riceverla.

Ai sensi del comma secondo, se la cessione non viene notificata al debitore, nel caso in cui questi paghi all’originario creditore risulterà liberato a patto che sia stato in buona fede. Al contrario, se il debitore paghi al creditore originario pur essendo a conoscenza dell’intervenuta cessione, tale adempimento non può essere considerato liberatorio avendo egli adempiuto nei confronti di un soggetto che sapeva non essere più titolare del credito.

Quanto ai presupposti di applicazione dell’art. 1189 c.c., si è detto che deve trattarsi di un soggetto che debba apparire legittimato a ricevere il pagamento. Ed ancora, più nello specifico del dettato normativo, tale soggetto deve apparire legittimato a ricevere il pagamento in base a circostanze univoche, ossia quelle situazioni capaci di far sembrare reale una situazione che reale non è.

Precisamente, trattasi di situazioni che per la loro specificità o per la loro rilevanza giustificano l’errore nel quale è caduto il debitore.

L’art. 2559 c.c. sotto la rubrica “Crediti relativi all’azienda ceduta” statuisce che “la cessione dei crediti relativi all’azienda ceduta, anche in mancanza di notifica al debitore o di sua accettazione, ha effetto, nei confronti dei terzi, dal momento dell’iscrizione del trasferimento nel registro delle imprese. Tuttavia, il debitore ceduto è liberato se paga in buona fede all’alienante.”

La predetta fattispecie comporta un’eccezione rispetto quanto statuito dall’art. 1264 c.c. secondo cui la cessione dei crediti relativi all’azienda ceduta, per essere opponibile al debitore, deve essere iscritta nel registro delle imprese. Proprio la pubblicità derivante dall’iscrizione nel registro delle imprese (la quale sostituisce la comunicazione ad personam) non comporta la necessità della notifica dell’avvenuta cessione dei crediti inerenti all’azienda. Tuttavia, il debitore ceduto è liberato se paga in buona fede all’alienante. Il legislatore, dunque, tutela il debitore che abbia eseguito la prestazione nei confronti del creditore originario ritenendolo, nell’ambito di un bilanciamento di interessi, maggiormente meritevole di tutela.

Continuando con l’analisi dei presupposti, giova rammentare che con il termine “buona fede” soggettiva si intenda uno stato psicologico dato dalla convinzione di comportarsi secondo diritto; la buona fede oggettiva, invece, è un criterio comportamentale e consiste nel comportarsi secondo correttezza. Si è detto che il creditore ed il debitore nell’esecuzione della prestazione devono comportarsi reciprocamente secondo buona fede e correttezza.

Partendo dalla constatazione secondo cui sul debitore gravi sempre un dovere i diligenza, la buona fede presa in considerazione l’art. 1189 c.c. è quella soggettiva, ossia quello stato psicologico del debitore il quale, nel momento in cui paga al creditore, deve essere convinto di comportarsi secondo diritto, ossia di eseguire la prestazione nei confronti di quell’effettivo titolare della situazione giuridica.

Quanto poc’anzi detto presuppone che la buona fede del debitore venga considerata scusabile. Nel caso in cui il debitore, nell’adempiere l’obbligazione, non abbia posto in essere una condotta diligente, tale da verificare che l’accipiens sia realmente legittimato a riceverla, il suo errore non è scusabile, esulando dalla tutela di cui all’art. 1189 c.c.

Un’altra fattispecie in cui viene in rilievo la buona fede soggettiva è l’art. 1153 c.c. secondo cui “colui al quale sono alienati beni mobili da parte di chi non ne e’ proprietario, ne acquista la proprietà mediante il possesso, purché sia in buona fede al momento della consegna e sussista un titolo idoneo al trasferimento della proprietà.”

Dunque, ai sensi della predetta fattispecie, il soggetto deve essere in buona fede al momento della consegna. Chi riceve il bene in buona fede in favore di un titolo astrattamente idoneo è tutelato nonostante il bene trasferito non sia del legittimo proprietario. Pertanto, se dall’analisi della condotta del debitore si evince che quel soggetto appariva legittimato a ricevere la prestazione, il debitore è tutelato.

Fondamentale risulta, altresì, la condotta del creditore, dovendo egli deve porre in essere una condotta tale da non ledere gli interessi del debitore. Tali interessi sono quello del debitore ad essere liberato dall’obbligazione e a non subire un aggravamento nell’adempimento dell’obbligazione.

Ai sensi dell’art. 1227 c.c. “se il fatto colposo del creditore ha concorso a cagionare il danno il risarcimento è diminuito secondo la gravità della colpa e l’entità delle conseguenze che ne sono derivate. Il risarcimento non è dovuto per i danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l’ordinaria diligenza.”

Quindi, anche il creditore è titolare di determinate situazioni giuridiche passive ed è tenuto ad una condotta collaborativa nei confronti del debitore. Il rapporto giuridico obbligatorio, infatti, si intende come rapporto di cooperazione e non più come rapporto di totale subordinazione del debitore nei confronti del creditore: entrambe le parti devono cooperare per il raggiungimento del risultato finale, ossia l’esatto adempimento della prestazione.

Quindi, la buona fede oggettiva del creditore incide sulla configurazione della situazione apparente: maggiore è la condotta colposa del creditore (tale da ledere il dovere di buona fede oggettiva), minore sarà la buona fede soggettiva esigibile dal debitore (cioè minore sarà la pretesa vantabile nei confronti del debitore).


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