Il periculum libertatis di commissione di determinati reati nelle misure cautelari: profili di criticità

Il periculum libertatis di commissione di determinati reati nelle misure cautelari: profili di criticità

Sommario: 1. L’esigenza cautelare di cui all’art 274 lett. c) – 2. Conclusioni

 

1. L’ esigenza cautelare di cui all’art 274 lett. c)

Nel modificare i presupposti applicativi delle misure cautelari e ridurre gli abusi della carcerazione preventiva probabilmente il legislatore del 2015 aveva anzitutto di mira la lett. c) dell’art. 274 c.p.p., la quale rappresenta l’esigenza cautelare più frequentemente invocata nel richiedere provvedimenti limitativi della libertà personale e, al contempo, quella più difficilmente confutabile da parte della difesa.

Pur essendo diffusa l’idea che le istanze di tutela della collettività dovrebbero essere perseguite con strumenti diversi da quelli cautelari, l’esigenza di tutela della collettività non è stata ritenuta contrastante con la Costituzione[1] ed è stata esplicitamente riconosciuta dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo all’art. 5 lett. c), il quale afferma chiaramente che la privazione della libertà di una persona può essere giustificata per impedirgli di commettere un reato.

Tuttavia, la possibilità di ricorrere alla carcerazione preventiva, nell’ottica di evitare di lasciare in libertà un soggetto pericoloso, comporta una serie di conseguenze e ripercussioni che possono essere così sintetizzate.

In primis, parlare di “imputato pericoloso” rappresenta un ossimoro, una contraddizione, irriducibile alle regole del giusto processo, a partire dalla presunzione d’innocenza di cui all’art. 27 comma 2 Cost. che ripudia una concezione della carcerazione preventiva come misura di sicurezza fondata su di un giudizio di pericolosità che postuli la colpevolezza dell’imputato.

Inoltre, da un punto di vista pratico, questa esigenza «attrae ed eleva la sensibilità del giudice nella valutazione del pericolo di ulteriori comportamenti criminali da parte del soggetto»[2], comportando un rischio concreto di strumentalizzazione della misura cautelare.

Infatti, dall’art. 274 lett. c), il quale  esplicitamente afferma che l’esigenza cautelare ricorre «quando, per le specifiche modalità e circostanze del fatto e per la personalità della persona sottoposta alle indagini o dell’imputato, sussiste il concreto e attuale pericolo che questi commetta gravi delitti con uso di armi o di altri mezzi di violenza personale o diretti contro l’ordine costituzionale ovvero delitti di criminalità organizzata o della stessa specie di quello per cui si procede», se ne ricava che al giudice non si chiede solo di analizzare il fatto, ma di formulare un giudizio sul suo autore. Se la pericolosità sociale può essere desunta da comportamenti o atti concreti o anche da precedenti penale, si coglie come l’intervento cautelare si avvicina ai caratteri di una misura di sicurezza.

E allora, al fine di non contraddire il principio di non colpevolezza e non permettere deviazioni inquisitorie, occorre restituire centralità alla valutazione del fatto, ridurre le ambiguità e le insidie che si annidano nel concetto di pericolosità. Insomma, il pericolo di reiterazione del reato deve emergere con chiarezza sulla base di dati oggettivi e diversi dalla sola gravità del fatto.

Alla luce di ciò, innanzitutto, l’impiego di massime di esperienza deve essere rigoroso: deve trattarsi di nozioni di senso comune, approfondite da una pluralità di casi ipotizzati come generali che il giudice in tanto può utilizzare in quanto non si risolvano in semplici deduzioni o in criteri meramente intuitivi[3]. In altre parole, è possibile il ricorso a massime di esperienza, ma è vietato il riferimento a congetture[4], cioè ad ipotesi fondate su mere possibilità non verificabili empiricamente.

inoltre, nell’ottica di contrastare interpretazioni discrezionali dell’art 274 lett. C) c.p.p. che possano condurre all’adozione di misure cautelari contrarie ai principi e ai valori costituzionali, è di fondamentale importanza la valorizzazione dei requisiti secondo cui il pericolo di commissione di futuri reati deve essere attuale e concreto.

Al riguardo, l’inserimento dell’aggettivo «attuale» (ad opera della legge n. 47 del 2015) chiarisce che occorrono elementi concreti da cui dedurre l’esistenza di occasioni prossime favorevoli alla commissione di nuovi reati, dovendo il giudizio prognostico esprimere «un livello di pericolo particolarmente significativo, apprezzabile e non meramente ipotetico, ma reale e soprattutto attuale»[5].

Nella prassi, però, è stato difficile giungere a tali conclusioni per una serie di ragioni. D’altronde, i margini di discrezionalità consentiti dalla norma hanno portato a dilatarne l’ambito di applicazione, conseguentemente causando una svalutazione del requisito della concretezza, ridotto talvolta ad una prognosi ipotetica incerta, espressa nella mera possibilità che l’indagato possa commettere un ulteriore reato[6].

Il problema di fondo è rappresentato dalla tendenza a dedurre la pericolosità sociale dell’indagato o dell’imputato, e il conseguente rischio di reiterazione della condotta criminosa, dalla gravità dei fatti addebitati. In tal modo, l’accurata ricostruzione della gravità indiziaria diventa il tema principale e assorbe la valutazione sulla pericolosità.

Ancora una volta, l’introduzione del requisito dell’attualità potrebbe risultare utile per risolvere la problematica.

Non è più possibile dedurre il rischio di recidiva unicamente dalla molteplicità dei fatti contestati o dalla oggettiva gravità degli stessi. La gravità del fatto o il grado di colpevolezza devono di certo incidere sulla commisurazione della pena in fase di condanna, ma in sede cautelare devono poter rilevare solo ove evidenzino che, se il soggetto verrà lasciato libero, vi è un pericolo “attuale” per la collettività. Pure i precedenti penali possono essere utili a rivelare la personalità dell’indagato, ma non possono di per sé esaurire la motivazione del giudice, soprattutto, se relativi ad episodi risalenti nel tempo[7].

Uno dei maggiori problemi, prima della riforma del 2015, era quello per cui la giurisprudenza aveva la consuetudine di sovrapporre la valutazione dei gravi indizi di colpevolezza alla sussistenza delle esigenze cautelari[8] ed è proprio su tale punto che si deve misurare il tasso di successo della riforma nell’evitare che ciò accada.

In questa logica per il pericolo di reiterazione del reato si è specificato che le situazioni di concreto e attuale pericolo non possono dedursi esclusivamente dalla gravità del titolo del reato. Ed, invero, la ratio della riforma è proprio quella di «superare quelle forme surrettizie di presunzione giurisprudenziale che di fatto enucleano la sussistenza delle esigenze cautelari dalla sola gravità del reato commesso e puntare su una valutazione rigorosa, che sappia valorizzare il principio della tendenziale prevalenza della libertà sulla restrizione»[9].

In realtà, però, rispetto a tali intenti e premesse, la stesura definitiva dell’art. 274 c.p.p. lascia insoddisfatti in quanto ne emerge una sostanziale incapacità a realizzare un radicale cambio di rotta[10]

Ulteriore criticità è data dal riferimento alla gravità del titolo del reato, contenuto nell’ultima parte dell’art. 274 lett. c) («le situazioni di concreto e attuale pericolo, anche in relazione alla personalità dell’imputato, non possono essere desunte esclusivamente dalla gravità del titolo di reato per cui si procede»), in quanto limitante la portata innovativa della riforma.

Se da un lato la giurisprudenza aveva già evidenziato che nel valutare negativamente la personalità dell’indagato non potesse farsi riferimento al solo titolo del reato e alla sua ipotetica gravità[11], dall’altro lato la norma non riesce a evitare la tendenza dei giudici di trarre il giudizio di pericolosità dell’imputato dalla gravità degli indizi di colpevolezza a suo carico[12].

Uno dei primi segnali di tale attitudine si può rinvenire in alcuni provvedimenti giurisdizionali nei quali si afferma che il concreto pericolo di reiterazione dell’attività criminosa può essere desunto anche dalla molteplicità dei fatti contestati in quanto indice sintomatico di una personalità incline al delitto, indipendentemente dall’attualità di detta condotta e quindi anche se essa sia risalente nel tempo[13].

Al riguardo la dottrina ha evidenziato, in senso critico, che si tratta di una decisione che non tiene conto in alcun modo del criterio dell’attualità della prognosi di recidiva, ma che piuttosto dimostra come, in giurisprudenza, non si sia ancora riusciti ad arginare determinate interpretazioni che pongono gli stessi e soli presupposti che dimostrino la gravità indiziaria a fondamento delle esigenze cautelari, prassi che si era proprio cercato di evitare. In poche parole, se si voleva evitare di “doppiare” impropriamente la decisione sul fatto[14], la modifica apportata dalla riforma del 2015 non appare adeguata a risolvere tale problema.

Sembra, dunque, piuttosto difficile individuare un apprezzabile ambito applicativo per le disposizioni della riforma del 2015, dato l’affermato indirizzo secondo cui non è possibile disporre una misura cautelare sulla sola base della gravità del titolo del reato contestato e tenuto conto del fatto che, fino ad oggi, il riferimento alla concretezza del pericolo era già riuscito a costituire un limite a interpretazioni di questo genere.

2. Conclusioni

Alla luce delle considerazioni sin ora fatte, emerge la preoccupazione del rischio di sovrapposizione tra le misure cautelari ex art 274 lett. C) e le misure di prevenzione le quali si caratterizzano, appunto, per la loro natura special-preventiva e sono intese a evitare la commissione di reati da parte di individui ritenuti socialmente pericolosi.

D’altronde, la loro ragion d’essere è connotata dal perseguimento di una funzione preventiva diretta a contrastare la pericolosità sociale degli individui, sia nella dimensione personale sia nella sfera patrimoniale.

Insomma, la definizione di pericolosità che sottintende quelle misure è proprio individuata nella rilevante probabilità, basata su un giudizio prognostico, di realizzazione di determinati fatti di reato: concetto del tutto analogo a quello di pericolo di reiterazione di reati della stessa specie o di pericolo di commissione di particolari reati con l’uso di mezzi violenti, che è accolto in materia di provvedimenti cautelari dall’art. 274, lett. c, c.p.p.

Non va, tuttavia, dimenticato che mentre le misure di prevenzione non presuppongono l’instaurarsi di un processo penale nei confronti del soggetto e richiedono, come condizione sufficiente e necessaria a legittimare l’applicazione di una misura di prevenzione personale, che l’attività criminosa risulti da  meri indizi o elementi di fatto; diversamente le misure cautelari presuppongono la presenza di «gravi indizi di colpevolezza» ex art. 273 c.p.p, con ciò esigendo un particolare livello quantitativo degli elementi raccolti, i quali devono, appunto, raggiungere un grado di consistenza significativo, molto vicino, se non addirittura prossimo, a quello indispensabile per giustificare una condanna[15].

Il tutto accompagnato dall’idea che tanto le misure cautelari quanto le misure di prevenzione hanno una chiara finalità preventiva, anziché punitiva, mirando a limitare la libertà di movimento del loro destinatario per impedirgli di commettere ulteriori reati.

 

 

 

 

 

 


BIBLIOGRAFIA
BORRELLI P., Una prima lettura delle novità della legge 47 del 2015 in tema di misure cautelari personali, in www.penalecontemporaneo.it, 3 giugno 2015.
BRICCHETTI R.-PISTORELLI L., Al pericolo concreto si aggiunge il canone dell’attualità, in Guida al diritto, 2015.
DE CARO, Presupposti e criteri applicativi, in AA. VV., Trattato di procedura penale, diretto da Spangher, vol. II, Tomo II, Le misure cautelari, a cura di SCALFATI, Milano 2008.
PRESUTTI A., Gli incerti confini delle esigenze cautelari: le cautele come forma di anticipazione della pena, in AA. VV., Le fragili garanzie della libertà personale, Giuffrè, 2014.

[1] Corte cost. 17 gennaio 1980, n. 1
[2] A. DE CARO, Presupposti e criteri applicativi, cit., p. 72
[3] Cass., 9 ottobre 2012, Ruoppolo, in C.e.d., n. 254196.
[4] Cass., 28 maggio 2014, Schembri, in C.e.d., n. 260813.
[5] A. DE CARO, Presupposti e criteri applicativi, cit., p. 73
[6] A. PRESUTTI, Gli incerti confini delle esigenze cautelari: le cautele come forma di anticipazione della pena, in AA. VV., Le fragili garanzie della libertà personale, Giuffrè, 2014., p. 53.
[7] Cass., 17 aprile 2009, Fiori, in C.e.d., n. 243887.
[8] R. BRICCHETTI-L. PISTORELLI, Al pericolo concreto si aggiunge il canone dell’attualità, in Guida al diritto, 2015, p. 40
[9] Così Relazione al progetto di legge n. AC 631, contenente Modifiche al codice di procedura penale in materia di misure cautelari personali, presentato alla Camera dei Deputati, dagli On.li Ferranti e altri, il 3 aprile 2013, p. 2
[10] Una sollecitazione in tal senso è stata espressa, ad esempio, dal Primo Presidente della Corte di cassazione, Ernesto Lupo, durante l’Audizione alla Commissione giustizia della Camera dei Deputati, nel corso dell’indagine conoscitiva sui progetti di legge recanti disposizioni in materia di misure cautelari personali, tradotti, poi, in legge n. 47 del 2015 (Resoconti stenografici delle indagini conoscitive, Camera dei Deputati, 27 settembre 2012, p. 5).
[11] Cass., 29 marzo 2000, Penna, in C.e.d., n. 216304.
[12] Cass., 5 novembre 2004, Esposito, in C.e.d., n. 231276.
[13] Trib. Bologna. 15 maggio 2015, Campagna, in Arch. pen., 2015, p. 1.
[14] P. BORRELLI, Una prima lettura delle novità della legge 47 del 2015 in tema di misure cautelari personali, in www.penalecontemporaneo.it, 3 giugno 2015, p. 7
[15] APRILE, Le misure cautelari nel processo penale, Milano, 2003, pp. 108 ss.

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