Il processo di progressivo superamento del sistema “carcerocentrico”

Il processo di progressivo superamento del sistema “carcerocentrico”

La decostruzione del sistema carcerario centrico è avvenuta gradualmente e per questo è utile analizzare la cronologia storica dello stesso.

Il sistema delineato dal legislatore nel 1930 poneva al centro la pena detentiva e carceraria, dando una grande coerenza ad ogni aspetto del diritto penale, ovvero al diritto penale sostanziale, processuale e penitenziario. 

Questi tre aspetti sono indissolubilmente legati tra di loro, perché il diritto penale non potrebbe esistere senza il processo (diritto processuale) e senza l’esecuzione della pena (diritto penitenziario).

Le modifiche normative fatte, a partire dal ’75, pur togliendo omogeneità al sistema penale, riescono a ridimensionare il ruolo del carcere, attraverso il rafforzamento delle misure alternative, reso possibile grazie all’ampliamento dei limiti modificali delle pene nonché dei criteri per l’applicazione dei presupposti, realizzatesi con l’obiettivo di mantenere e rafforzare la tutela dei diritti fondamentali, in un’ottica risocializzante.

Inoltre, è importante ricordare che accanto alle pene detentive sono presenti anche quelle pecuniarie ex art. 17 c.p., a ribadire la presenza di altre soluzioni sanzionatorie possibili, oltre il carcere [1].

Sulla base di queste premesse, si può parlare di superamento della visione polifunzionale della pena «affermando la prevalenza della rieducazione, intesa nella sua versione ‘laica’ di risocializzazione. Si tratta di un carattere della pena che caratterizza quest’ultima dal momento in cui viene posta in astratto dal legislatore a quello in cui è concretamente eseguita» [2].

La finalità rieducativa, anche nel rispetto dell’art . 27 Cost. comma 3, deve riguardare tutti i momenti della pena, dalla pena minacciata (il legislatore), alla pena comminata (il giudice della cognizione), fino alla pena eseguita (magistrato di sorveglianza e amministrazione penitenziaria).

La progressiva erosione del sistema carcerocentrico inoltre è un’attività che opera in due sensi, ovvero riguarda sia la pena detentiva, intesa come genus della pena carceraria, sia il superamento del carcere in quanto tale.

Massimo Pavarini (1947-2015), in “ Il sistema della giustizia penale tra riduzionismo e abolizionismo” delinea tre diversi approcci: l’abolizionismo penale, l‘abolizionismo istituzionale ed il riduzionismo penale.

Nel primo caso l’abolizionismo penale si fa portatore di una visione estrema, debolmente suffragata sul piano scientifico e difficilmente attuabile a livello pratico. Difatti, gli abolizionisti penali vogliono superare il diritto penale in quanto tale, ossia l’idea che nei rapporti autorità-libertà (Stato-individuo) lo Stato possa infliggere sofferenza all’individuo, attraverso l’utilizzo di metodi violenti, prediligendo invece l’ utilizzo di misure meno feroci, come le sanzioni amministrative.

Mentre, l’abolizionismo istituzionale delinea una prospettiva meno estrema, volta al superamento delle istituzioni totali [3]. Tale teoria offre degli spunti di riflessione, in quanto sottolinea che il carcere non deve essere considerato una struttura naturale, all’interno del sistema penale, perché non è sempre esistito, poiché lo stesso in passato veniva utilizzato come luogo per custodire i soggetti in attesa di giudizio. Inoltre, il superamento del carcere non può essere liquidato come utopia irrealizzabile, visto che la storia è costellata di utopie divenute realtà, come: l’abolizione della pena di morte, la chiusura dei manicomi, o l’abolizione della schiavitù.

Gli abolizionisti istituzionali sottolineano anche la centralità della pena pecuniaria, che produce effetti però soltanto per coloro che si trovano tutti nelle stesse condizioni economiche, altrimenti creerebbe una disuguaglianza, come era successo nelle codificazioni dell’800 e del ‘900.

La legge dell’n.689/81, riempiendo un vuoto normativo, ridefinisce i meccanismi di conversione, in caso di mancata esecuzione della pena detentiva, in modo da valutare caso per caso le condizioni economiche del reo.

Infine gli abolizionisti ritengono che il carcere non funzioni a livello utilitaristico : – perché non ha carattere deterrente, ma criminogeno, in quanto rafforza il sodalizio penale (considerando la funzione generale-preventiva ); -perché non riduce il rischio di recidiva in maniera significativa (per la funzione special-preventiva ); e – il carcere, in quanto tale, non si colloca in una prospettiva risocializzante , tendendo anzi all’esclusione sociale del reo. In quest’ottica il carcere sarebbe giustificato solo accettando una visione della pena in termini retributivi.

Infine il riduzionismo penale è la teoria più sostenibile sul piano scientifico, nonché più empiricamente attuabile da parte del diritto positivo. Difatti, tale teoria parte dal diritto penale sostanziale, sottolineando come questo debba essere usato come extrema ratio, a causa dell’elefantiasi del diritto penale, che si trova ad aggiungere fattispecie di reato, sia per far fronte all’ansia sociale, sia per la presenza di forme di depenalizzazione (le misure alternative). L’obiettivo sarebbe rafforzare l’utilizzo della pena pecuniaria e introdurre alternative al carcere nel catalogo delle pene principali.

A livello processuale penale si dovrebbe tentare di superare le criticità della custodia cautelare, mentre a livello esecutivo, quindi in un’ottica di diritto penitenziario, vi dovrebbe essere un progressivo rafforzamento delle misure alternative alla detenzione.

 

 

 

 

 

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[1] PUGIOTTO A., Il volto costituzionale della pena, in AIC, n.2, 2014.
[2] Corte Cost., sentenza n. 313 del 1990.
[3] «Un’istituzione totale può essere definita come il luogo di residenza e di lavoro di gruppi di persone che – tagliate fuori dalla società per un considerevole periodo di tempo – si trovano a dividere una situazione comune, trascorrendo parte della loro vita in un regime chiuso e formalmente amministrato. Prenderemo come esempio esplicativo le prigioni nella misura in cui il loro carattere più tipico è riscontrabile anche in istituzioni i cui membri non hanno violato alcuna legge. Questo libro tratta il problema delle istituzioni sociali in generale, e degli ospedali psichiatrici in particolare, con lo scopo precipuo di mettere a fuoco il mondo dell’internato» GOFFMAN E., Asilo Le istituzioni totali: i meccanismi dell’esclusione e della violenza , 1961, Einaudi editore.

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Chiara Ottaviano

Dottoressa in giurisprudenza. Ho conseguito la laurea presso il dipartimento di Roma tre, ad ottobre 2022, con una tesi in diritto missionario, analizzando gli Acta Apostalicae Sedis dal 1918 al 1963. Attualmente, praticante avvocato in diritto civile, con attenzione al diritto di famiglia ed al diritto fallimentare. A settembre 2023 ho conseguito un Master di II livello in diritto penitenziario e Costituzione, presso il dipartimento di Roma tre, discutendo una tesi sulla condizione delle recluse transgender all'interno dell'amministrazione penitenziaria e sviluppando un grande interesse per la normativa concernente la comunità LGBTQAI+. Ho da poco terminato, presso il dipartimento di Giurisprudenza di Roma tre il corso in materia diritti umani e ONG curato in collaborazione con CILD. Attualmente collaboro come volontaria presso Antigone nell'ufficio del Difensore civico.

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