Il regime del crollo d’edificio nella proprietà superficiaria

Il regime del crollo d’edificio nella proprietà superficiaria

Sommario: 1. Introduzione – 2. Il diritto di superficie di cui all’art. 952 c.c.: il doppio regime disciplinare – 3. Il caso applicativo: il regime applicabile nel caso di crollo d’edificio

 

Introduzione

Il concetto di proprietà superficiaria viene introdotto per la prima volta con il Codice del 1942, attraverso la previsione di un apposito diritto reale di godimento, contemplato dall’art.952 c.c.

La proprietà superficiaria, o diritto di superficie, quale tipologia di diritto reale minore, rappresenta uno ius in re aliena incidente sul diritto reale per eccellenza, la proprietà, costituendone una significativa limitazione al godimento e alla disponibilità.

Per tale attitudine, la fattispecie in questione tarda ad affermarsi in un ordinamento, quale quello italiano, che necessita di affrancarsi da una concezione di proprietà privata dalle reminiscenze napoleoniche e post-rivoluzionarie, ove i diritti reali minori altro non erano se non un ostacolo alla completa, illimitata e assoluta affermazione delle proprietà fondiaria.

L’art.952 c.c. si caratterizza dunque per l’essere una fattispecie che, gravando sul diritto di proprietà, realizza da un lato, una deroga espressa al principio dell’accessione e dall’altro determina una peculiare scissione tra la proprietà del suolo e quella della costruzione.

Ciò implica un regime normativo, dal contenuto tipico, coerente con il principio del numerus clausus dei diritti reali, tale per cui si rende opportuno comprendere la sorte della costruzione realizzata su suolo altrui, con particolare riguardo al crollo della stessa. Questo, tenuto conto dell’apparente doppio regime disciplinare predisposto dall’art.952 c.c.

Del resto si è in presenza di un diritto reale alquanto limitativo che rappresenta, insieme all’accesso invertito ex art.934 c.c., una delle due eccezioni al principio di unitarietà del diritto di proprietà, generalmente insuscettibile di scissione tra la proprietà del suolo e quella dell’edificazione.

Non di meno, sia la superfice che gli altri limiti reali, nel rispetto della tipicità contenutistica e del numero chiuso, devono però considerarsi accomodanti rispetto al principio della funzione sociale di cui all’art.42 Cost.; principio economico-patrimoniale che, pur temporalmente successivo al codice, ha plasmato la proprietà privata rendendola una bene patrimoniale accessibile a tutti.

Onde comprendere il regime della superficie, appare opportuno sviscerare il contenuto della fattispecie in questione, la quale si compone di due commi, i quali derogano al principio di ordine pubblico superficies solo cedit, secondo cui tutto ciò che è costruito sopra il suolo accede ad esso e viene acquisito a titolo originario da parte del titolare del suolo stesso.

2. Il diritto di superficie di cui all’art.952 c.c.: il doppio regime disciplinare

Il comma 1 dell’art.952 c.c. disciplina quello che viene definito ius ad aedificandum, ovvero il diritto che il proprietario concede al terzo di edificare sul proprio terreno, attraverso la costituzione di una proprietà superficiaria che può avere carattere perpetuo o temporaneo, ex art.954 c.c.

Tale concessione, in quanto costitutiva di un diritto reale, impone la forma scritta ad substantiam ai sensi dell’art.1350 n.2 c.c. e, a fini d’opponibilità a terzi, richiede la trascrizione ai sensi dell’art.2643 n.2 c.c.

Nel carattere temporale della proprietà superficiaria si ravvede un altro punto di frizione rispetto al diritto di proprietà, normalmente perpetuo, posto che alla scadenza del termine stabilito la proprietà superficiaria e la sua costruzione torna nuovamente nella titolarità del proprietario del suolo.

Invero, il diritto di proprietà, dal carattere elastico, si riespande tornando a rioperare il principio generale dell’accessione.

Il comma 2 della disposizione sembra invece contemplare una differente fattispecie definita “proprietà separata”.

La proprietà separata si realizza allorquando il titolare del terreno edifica egli stesso l’immobile per poi alienare a un terzo solo la proprietà del bene, mantenendo a sé la proprietà del suolo.

A tale disposizione, tuttavia, l’art.956 c.c. va ad aggiungere il divieto di alienazione della piantagione, separatamente alla proprietà della superficie e ciò è comprensibile dovendosi ritenere che la piantagione non può essere concepita come un bene dotato di esistenza autonoma scindibile dall’incorporazione nel suolo.

Se tali sono le ipotesi disciplinate dall’art.952 c.c. se ne deve comprendere il legame intercorrente e in particolare verificare se si è in presenza di una fattispecie normativa unitaria, come sostenuto da parte della dottrina, ovvero se i due commi devono ritenersi due fattispecie separate, aventi ad oggetto situazioni diverse.

La ragione della difficoltà interpretativa nel delineare il rapporto tra fattispecie è altresì giustificata dal fatto che l’art.954 c.c., sembra non tenere conto di un’effettiva diversità tra i due commi, stabilendo un unico regime disciplinare.

Ed invero, vi è un’impostazione unitaria che, sostanzialmente, assimila il diritto edificatorio all’acquisizione della proprietà separata, ritenendo che in entrambe le ipotesi il proprietario dell’immobile acquisisce lo sfruttamento della potenzialità edificatoria.

In termini, si ritiene che anche la proprietà separata si correda del diritto di edificazione che, insieme ad essa, si trasferisce all’acquirente dell’edificio.

Si aggiunge che il disponente può anche porre in essere, più che un negozio ad effetti reali con cui costituisce la proprietà superficiaria, un vero e proprio credito verso il superficiario.

In tal caso saremmo in presenza di un’obbligazione con cui il primo si impegna a cedere la proprietà superficiaria al secondo, l’art.1322 comma 2 c.c. consentendo delle pattuizioni atipiche delle quali occorre valutare caso per caso il tipo di vincolo realizzato e la causa concreta.

Come pocanzi accennato, l’unitarietà della disciplina sarebbe avvalorata dal fatto che il regime complessivo, e in particolare l’art.954 c.c., non contempla alcun sistema differenziato tra lo ius ad aedificandum e la proprietà separata.

Ciò, in particolare, ove la norma stabilisce che il perimento della costruzione non comporta, salvo patto contrario, l’estinzione del diritto di superficie senza far riferimento alcuno alla prima o alla seconda ipotesi.

Tale impostazione non trova però il consenso di quanti ritengono si sia in presenza di due fattispecie tra loro autonome e distinte, che danno vita ad altrettanti modi d’acquisto del diritto reale.

In particolare, nel primo caso si osserva un diritto edificatorio in capo al superficiario, in forza del quale la proprietà della costruzione viene da lui acquisita a titolo originario.

Il diritto edificatorio in capo al superficiario prescinde dalla costruzione dell’edificio, tanto è vero che si estingue per uso non protratto per un ventennio, ai sensi dell’art.954 comma 4 c.c.

Nel secondo caso, al contrario, si avrà una alienazione della costruzione a titolo derivativo che sembra non comportare alcun diritto edificatorio in favore del superficiario, limitandosi la norma al solo trasferimento della proprietà del bene.

Ciò stabilito in merito al duplice quanto incerto regime di cui all’art.952 c.c. può darsi rilevo delle conseguenze applicative concernenti l’ipotesi del crollo dell’edificio.

3. Il caso applicativo: il regime applicabile nel caso di crollo d’edificio

Il crollo dell’edificio, normalmente, non pone particolari problemi interpretativi in merito alle conseguenze derivanti dal ricorrere della fattispecie contemplata dal comma 1.

Se è vero come è vero che lo ius ad aedificandum è un diritto reale di superficie che viene concesso al terzo dal proprietario del suolo, al fine di realizzarvi una costruzione, sia in sopraelevazione che nel sottosuolo, si può ritenere che la proprietà della costruzione sarà acquisita dal terzo a titolo originario.

Tale modo d’acquisto reca con sé più d’una conseguenza.

In primo luogo il superficiario, divenendo titolare della sua costruzione a titolo originario, non sarà tenuto all’adempimento degli oneri pubblicitari ai sensi e per gli effetti dell’art.2643 n.2 c.c., posto che l’obbligo della trascrizione si rende funzionale solo al fine di conferire certezza giuridica negli acquisti a titolo derivativo.

In secondo luogo, con riferimento all’aspetto principale del crollo dell’edificio e in conformità all’art.954 comma 4 c.c. può affermarsi che, nonostante il crollo, non venga meno in capo al terzo superficiario il diritto all’edificazione sul suolo altrui; diritto che persiste in quanto inerente alla porzione di terreno oggetto della limitazione.

Egli sarà dunque legittimato a ricostruire il bene non essendo venuto meno il diritto reale di godimento.

Del resto, il limite al diritto di proprietà del concedente non risiede nella costruzione in sé, quanto nella concessione del diritto di costruire sul suolo, ancorché la proprietà dell’immobile ultimato dia vita a una proprietà separata rispetto al terreno.

Di maggior difficoltà appare il regime applicabile nel caso in cui ricorra la fattispecie contemplata dal comma 2.

Taluni, come accennato, escludono addirittura che si sia in presenza di un diritto reale minore riconducibile nell’alveo del diritto di superficie, posto che non v’è alcuna concessione di uno ius ad aedificandum, bensì solo l’alienazione con proprietà separata di un bene già costruito dal proprietario sul suo terreno.

È evidente che si è in presenza di un acquisto a titolo derivativo dell’immobile in questione che, come tale, implica l’onere di trascrizione ai sensi dell’art.2643 c.c.

La peculiare differenza rispetto al diritto edificatorio risiederà dunque nell’impossibilità per l’acquirente dell’immobile separato di ricostruirlo a seguito del crollo, posto che verrebbe a mancare un diritto reale di superficie sul suolo.

Ammesso che si versi nella situazione dell’incompatibilità tra le due fattispecie, ci si domanda che natura giuridica abbia il diritto reale contemplato dal comma 2, che non consente all’acquirente la riedificazione dell’immobile crollato.

All’uopo viene spontaneo realizzare un parallelismo tra la fattispecie in questione e alcune fattispecie affini, per quanto non totalmente sovrapponibili, quali ad esempio la cessione di cubatura o proprietà edificatoria.

Nella cessione di cubatura o anche di volumetria assistiamo ad un negozio con cui il proprietario di un’area edificabile vende ad un altro soggetto il potenziale edificatorio, nell’ambito del sistema di perequazione urbanistica previsto dagli strumenti urbanistici locali.

Secondo un’accreditabile opinione si è in presenza di un negozio con cui si trasferisce, non un diritto di proprietà atipico scorporato da quello originario, bensì un diritto di proprietà avente ad un nuovo e diverso oggetto, ossia la cubatura o volumetria.

Questa soluzione appare coerente e conforme e con il numerus clausus dei diritti reali e con il principio di elasticità del diritto di proprietà che verrebbe a riespandersi in favore del cedente nel caso in cui il negozio di cubatura venga meno.

Orbene, se ciò vale per la cessione di cubatura un analogo ragionamento può compiersi per la fattispecie contemplata dal comma 2 dell’art.952 c.c., potendosi ritenere che non si è in presenza di un diritto reale atipico scorporato dalla proprietà del suolo, ma di un diritto di proprietà avente un diverso oggetto, la proprietà della costruzione.

Che si sia in presenza di una proprietà a sé stante è avvalorato, secondo la tesi in questione, dall’usucapibilità della costruzione da parte del proprietario del suolo dopo 20 anni dalla scadenza del termine.

Del pari, una volta decorso il termine stabilito in contratto, la costruzione accede alla proprietà sottostante per effetto del regime dell’accessione.

Secondo suddetta impostazione, la costituzione di un simile diritto non sarà tuttavia comprensiva del diritto edificatorio ossia la superficie in sé considerata, ma allo stesso tempo non si riesce a comprendere perché un’ipotesi avulsa dal resto venga disciplinata proprio da una norma in materia di proprietà superficiaria.

Vieppiù, se si prende in considerazione anche l’argomento a carattere storico.

Sebbene in un primo momento, nella Relazione di accompagnamento al Codice, si era pensato di concepire il secondo comma come una forma di servitù in favore dell’acquirente dell’edificio sul suolo del proprietario, si è poi eliminato ogni dubbio riconducendo anche la seconda fattispecie nell’alveo del diritto di superficie, ossia della medesima norma.

In ciò si ravvisa un’evidente volontà del legislatore a concepire le due fattispecie unitariamente.

Appare forse più logico ritenere che il comma 2 dell’art.952 c.c. contempli una situazione ove insieme al bene immobile già costruito venga alienato anche il diritto edificatorio, cosicché ben potrà trovare applicazione la previsione dalla portata omnicomprensiva di cui all’art.954 comma 4 c.c. di cui si è già specificato.

Più precisamente, la fattispecie di cui all’art.952 c.c. nella sua generalità può essere concepita a formazione progressiva, essa nascendo, o come un diritto reale di superficie suscettibile di divenire una proprietà sul bene di futura costruzione, ovvero direttamente come una proprietà sul bene acquistato comprensiva anche del diritto edificatorio.

Cosicché il regime del crollo dell’edificio si può ricostruire così nei seguenti termini.

Mentre la vicenda di cui al comma 1 si svolge in due tempi che vedono, dapprima la costituzione di un diritto reale superficiario che si trasforma in un diritto reale di proprietà sull’immobile, il comma 2 si svolge in un unico tempo in cui vi è l’alienazione della proprietà della costruzione congiuntamente al diritto reale di superficie.

Ciò implica che in entrambi i casi, sussistendo il diritto edificatorio, il crollo della costruzione non impedisce al titolare del diritto reale di ricostruire sul suolo gravato dal vincolo, il che trova riscontro sia nell’art.954 comma 4 c.c., che come si è detto non pare riferirsi esclusivamente al comma 1, sia nell’estinzione del solo diritto di edificare dopo il ventennio.

Su quest’ultimo aspetto, la mancata applicazione del principio dell’estinzione per non uso al diritto alla superficie, induce a ritenere la sussistenza di un istituto a formazione progressiva, caratterizzato dalla costituzione di un diritto reale autonomo suscettibile di diventare diritto di proprietà una volta che la costruzione è stata eseguita.


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