Il successo colpevolmente trascurato delle misure alternative alla detenzione

Il successo colpevolmente trascurato delle misure alternative alla detenzione

Sommario1. Le misure alternative alla detenzione previste dalla l. 26 luglio 1975 n. 354 – 1.1 L’affidamento in prova ai servizi sociali – 1.2 La detenzione domiciliare – 1.3 La semilibertà e la sua natura impropria – 1.4 Le percentuali di successo delle misure alternative e la loro funzione salvifica – 1.5 Considerazioni finali e profili di riforma inattuati

 

 

1. Le misure alternative alla detenzione previste dalla l. 26 luglio 1975 n. 354

Nell’Odierno sistema Penitenziario Italiano, a fianco della tradizionale pena detentiva, si  trovano delle misure  particolari che permettono l’espiazione della pena in una maniera differente e permettono il reinserimento nel tessuto sociale del condannato senza “passare” per le maglie del sistema carcerario. Questo tipo di misure sono dette appunto alternative.

Le Misure Alternative alla detenzione sono frutto di una disciplina contenuta all’interno della legge 26 luglio 1975 n. 354[1], con la quale vengono introdotte   le “norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure private e limitative della libertà”. La Legge sull’ordinamento penitenziario, seppur con varie modifiche[2] è  tutt’oggi vigente e costituisce il principale riferimento in relazione alle suddette misure .

Per molto tempo si è cercato, in dottrina, di dare una definizione maggiormente precisa delle stesse e per questo è arrivata in soccorso una definizione data dal Comitato dei Ministri del Consiglio D’Europa che, ad oggi, appare la più soddisfacente nonché la più pregnante:

“Sanzioni e misure che mantengono il condannato nella comunità ed implicano una certa restrizione della sua libertà attraverso l’imposizione di condizioni e/o obblighi e che sono eseguite dagli organi previsti dalle norme in vigore”.[3]

Da questa definizione, condivisa da tutta la dottrina, è facile comprendere rapidamente come queste sanzioni e misure nonostante siano  definite  alternative presuppongano comunque una “certa restrizione della libertà”[4]. Ci troviamo, dunque, all’interno di un campo piuttosto delicato da non confondere con la situazione di chi ha già scontato la sua pena ed ha difficoltà nel reinserimento; siamo ancora in una fase pregressa dove il soggetto beneficiario della misura deve completare questo percorso alternativo per essere reinserito come membro della società civile ma solo in un momento successivo.

E’ da sottolineare, in particolare, la caratteristica dell’alternatività[5] del percorso la quale risulterà fondamentale nonché prodromica al  migliore reinserimento del soggetto nella società evitando proprio la dolorosa esperienza della reclusione e tutte le stigmate che essa comporta per il detenuto.

Nel Titolo I della della legge 26 luglio 1975 n. 35 agli articoli 47ss  trovano la loro disciplina le misure alternative alla detenzione, che per comodità espositiva possiamo indicare in Affidamento in prova ai servizi sociali, Detenzione domiciliare e semilibertà.

1.1 L’affidamento in prova al servizio sociale

Il capo si apre con l’articolo 47  il quale contiene proprio la prima tipologia di misura alternativa prevista dalla presente legge e cioè l’Affidamento in prova ai servizi sociali, ed in più all’art 47/bis si trova  la disciplina relativa alle situazioni particolari infatti l’articolo presenta l’intestazione di Affidamento in Prova in casi particolari.[6]

L’articolo in questione si presenta piuttosto ricco in quanto è dotato di ben dodici commi  e costituisce un punto di partenza fondamentale in relazione all’analisi della misura stessa,in quanto è possibile effettuare una divisone in relazione ad i vari commi di esso.

Nei primi tre commi, infatti, sono contenuti i requisiti grazie ai quali è possibile l’ottenimento alla misura e cioè: una pena detentiva che non superi i tre anni [7]o quattro anni[8] ed in più la concessione della suddetta sarà subordinata ad un giudizio sulla personalità [9]del recluso o del soggetto in libertà, proprio perché è possibile che la richiesta provenga non solo da un soggetto già detenuto ma anche da chi non è stato ancora immesso nel sistema penitenziario.

Per chi è detenuto occorre una relazione “di sintesi” che preveda che la misura alternativa, anche attraverso le prescrizioni, contribuisca alla rieducazione del condannato e assicuri la prevenzione del pericolo che egli commetta altri reati.

Per chi non è detenuto è necessario  avere tenuto un comportamento tale, dopo la condanna, da consentire lo stesso giudizio di cui sopra, anche senza procedere all’osservazione in istituto.

Appare chiaro che, come disposto dal comma quarto, la decisione in relazione alla concessione o meno della misura spetterà al Tribunale di sorveglianza, proposta nei confronti dello stesso individuo dopo l’inizio dell’esecuzione della pena se il soggetto è detenuto; “ se il condannato è in libertà spetta  al Pubblico Ministero della Procura che ha disposto la sospensione dell’esecuzione della pena, entro trenta giorni dalla notifica, come previsto dall’articolo 656 del codice di procedura penale.”

  Oltre alle prescrizioni già imposte per legge al richiedente possono esserne aggiunte una serie come ad esempio la previsione relativa all’adoperarsi in favore della vittima [10]od il divieto di soggiornare in uno o più comuni.[11]

Le prescrizioni, dunque,  possono essere modificate anche in corso di esecuzione e quindi essere modulate in base alle necessità del caso specifico dal Magistrato Di Sorveglianza.[12]

I commi nono e decimo fanno comprendere a chi si appresta ad effettuare l’analisi di questa misura quanto sia importante il ruolo del servizio sociale il quale valuterà il comportamento tenuto dal soggetto ed altresì riferirà periodicamente del suo comportamento al magistrato di sorveglianza, sintomo della rilevanza estrema che assume il servizio sociale[13] non solo per quanto riguarda il profilo assistenziale nei confronti del soggetto beneficiario ma anche per ciò che concerne la revoca ed il corretto svolgimento della misura in questione.

Ciò è confermato proprio dai commi seguenti[14] all’interno dei quali si comprende come la revoca sia disposta non solo nei casi in cui il soggetto abbia violato le prescrizione o abbia commesso altri reati ma anche nei casi in cui il comportamento del beneficiario non risulti compatibile con la misura stessa.

Il Magistrato di Sorveglianza trasmette poi gli atti al Tribunale di Sorveglianza, che decide entro venti giorni la prosecuzione (o la cessazione) della misura.

Il Magistrato di Sorveglianza sospende l’affidamento e trasmette gli atti al Tribunale di Sorveglianza per le decisioni di competenza nei seguenti casi:quando il Centro di Servizio Sociale lo informa di un nuovo titolo di esecuzione di altra pena detentiva che fa venir meno le condizioni per una prosecuzione provvisoria della misura (residuo pena inferiore a tre anni);

Quando l’affidato ha comportamenti tali (trasgredendo alle prescrizioni, o commettendo dei reati) da determinare la revoca della misura.[15]

Il dodicesimo comma, infine dispone le conseguenze derivate dall’esito positivo del periodo di prova che, come disposto dallo stesso, comporta l’estinzione della pena per il soggetto beneficiario ad eccezione, però, delle pene accessorie perpetue.[16]

Il comma seguente dispone altresì la possibilità di detrazioni ulteriori connesse alla pena qualora il soggetto abbia mostrato comportamenti rivelatori del positivo evolversi della sua personalità,[17]segno che una forte valenza è data proprio dal ravvedimento ed al comportamento tenuto dal soggetto.

Da questo corposo articolo si comprende quindi che per la concessione di questa misura entrano in gioco tre soggetti distinti: Il detenuto o il soggetto ancora in libertà che devono dimostrare di essere meritevoli del beneficio da loro richiesto, Il servizio sociale (Uepe) che stilerà una relazione sul soggetto che sarà fondamentale per la presa della decisione finale. La decisione finale spetterà al Magistrato di Sorveglianza[18] il quale può sospendere l’esecuzione, ordinare la liberazione del condannato e trasmettere immediatamente gli atti al Tribunale di Sorveglianza, se si ravvisano concrete indicazioni in relazione all’esistenza dei presupposti necessari per l’ammissione all’affidamento, all’esistenza di un grave pregiudizio che deriva dalla protrazione dello stato di detenzione, all’assenza di un pericolo di fuga.

Se il condannato è in libertà l’affidamento viene concesso con provvedimento di ordinanza  dal Tribunale di Sorveglianza del luogo nel quale ha sede il pubblico ministero competente dell’esecuzione mentre se il condannato è detenuto dal Tribunale di Sorveglianza che ha giurisdizione sull’istituto penitenziario nel quale è ristretto l’interessato al momento della presentazione della domanda.

Questa prima misura pone quindi una triplice connessione di soggetti, ed è innegabile il maggior peso specifico del Magistrato di Sorveglianza e del tribunale ma la concessione della misura stessa passa, per lo meno per ciò che riguarda gli aspetti precipuamente comportamentali, dalle mani del servizio sociale e del richiedente.

L’ordinamento pone quindi nelle mani del potenziale beneficiario uno strumento molto forte il quale, però, richiede per la sua concessione rigidi criteri ed uno stretto controllo al quale il soggetto dovrà sottoporsi se vuole evitare la rieducazione classica,[19] ovvero quella connessa all’espiazione della pena all’interno di un istituto penitenziario. In parole più semplici, l’affidamento ai servizi sociali concede un’altra chance al richiedente,[20] che è però appesa ad un sottile filo il cui elemento decisivo può e deve essere dato anche dalla sfera comportamentale del soggetto stesso.

Di decisiva importanza è inoltre il contributo  dell’UEPE (ufficio esecuzione penale esterno) che instaura un rapporto “collaborativo” con il condannato inteso a verificare sia l’esatta esecuzione dell’affidamento in prova che il corretto reinserimento nel tessuto sociale. Infatti sarà cura dell’UEPE  elaborare un “programma di trattamento” concernente gli obblighi ai quali è sottoposto il condannato per l’esatto espletamento della misura in esame.

Il compito dell’UEPE sarà quindi di monitorare,[21]n un certo senso, l’attività svolta dal soggetto ma quest’ultimo avrà nel novero delle sue competenze alcune delle sfide più difficili che si rintracciano nel campo relativo a queste problematiche: il corretto reinserimento nel tessuto sociale. Indubbiamente proprio il reinserimento  risulta essere la sfida più ardua  poiché tante sono le variabili che possono determinare il successo: implicazioni non solo materiali ma anche psicologiche perché anche se il soggetto non ha conosciuto l’esperienza detentiva si troverà (nella maggior parte dei casi) in una condizione  di ansia  e smarrimento dovuta alla consapevolezza che la riuscita o il fallimento  del percorso intrapreso segnerà in maniera decisiva il prosieguo della vita dell’individuo e le sue aspirazioni future.[22]

1.2 La detenzione domiciliare

Proseguendo nell’esaminare la disciplina della legge, troviamo appena successivo all’articolo 47, l’articolo 47 ter che ha ad oggetto la detenzione domiciliare,che costituisce una ulteriore tipologia di misura alternativa alla detenzione.

Anche qui, come nell’articolo relativo all’affidamento in prova ai servizi sociali[23], ci troviamo di fronte ad un articolo che detta una disciplina ben precisa e dotato anch’esso di parecchi commi.

In primis è necessario comprendere quale sia l’oggetto della detenzione domiciliare, ossia la possibilità  dell’esecuzione della condanna presso la propria abitazione, o in altro luogo di privata dimora, in luogo pubblico di cura, assistenza e accoglienza e, solo in caso di donne incinta o madri di prole di età inferiore ad anni dieci con lei convivente, di case famiglia protette.[24]

In secundis l’attenzione deve ricadere sui requisiti per poter accedere alla misura con specifico riferimento anche ai soggetti che possono accedervi.

Quest’ultimi sono: – I soggetti che abbiano compiuto settanta anni; – Condannati per qualunque reato ad eccezione di quelli previsti dalla legge; – I soggetti che devono scontare una condanna all’arresto o una pena, anche residua, inferiore a quattro anni, quando si tratta di: Donna incinta o madre di prole di età inferiore ad anni dieci con lei convivente; Padre, esercente la potestà, di prole di età inferiore ad anni dieci con lui convivente, quando la madre sia deceduta o altrimenti assolutamente impossibilitata a dare assistenza alla prole; Persona in condizioni di salute particolarmente gravi, che richiedano costanti contatti con i presidi sanitari territoriali; Persona di età superiore a sessanta anni, se inabile anche parzialmente; Persona minore di anni ventuno per comprovate esigenze di salute, di studio, di lavoro e di famiglia; – I soggetti che devono scontare una pena, anche se residua, inferiore a due anni.

Quando potrebbe essere disposto il rinvio obbligatorio o facoltativo dell’esecuzione della pena ai sensi degli articoli 146 e 147 del codice penale, il tribunale di sorveglianza, anche se la pena supera il limite di cui al comma 1, può disporre la applicazione della detenzione domiciliare, stabilendo un termine di durata di tale applicazione, termine che può essere prorogato. L’esecuzione della pena prosegue durante la esecuzione della detenzione domiciliare.

Proprio come nei requisiti per la concessione dell’affidamento in prova, notiamo subito come uno dei requisiti fondamentali sia relativo alla brevità della pena e si fa, infatti,  riferimento alle pene detentive sotto gli anni quattro o gli anni due anche residuali di pene di maggiore entità[25]e, addirittura, la norma dà la possibilità dell’applicazione della seguente misura anche per pene superiori a patto che il soggetto abbia un’età tale da essere attenuato il suo livello di pericolosità[26] e quest’ultime non siano riferite al novero dei reati espressamente previsti dal primo comma del presente articolo.

In questa norma riscontriamo un favor nei confronti dei soggetti i quali abbiano a loro carico prole, proprio per garantire il normale prosieguo della vita familiare nonché dei soggetti più anziani a causa, come già specificato, della loro tendenziale attenuata pericolosità.

La norma pone altresì un occhio di riguardo anche nei confronti dei soggetti minori di anni ventuno per esigenze di salute, studio, lavoro e famiglia[27]e, ovviamente,  ai soggetti che si trovano in condizioni di salute precarie.

La tutela di questi soggetti non dovrà essere interpretata come una sorta di tutela ad hoc, ma bensì come connessa all’ottemperanza di valori fondamentali contenuti nella nostra costituzione come ad esempio il diritto allo studio,[28]alla salute[29] ed alla sana crescita del soggetto minore garantito dalle convenzioni.[30]

In questa tipologia di misura è altresì da rintracciare  l’estraneità dell’amministrazione penitenziaria,[31]in quanto nessun onere risulta gravante sulla stessa, proprio a causa della possibilità di scontare la pena all’interno del domicilio.

Per quanto riguarda, invece, la revoca della misura stessa, si applicheranno le stesse previsioni relative alla revoca dell’affidamento in prova ai servizi sociali e le previsioni degli articoli uno ed uno-bis del presente articolo.

Inoltre, il soggetto che non rispetti le prescrizioni relative al divieto di allontanamento dalla dimora sarà punito ai sensi dell’articolo 385 c.p. “Chiunque, essendo legalmente arrestato o detenuto per un reato, evade è punito con la reclusione da uno a tre anni. La pena è della reclusione da due a cinque anni se il colpevole commette il fatto usando violenza o minaccia verso le persone, ovvero mediante effrazione; ed è da tre a sei anni se la violenza o minaccia è commessa con armi o da più persone riunite. Le disposizioni precedenti si applicano anche all’imputato che essendo in stato di arresto nella propria abitazione o in altro luogo designato nel provvedimento se ne allontani, nonché al condannato ammesso a lavorare fuori dello stabilimento penale.”

Per l’accesso a questo tipo di misura, sotto il punto di vista procedurale, sarà necessario ancora una volta effettuare una distinzione tra la forma a cui dovrà ottemperare  il soggetto già in stato di detenzione e colui che si trova in stato di libertà.

Nell’ipotesi in cui l’esecuzione della pena sia già iniziata, la misura è concessa dal Tribunale di Sorveglianza competente.[32]

Mentre si rinvia alla disciplina di cui al co. 5 dell’art. 656 c.p.p., quando l’esecuzione della pena non sia già iniziata.

In questo caso, l’istanza può essere proposta al PM nel termine di trenta giorni dalla notifica dell’ordine di esecuzione e del provvedimento di sospensione. Il PM, a sua volta, trasmetterà l’istanza al Tribunale di Sorveglianza che dovrà decidere in merito alla richiesta entro quarantacinque giorni.

Seppur intercorrano notevoli differenze fra le misure alternative prese in questione si sottolinea come la procedura in merito alla richiesta e concessione  delle stesse segua lo stesso iter.

Le differenze che riscontriamo e  funzionali alla nostra analisi sono, quindi, esclusivamente sostanziali ed  è quindi utile tenere bene a mente la stretta correlazione intercorrente  tra le misure alternative sotto il profilo procedurale, in quanto  unite da identiche previsioni processuali.

Infine è bene ricordare che in relazione alle misure sopracitate sono previste ulteriori ipotesi indicate negli artt 47 quater[33] e quinquies.[34]

1.3 La semilibertà e la sua natura impropria

Le Misure analizzate fino ad ora sono, inoltre, legate dal fatto di essere ritenute quelle portanti e maggiormente rilevanti all’interno del nostro ordinamento e sono altresì definite proprie poiché non è sussistente lo stato di detenzione a differenza dall’ulteriore tipo di misura alternativa in senso stretto e cioè la Semilibertà che è detta impropria.[35]

La Misura Alternativa della Semilibertà è regolata dagli’art/48ss o.p, e la natura impropria della semilibertà si evince dal  tenore dell’articolo dedicato.

Il regime di semilibertà consiste nella concessione al condannato e all’internato di trascorrere parte del giorno fuori dell’istituto per partecipare ad attività lavorative, istruttive o comunque utili al reinserimento sociale. I condannati e gli internati ammessi al regime di semilibertà sono assegnati in appositi istituti o apposite sezioni autonome di istituti ordinari e indossano abiti civili.”

Si comprende quindi come l’aggettivo improprio sia derivato dal fatto che rimane sussistente, seppur parzialmente, lo stato di detenzione del soggetto.

Possono accedere all’istituto della semilibertà, ai sensi dell’art. 50 op, i seguenti soggetti:

Il condannato alla pena dell’arresto e alla pena della reclusione non superiore a sei mesi, se il condannato non è affidato in prova al servizio sociale. Fuori dal caso precedente, la semilibertà può essere concessa al concessa al condannato che abbia espiato almeno metà della pena. Il condannato che abbia espiato almeno i due terzi della pena. (se si tratta di condannato per taluno dei delitti indicati nei commi 1, 1-ter e 1 quater dell’articolo 4 bis, di almeno due terzi di essa come previsto dall’ordinamento penitenziario). In caso di ergastolo è necessaria l’espiazione di almeno 20 anni di reclusione. Per l’internato non sussistono limiti di tempo per l’ammissione all’istituto. Nel computo della pena si tengono presente i periodi di liberazione anticipata”.

Pur essendo una misura alternativa impropria anche per quest’ultima sussistono gli stessi presupposti in relazione agli iter procedurali da seguire per la richiesta di applicazione delle misura ed alla concessione della stessa[36]; permane inoltre la differenziazione in base alla qualità del soggetto,[37] ossia se questi sia in stato di detenzione o di libertà.

La semilibertà può essere concessa a soggetti condannati (anche alla pena dell’ergastolo) e agli internati sottoposti a misure di sicurezza restrittive della libertà personale (colonia agricola o casa di lavoro, casa di cura o custodia, ospedale psichiatrico giudiziario).

L’estensione della misura agli internati si colloca lungo la linea di tendenza seguita dalla scienza psichiatrica degli ultimi decenni, volta a mettere in discussione l’automatismo del riconoscimento di un “rischio sociale” insito nel trattamento in libertà di un soggetto infermo di mente e diretta per contro a favorire la possibilità di un recupero al di fuori di una prospettiva meramente custodiale.[38]

1.4 Le percentuali di successo delle misure alternative e la loro funzione salvifica

Queste misure costituiscono oggi una colonna portante del sistema penitenziario Italiano, tant’è che senza di esse quest’ultimo sarebbe al collasso completo a causa del tasso di sovraffollamento decisamente elevato[39].

Per dar manforte a quanto sovra espresso occorre però, analizzare una serie di importantissimi dati provenienti dal DAP[40],che confermano quanto siano funzionali alla lotta contro il sovraffollamento detentivo le predette misure.

Per valutare il successo o meno delle misure in questione appare necessario prendere in considerazione la percentuale relativa alle revoche piuttosto che la percentuale relativa alla recidiva successivamente alla concessione di una misura alternativa, perché la reiterazione del crimine può non essere legata alla modalità di esecuzione della pena.[41]

Partendo dalla prima misura alternativa alla detenzione, ossia l’ Affidamento in prova ai servizi sociali analizzando i dati a nostra disposizione[42] emerge chiaramente la forza di questo istituto, che risulta essere tra l’altro quello maggiormente applicato nel nostro sistema[43]

Considerando le risultanze del DAP nella loro globalità, si evince come le revoche relative alla misura in questione tocchino la percentuale totale del 5,3% dei casi seguiti per il quadriennio 2007-2011 , valore che scende al 4,98% nel successivo periodo 2012-2015.[44]

L’analisi non lascia spazio a particolari dubbi per quanto riguarda questo tipo specifico di misura, in quanto facendo una proporzione all’inverso, ci rendiamo conto come la misura raggiunga  il suo scopo nel 94,7 % dei casi.

Le revoche dei casi di detenzione domiciliare presentano un andamento simile a quello dell’affidamento in prova al servizio sociale e ciò assume, una connotazione maggiormente positiva in quanto la detenzione domiciliare, contrariamente all’affidamento, “si caratterizza per l’assenza di una qualsivoglia finalità rieducativa, configurandosi piuttosto come modalità alternativa di esecuzione della pena”[45].

Anche qui, proprio come nel caso delle revoche per l’affidamento in prova, è possibile effettuare un’analisi percentualistica in relazione ai diversi motivi che hanno portato alla revoca della concessione del beneficio disposto dal Magistrato Di Sorveglianza.

In particolare i casi di detenzione domiciliare revocati tra il 2007 e il 2011 per commissione di reati durante l’esecuzione della misura rappresentano in media lo 0,5% dei casi totali, quelli per andamento negativo il 4% e quelli per irreperibilità lo 0,5%[46].

In totale, poi nel caso specifico delle revoche relative alla concessione della detenzione domiciliare si registra un leggero incremento rispetto a quelle precedentemente analizzate pari al 7,4% in relazione al quadriennio (2007-2011), scendendo addirittura dello 0,1 se si considera il triennio (2012-2015),dove si ferma al 7,3%.[47]

La percentuale di successo si attesta quindi ad un ben 92,7 dei casi, ed anche qui il dato risulta essere di una rilevanza notevole data la portata applicativa della misura della detenzione domiciliare e come abbiamo visto, può anche considerarsi sotto il punto di vista sociologico, un dato di maggior valenza poiché come sappiamo alla detenzione domiciliare non è affiancato nessun tipo di appoggio da parte dell’amministrazione penitenziaria.[48] Si può, dunque, affermare che questa misura sia un efficace antidoto alla commissione di nuovi reati nonché una importante barriera rispetto all’esperienza detentiva.

Questo ragionamento, in linea di fondo, vuole essere funzionale alla consapevolezza da parte del lettore  della potente efficacia di questo tipo di misura  che seppur non preveda un vero e proprio percorso alternativo per il soggetto, risulta essere  una vera risorsa dal punto di vista sociologico e per il nostro sistema benché  sottostimata:  giova  allo stesso  beneficiante e  alla  globale situazione detentiva facendo da scudo al sovraffollamento.

L’ultimo dato che è importante analizzare è  relativo all’ulteriore tipo di misura presente nel nostro ordinamento, ossia la cosiddetta semilibertà la quale, seppur annoverata  tra le misure alternative in senso stretto, è una misura alternativa impropria[49]dal momento che  non viene meno del tutto lo stato  di detenzione.

La valenza di questi dati, risulta anche qui funzionale al sostenimento della tesi della grande utilità delle misure e quindi della decarcerizzazione, poiché anche in merito a questa particolare misura alternativa i risultati si confermano molto soddisfacenti.

Seppur con una percentuale leggermente più alta rispetto alle misure precedenti, la semilibertà, fornisce anch’essa strumenti che avvalorano le precedenti affermazioni.

Infatti le percentuali di revoca della misura della semilibertà si attestano intorno al 9,3 % nel quadriennio (2007-2011), mentre nel triennio (2012-2015) viene confermata la tendenza alla riduzione del numero delle revoche[50], attestandosi quest’ultima ad un incoraggiante 9%; si è registrato quindi un ulteriore abbassamento dello 0,3 % che avvicina i risultati di quest’ultima che arrivano fino al 91% di successo, praticamente al pari degli altri due tipi di misure già analizzate. Da sottolineare è  come in questo tipo di misura, la percentuale maggiore di casi di revoca sia relativa all’andamento negativo della misura, che arriva ad un 5,5% su un totale di 9%.[51]

Questo caso, che come dimostrato in precedenza è solitamente il più basso nelle altre due tipologie di misure alternative, presenta qui un relativo “picco” per una ragione ben precisa: “ciò può essere attinente alla natura stessa della misura che, contrariamente all’affidamento, si può concedere anche in presenza di un margine maggiore di “incertezza sull’affidabilità”  in considerazione del ritorno

quotidiano del condannato nella struttura carceraria che consente di mantenere un controllo continuativo sullo stesso”[52].

Perciò alla misura in questione si fa riferimento ad una platea di soggetti considerati maggiormente a rischio, tant’è che per gli stessi non viene completamente meno la detenzione che, anzi, rimane parte integrante della misura stessa, essendo proprio la discriminante che la distingue dalle altre.[53]

Questo “picco” non deve quindi sorprendere il lettore ma deve essere preso in considerazione tenendo conto di quanto affermato in precedenza in modo da  avere  piena  coscienza dei dati ivi proposti.

1.5 Considerazioni finali e profili di riforma inattuati

Una volta fornito un quadro completo dei dati, ciò che appare incontrovertibile sulla base di questi è che le misure alternative hanno un tasso di successo altissimo.

Il dato totale  relativo alle revoche delle misure – fornito sempre dal Dipartimento di Amministrazione Penitenziaria –  ha interessato solo il 5,92% del totale e un numero ancora più piccolo se consideriamo quelle intervenute per commissione di nuovi reati (0,71%).

Ciò dimostra appunto come queste siano un’alternativa funzionante rispetto alla detenzione all’interno delle strutture penitenziarie.

Tutta questa mole di dati,  lungi dall’essere considerata pleonastica, rappresenta un vero e proprio “schiaffo” a tutti i detrattori delle misure, che vorrebbero un ricorso maggiore al carcere poiché ritenuto erroneamente più sicuro; la realtà è che molto spesso il carcere viene usato a scopo propagandistico senza avere la cognizione che ci sono valide alternative che permettono concretamente il recupero del soggetto come membro produttivo della nostra società,impostazione tra l’altro accolta dalla maggioranza dei paesei dell’Unione Europea.[54]

Purtroppo, però,  soprattutto nell’ultimo ventennio abbiamo assistito alla volontà, di stigmatizzare tutto ciò che riguardava il reo evitando le riforme[55] in melius del sistema penitenziario, ma la cosa più grave è che questa distorta sensibilizzazione è stata effettuata proprio nei confronti di chi ha commesso reati minori, presentato quasi come uno scarto, un irrecuperabile, destinato alla dannazione.

Le misure alternative invece hanno l’obbiettivo opposto, quello cioè di evitare, soprattutto in relazione alla percezione della società, che chi ha sbagliato ed ha compiuto il suo percorso alternativo non possa di nuovo essere un membro sano di questa società, scongiurando anche l’emarginazione che sussiste per chi è stato  detenuto.

Inoltre, il processo alternativo di rieducazione rappresenta un salvagente, come abbiamo visto, non solo per il reo ma anche per il sistema penitenziario che, al giorno d’oggi è praticamente al collasso, perciò è sicuramente da tenere in grande considerazione il lavoro svolto mediante le misure alternative.

Inoltre la forza delle misure alternative è riscontrabile in un ulteriore dato, quello relativo alla recidiva dei soggetti destinati alle misure alternative alla detenzione.

I dati reperibili in materia di recidiva successiva all’accesso ad un programma rieducativo, infatti, segnano, (come se non bastasse!) un altro punto a favore della straordinaria utilità delle misure alternative alla detenzione.

Da uno studio effettuato nel 2007 dal Direttore dell’Osservatorio delle misure alternative del Dipartimento di Amministrazione Penitenziaria (DAP) emerge che la percentuale dei recidivi fra coloro che scontano una pena in carcere è del 68,45%, mentre la percentuale scende al 19% se si guarda chi è destinatario di misure alternative.[56]

Pur non essendo in realtà, questi dati  fondamentali per determinare l’efficacia o meno delle misure,come affermato in precedenza nella nostra analisi[57], confermano sostanzialmente  il trend relativo alle percentuali di revocazione delle misure alternative alla detenzione, con una percentuale di successo la quale sfiora praticamente l’81% contro il 31,55%  di chi invece ha espiato una pena detentiva; ciò dovrebbe far riflettere chi sostiene che il carcere sia la soluzione a tutti i mali.

Inoltre con la mancata attuazione della riforma Giostra, che conteneva previsioni innovative soprattutto in relazione  alle misure alternative alla detenzione[58], si è assistito ad un ulteriore passo indietro nella gestione del fenomeno del sovraffollamento ,svilendo gli sforzi fatti per l’ampliamento delle stesse.

 

 


[1] Comunemente detta “Legge sull’Ordinamento Penitenziario”
[2] In ultima i decreti 123 e 124 2 ottobre 2018
[3] Così il Comitato dei ministri del Consiglio D’Europa nella Raccomandazione (92)16
[4] Raccomandazione 92(16) Consiglio dei Ministri D’europa
[5] Sul punto Vedasi Frudà L.,a cura di , Alternative al carcere.Percorsi attori e reti sociali nell’esecuzione Penale esterna:un approfondimento della ricerca applicata, Franco Angeli,2007 ISBN 9788846481719
Turrini Vita R.,Riflessioni sull’esecuzione penale esterna in Italia, 2006, ISBN  B08MFFY2F6
[6] Oggi in sostituzione dell’art.47/bis è previsto l’art 47 quinques
[7] Art.47comma 1 legge 26 luglio 1975 n. 354
[8] Art 47 comma 3-bis legge 26 luglio 1975 n. 354
[9] Art 47 comma 3 legge 26 luglio 1975 n. 354
[10] Art 47 comma 7 legge 26 luglio 1975 n. 354
[11] Art 47 comma 6 legge 26 luglio 1975 n. 354
[12] Art 47 comma 8 legge 26 luglio 1975 n. 354
[13] Sull’importanza del Servizio Sociale R. Breda,Il servizio sociale nelle misure alternative, in Rassegna Penitenziaria,2000, ISSN 0392-7156; Cellini, Controllo sociale,servizio sociale e professioni d’aiuto- Una ricerca nel sistema penitenziario,Ledizioni, 2013, ISBN: 8867051016
[14] Art 47 comma 11 legge 26 luglio 1975 n. 354
[15] Art 656 cpp
[16] Come indicate all’art 37 c.p.
[17]Espressione contenuta al comma 12-bis Art.47 26 luglio 1975 n. 354
[18] In dettaglio sul ruolo della Magistratura di sorveglianza Vedasi F. della Casa, G. Giostra a cura di, Manuale di Diritto Penitenziario,2020,Giappichelli
[19] In rif, alle antiche teorie della Scuola Classica del Diritto Penale
[20] In dettaglio sulle problematiche dell’istituto Vedasi C. Molfetta, S.Molfetta, Ordine di sospensione della pena ex art. 656 c.5 c.p.p.: sollevata questione di legittimità costituzionale, in Giurisprudenza Penale, 2017, ISSN 2499-846X
[21] Come sottolineato nel sito ufficiale Min.Giustizia
[22] M. Bartolini, La questione psichiatrica all’interno degli istituti di pena, in Ristretti,2012
[23] Vedasi Art 47 26 luglio 1975 n. 354
[24]  Ci si riferisce agli Icam (istituti a custodia attenuata per detenute madri)
Sull’argomento ,In dettaglio, G. Baldissera Genitorialità in carcere: il diritto del genitore detenuto di mantenere il legame con il figlio e superiore interesse del minore, tra legislazione nazionale e sovranazionale., in Ius in Itinere,2019 ISSN 2724-2862
 [25] Ad esclusione dei reati indicati al comma 01 dell’Art 47-ter 26 luglio 1975 n. 354
[26] Comma 1 Art 47-ter 26 luglio 1975 n. 354
[27] Comma 1,lett e) Art 47-ter 26 luglio 1975 n. 354
[28] Art.34 Cost.
[29] Art. 32 Cost.
[30] Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza (Convention on the Rigths of the Child – CRC), approvata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 20 novembre 1989, e ratificata dall’Italia il 27 maggio 1991 con la legge n. 176.
[31] Art 47-ter comma 5 legge 26 luglio 1975 n. 354
[32] Art 47-ter comma 4 legge 26 luglio 1975 n. 354
[33] Misure alternative alla detenzione nei confronti dei soggetti affetti da AIDS conclamata o da grave deficienza immunitaria. 
[34] Detenzione Domiciliare Speciale
[35]Così. D.  Ronco,Misure alternative alla detenzione, in XII Rapporto ass. Antigone,2017
[36] In dettaglio Vedasi E. Cavallo, Concessione Della Misura Alternativa Della Semilibertà  Su Proposta Del Consiglio Di Disciplina E Sulla Base Della Positività  Della Risposta Al Trattamento Penitenziario. In Diritto Penale Contemporaneo,2016
[37] Stessa differenziazione è presente in merito alla concessione delle misure alternative alla detenzione proprie ex art 47 e 47-ter legge 26 luglio 1975 n. 354
[38] A. Massaro, Il regime di Semilibertà, in Diritto Penale e Costituzione,2018,p.3
[39] XV Rapporto Antigone, 2019
[40] Dipartimento Amministrazione Penitenziaria
[41] Così R.sette La recidiva in Italia: riflessioni per il monitoraggio del fenomeno,in Rivista di Criminologia, Vittimologia e Sicurezza – Vol. X – N. 3 – Settembre-Dicembre 2016
[42] Motivi di chiusura incarico – affidamento in prova al servizio sociale (anni 2007-2015) (Fonte:Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria – Direzione generale dell’esecuzione penale esterna –Osservatorio delle misure alternative, www.giustizia.it),
[43] Dati Uepe, Sez. Statistica,2019
[44] Motivi di chiusura incarico – affidamento in prova al servizio sociale (anni 2007-2015) (Fonte:Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria – Direzione generale dell’esecuzione penale esterna –Osservatorio delle misure alternative, www.giustizia.it),
[45] R. Sette, La recidiva in Italia: riflessioni per il monitoraggio del fenomeno,in Rivista di Criminologia, Vittimologia e Sicurezza – Vol. X – N. 3 – Settembre-Dicembre 2016 p.117
[46] Motivi di chiusura incarico – Detenzione Domiciliare(anni 2007-2011) (Fonte:Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria – Direzione generale dell’esecuzione penale esterna –Osservatorio delle misure alternative, www.giustizia.it),
[47] Motivi di chiusura incarico – Detenzione Domiciliare(anni 2012-2015) (Fonte:Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria – Direzione generale dell’esecuzione penale esterna –Osservatorio delle misure alternative, www.giustizia.it),
[48] Come specificato all’art 47-ter comma quinto Legge 26 luglio 1975,n 354
[49] Corte cost. sent. n. 343 del 29/10/1987.
[50] Motivi di chiusura incarico – Semilibertà(anni 2012-2015) (Fonte:Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria – Direzione generale dell’esecuzione penale esterna –Osservatorio delle misure alternative, www.giustizia.it),
[51] Motivi di chiusura incarico – Semilibertà(anni 2007-2015) (Fonte:Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria – Direzione generale dell’esecuzione penale esterna –Osservatorio delle misure alternative, www.giustizia.it),
[52] Pavarini M., Guazzaloca B., Corso di diritto penitenziario, Edizioni Martina, Bologna, 2004, pag. 133. ISBN8875720037
[53] Da qui la dicitura di misura alternativa alla detenzione impropria
[54]  E.Dolcini, L’europa In Cammino Verso Carceri Meno Affollate E Meno Lontane Da Accettabili Standard Di Umanità, in Diritto Penale Contemporaneo,2016
[55]Sull’importanza di una riforma dell’ordinamento penitenziario vedasi G.Giostra, La riforma penitenziaria:il lungo e tormentato cammino verso la costituzione, in Diritto Penale Contemporaneo,2018
[56] Dipartimento di Amministrazione Penitenziaria (DAP)-Dati recidiva,2007
[57] Vedasi nota 41
[58]  Vedasi le modifiche apportate agli artt. 47ss della l. legge 26 luglio 1975 n. 354 nel Testo della Riforma dell’ordinamento penitenziario elaborata dalla Commissione istituita con D.M. 19 luglio 2017 confluito nella legge Delega 23 Giugno 2017

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