La coltivazione e la detenzione della cannabis è lecita? Una nuova lettura della normativa vigente

La coltivazione e la detenzione della cannabis è lecita? Una nuova lettura della normativa vigente

Sommario: 1. Il fatto – 2. Le argomentazioni della Suprema Corte

1. Il fatto

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 4920 del 31/01/2019 in commento, si è espressa in tema di liceità della coltivazione della cannabis sativa, in virtù della legge 2 dicembre 2016, n. 242.

In punto di fatto, si osserva che la pronuncia trae spunto dal rigetto da parte del Tribunale di Macerata dell’istanza di riesame avverso il sequestro preventivo proposta dall’imputato, reo di aver commercializzato piante di cannabis.

In punto di diritto, i giudici del riesame hanno osservato prima di tutto che la L. 2/12/2016, n. 242, intitolata “Disposizione per la promozione della coltivazione e della filiera agroindustriale della canapa”, non ha derogato la normativa penale in materia di sostanza stupefacente, d.p.r. 9/10/1990 n. 309, contrariamente da quanto ha dedotto il ricorrente.

Si è detto, nella motivazione della sentenza, che, sebbene la L. 2/12/2016, n. 242 si pone in rapporto di specialità rispetto alla disciplina di cui al d.p.r. precitato, la normativa di nuovo conio non può derogare quest’ultima, perché diverso è l’ambito di applicazione di entrambe.

Infatti, la nuova disciplina si riferisce alle “…condotte dell’agricoltore…” e, quindi, una finalità diversa da quella oggetto di divieto del T.U. in materia di sostanze stupefacente, ovvero non ricreativa.

Si è ritenuto, quindi, dai giudici di merito sussistente il fumus relativo al reato di cui all’art. 73, comma IV, d.p.r. 9/10/1990 n. 309, diversamente da quanto addotto dalla difesa del ricorrente che ha ritenuto lecita la commercializzazione di infiorescenza di piante sviluppatesi da semi previsti dalla L. 2/12/2016, n. 242.

Il ricorrente ha proposto pertanto ricorso per cassazione e ha eccepito la violazione del d.p.r. 309/1990, l’erronea interpretazione della nuova disciplina, la contraddittorietà del provvedimento del Tribunale del riesame nella parte in cui ammette la specialità della L. 2/12/2016, n. 242, ma non derogante quella generale.

In più, si è detto da parte del difensore che la commercializzazione delle infiorescenze è lecita se sono rispettati i limiti della percentuale di THC dello 0,6 % stabiliti ex lege, come è accaduto tra l’altro nel caso di specie, indipendentemente dall’indicazione esplicita da parte della legge in questione dell’attività di commercio di tali prodotti nell’elenco delle attività lecite, come è stabilito invece per l’attività di mera produzione.

In ultimo, il ricorrente ha dedotto il vizio di motivazione in ordine “…all’apodittica affermazione della illiceità del commercio di inflorescenza di canapa legale a scopi…ricreativi” e l’erronea applicazione della l. L. 2/12/2016, n. 242 con riferimento al d.p.r. 309/90 nella parte in cui la prima esclude la responsabilità penale a prescindere dalla rilevanza del dato quantitativo ponderale di tolleranza (0, 6%) se la coltivazione si fonda su semi certificati.

2. Le argomentazioni della Suprema Corte

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso e ha annullato l’ordinanza impugnata.

La Suprema Corte ha esaminato in prima facie il rapporto logico giuridico tra le discipline in commento in relazione alla commercializzazione delle infiorescenze della cannabis sativa e ha emesso importanti note sul tema, ad avviso di chi scrive.

Lo sviluppo argomentativo svolto dagli ermellini ha per oggetto l’esame della ratio della legge di nuovo conio in relazione al T.U. sugli stupefacenti e della definizione di cannabis.

Si è precisato che la l. 2/12/2016, n. 242 è finalizzata alla promozione della coltivazione e della filiera agroindustriale della canapa[1] nel sistema produttivo italiano, per essere impiegata in vari settori e per accrescere il settore primario, sulla base però della tipizzazione di due indici quantitativi di THC, ovvero 0,2 % e 0,6%.

Sicché il legislatore ha voluto, con la legge de qua, incentivare “l’intera filiera agroindustriale della canapa” attraversi aiuti economici a favore degli agricoltori e, pertanto, ha escluso la coltivazione della varietà di canapa di cui al Catalogo, espresso dall’art. 17 della direttiva 2002/53/CE del Consiglio del 13/06/2002, dal d.p.r. 309/90[2] che all’art. 26 esclude la coltivazione della canapa per uso industriale da quella vietata.

Così, affinché la sostanza possa non essere considerata produttiva di effetti stupefacenti giuridicamente rilevanti e quindi illegale, non deve superare la soglia dello 0,6%.

Quindi i detentori della sostanza, avente come valore soglia di THC lo 0, 6% sono soggetti che fruiscono liberamente di un bene lecito, sicché questa percentuale rappresenta il limite minimo al di sotto del quale gli effetti della sostanza “non devono considerarsi psicotropi”, salvo che non si verifica l’alterazione del prodotto e la consapevolezza dello utilizzatore dell’alterazione ai fini della cessione. In ogni caso, si è detto, non si può procedere ad un automatismo della rilevanza penale in caso di superamento del valore soglia in questione, ma si dovrà procedere all’accertamento probatorio sia del superamento della percentuale e che sia concretamente produttivo di effetti droganti sia della consapevolezza del consumatore.

La coltivazione della varietà della canapa, secondo la legge del 2016, non è reato ex artt. 73 e 75 d.p.r. 309/90 e può essere consentita senza preventiva autorizzazione. Invero, il coltivatore ha solo l’obbligo di conservazione dei cartellini della semente e le fatture di acquisto da esibire in caso di controlli che dovranno essere eseguiti secondo il metodo prescritto dalla normativa europea e italiana vigente.

Secondo la S.C., pertanto, solo in caso di superamento dello 0,6% l’autorità giudiziaria può disporre il sequestro e la distruzione della coltivazione, pur escludendo la responsabilità penale dell’agricoltore ai sensi dell’art. 4, comma 7, della l. 242/2016.

La Corte di Cassazione ha precisato che, sebbene la legge del 2016 tratta solo la finalità della coltivazione della canapa e non anche quella della commercializzazione al dettaglio della stessa, quest’ultima attività la si ricava per relazionem dall’attività di “sostegno e della promozione” dei prodotti della canapa indicata dalla legge recente in esame. È evidente lo scopo che ha voluto perseguire il legislatore, si è detto, ovvero quello di sostenere la “produzione” dei beni; quindi è diretta ai “produttori e alle aziende”, ma ciò non implica di per sé che altri usi diversi dall’attività precitata siano vietati; all’opposto, invece, l’attività di commercializzazione di questi prodotti è stata considerata lecita dalla Circolare ministeriale n. 70 del 22/05/2018.

La liceità della cannabis è, quindi, circoscritta alla coltivazione e alla destinazione dei prodotti nei limiti delle finalità d’uso dell’acquirente indicati, in via di eccezione e non estensibili quindi al d.pr 309/90, dalla l. n. 242/2016, ovvero l’alimentazione, la realizzazione di prodotti cosmetici e il fumo.

Si rileva che la S.C. si è spinta oltre rispetto alle pronunce precedenti in ordine al tema de qua[3].

Gli ermellini hanno sottolineato in modo espresso che tre le due discipline non v’è una rapporto di regola ed eccezione, ma la legge varata recentemente rappresenta null’altro che “…un microsettore normativo in radice autonomo per la cannabis” proveniente dalle coltivazioni legalmente consentite, sebbene questa lettura non trova conforto nelle rationes delle due normative che ha condotto la giurisprudenza precedente a concludere per la limitazione della liceità del principio attivo uguale allo 0,6 % ai soli coltivatori e non anche per i commercianti dei prodotti derivanti dalla cannabis.[4] Un’interpretazione, quest’ultima, che tralascia l’intrinseca natura dell’attività economica, ovvero la commercializzazione anche al dettaglio dei prodotti della filiera agroindustriale della canapa, soprattutto in virtù dell’assenza di un espresso divieto di segno contrario.

Di talché, il Collegio offre una diversa interpretazione del tema in esame, secondo la quale la liceità della distribuzione dei prodotti della coltivazione e della infiorescenza rappresenterebbe un “…corollario logico-giuridico dei contenuti della legge n.242 del 2016”.

Detto in altri termini, la liceità della coltivazione della cannabis si estende anche ai suoi prodotti con principio attivo di THC non superiore allo 0,6% e, quindi, non possono essere più considerati giuridicamente sostanza stupefacente ai sensi del d.p.r. 309/90, secondo il principio generale in forza del quale in assenza di un divieto espresso o di controlli preventivi l’agire delle persone, per il soddisfacimento dei loro interesse, deve essere libero.

In conformità ai principi fondamentali che governano l’ordinamento giuridico, infatti, le norme incriminatrici sono tassative ed eccezioni rispetto alla generale libertà di azione delle persone che “nel nostro sistema giuridico non sono funzionalizzate a scopi pubblici…, salvo i limiti dell’art. 42 per l’iniziativa economica privata”.

La determinazione del limite allo 0,6% di THC, entro la quale l’uso della infiorescenza della cannabis della coltivazione indicata dalla legge del 2016 è lecita, raffigura l’intenzione del legislatore di bilanciare i beni giuridici della salute e dell’ordine pubblico rispetto alle conseguenze pratiche della commercializzazione dei prodotti della coltivazione, che possono essere oggetto di sequestro probatorio ai fini delle analisi solo “se emergono specifici elementi di valutazione che rendono ragionevole dubitare della veridicità…”dei documenti che certificano la provenienza lecita della sostanza, lasciando così ipotizzare la sussistenza del reato ex art. 73, comma IV dpr 309/90.

È concesso, tuttavia, il prelievo di campioni delle infiorescenze da parte degli organi di polizia per accertare il superamento del limite di THC dello 0.6%, pena il sequestro preventivo ex art. 321 cpp dell’intera sostanza.


[1] Pianta la cui “…coltivazione è consentita (anche) dall’art. 26 del d.p.r. 309/90…”, benché per usi industriali
[2] Del resto, ha sottolineato la Corte di Cassazione, per molto tempo il legislatore si è disinteressato in ordine alla previsione di un esplicito divieto dell’attività di coltivazione della canapa; infatti solo con la l. n. 865del 22/12/1975 si è vietato la coltivazione della canapa indiana, eccetto quella autorizzata per finalità sperimentali e scientifici.
[3] cfr.  tra le tante C.Cass., sez. IV, n. 34332 del 13/06/2018
[4] cfr.  tra le tante C.Cass., sez. VI, n. 56737 del 27/11/2018

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Domenico Piccininno

Ha conseguito la laurea in giurisprudenza magistrale; esperto principalmente in diritto del lavoro, diritto civile, diritto penale, diritto dell'esecuzione penale, diritto penitenziario, in criminologia forense e psicologia forense e HR con un master di “Criminologia e Scienze Forensi per l’investigazione e la Sicurezza” e corsi di Alta formazione nel settore legale, criminologico e di psicologia forense. Ha collaborato, in qualità di legal counsel and legal assistance, per vari studi legali di indirizzo civile e penale e, in qualità di consulente criminologo investigativo- forense e docente di criminologia forense, collabora per l’Istituto di Scienze Forensi (ISF) s.r.l.s. e ISF College Corporate University e collabora per l’Università popolare UNISED di Milano, in qualità di Prof. Aggiunto di diritto penale e procedura penale al primo anno del Corso biennale di Specializzazione in Criminologia forense presso il Dipartimento di Criminologia dell’Università popolare UNISED (MI). Collabora per vari istituti di formazioni accreditati in qualità di docente di diritto e criminologia forense. Ha collaborato, altresì, presso la Procura della Repubblica di Bari e presso l’ufficio economato dell'Università degli Studi di Bari Aldo Moro e offre servizi di consulenza tecnica forense per aziende, per istituti di credito, per privati, alle Procure delle Repubbliche per conto dell'ISF s.r.ls., in qualità di Vice coordinatore e Responsabile ISF s.r.l.s. PUGLIA, in tema di imputabilità, capacità a testimoniare, valutazione di personalità, stalking, violenze e abusi sessuali, valutazioni bio-psico-sociali connessi ai reati, coadiuvato dall'equipe specializzato dell'ISF s.r.l.s. È saggista per alcune riviste di indirizzo legale e di scienze forense e autore e co-autore di alcuni manuali di indirizzo forense, quali i "Compendi di diritto penale parte speciale"in 3 Volumi, ed. Primiceri e "L'indagini Investigativa. Manuale teorico-pratico", ed. Primiceri.

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