La diffamazione secondo le più recenti linee giurisprudenziali

La diffamazione secondo le più recenti linee giurisprudenziali

Sommario: 1. Diffamazione e calunnia: due fattispecie diverse – 2. I presupposti della diffamazione – 3. La diffamazione a mezzo facebook – 4. Rimedi

 

1. Diffamazione e calunnia: due fattispecie diverse

Sempre più spesso, complici i social network e i periodici online, le persone ritengono di essere state “diffamate” o “calunniate” e minacciano querele e richieste di risarcimento danni, senza conoscere, con esattezza, il significato giuridico e i presupposti di tali fattispecie.

Secondo il Codice penale i due suddetti termini, sebbene vengano confusi nel linguaggio quotidiano, indicano situazioni del tutto differenti: la calunnia, di cui non si tratterà in questo breve elaborato, si verifica quando un soggetto accusa formalmente un terzo, innanzi ad un’Autorità pubblica, della commissione di un crimine, pur sapendolo innocente[1]. Il reato è, infatti, compatibile esclusivamente con l’elemento soggettivo del dolo generico diretto, ossia con la consapevolezza dell’estraneità del terzo rispetto alla fattispecie criminosa, in termini di certezza assoluta, unita all’intenzione di calunniarlo[2].

La diffamazione, invece, presuppone l’offesa alla reputazione di un soggetto assente, effettuata comunicando con più persone, senza che al medesimo venga attribuita alcuna responsabilità penale per un supposto reato[3]. La fattispecie in esame, inoltre, come verrà analizzato, è aggravato e soggiace ad una sanzione più severa, qualora tale offesa sia perpetrata attraverso un mezzo stampa o qualsiasi altro mezzo di pubblicità, tra cui rientrano, oggi, a pieno titolo le piattaforme online.

La diffamazione, quindi, oltre avere ad oggetto fatti radicalmente distinti da quelli caratterizzanti il reato di calunnia, è compatibile con un elemento soggettivo più flessibile rispetto a quest’ultimo: anche tale fattispecie, infatti, non può essere sorretta dalla semplice colpa e, per configurarsi, necessita che l’agente sia mosso dal dolo, ma anche in una forma più lieve, coincidente con il dolo eventuale[4].

2. I presupposti della diffamazione

Senza soffermarsi ulteriormente sull’elemento soggettivo che deve sorreggere l’azione diffamatoria, si analizzano, ora, i relativi aspetti oggettivi:

a) Offesa: il comportamento del soggetto agente, come preannunciato, deve ledere il diritto all’onore o alla reputazione di un’altra persona, così come individuato dalla Suprema Corte in un massima del 2018, ossia in termini di “dignità personale in conformità all’opinione del gruppo sociale, secondo il particolare contesto storico” e non della mera “considerazione che ciascuno ha di sè […] non costitu[endo] offesa alla reputazione le sconvenienze, l’infrazione alla suscettibilità o alla gelosa riservatezza[5]. Questo significa che, per rilevare giuridicamente, la condotta deve avere una portata oggettivamente denigratoria ed attribuire alla vittima fatti ritenuti socialmente riprovevoli o dipingerla con attributi generalmente percepiti come negativi. Il linguaggio utilizzato, spesso anche fortemente ironico ed evocativo, oltre che ricco di insulti, deve essere, infatti, idoneo a raggiungere tali scopi.

A titolo esemplificativo, si segnala che una recentissima pronuncia della Corte di Cassazione ha precisato la natura legittima e non lesiva dell’altrui reputazione della doglianza effettuata nell’ambito di un rapporto professionale, qualora si ritenga che la controparte abbia contribuito a creare una situazione pregiudizievole di un proprio diritto o di una propria prerogativa[6].

È, inoltre, curioso osservare come, nelle pronunce della giurisprudenza di legittimità susseguitesi nel tempo, si attribuisca valore offensivo ad un epiteto piuttosto che ad un altro. Nella sent. del 29/11/2019, n. 15089, non è stata, per esempio, riconosciuta la valenza diffamatoria del termine “idiota” riferito ad un agente delle forze dell’ordine che aveva, nel parere del soggetto agente, eccesso nel tentativo di cattura di un criminale, poiché, “non [è] vieta[to] l’utilizzo di termini che, sebbene oggettivamente offensivi, siano insostituibili nella manifestazione del pensiero critico in quanto non hanno adeguati equivalenti”. Viceversa, la parola “mafioso”, priva di ogni fondamento giustificativo, pubblicata su Facebook, è stata ritenuta lesiva della reputazione di un sindaco in carica, in quanto costituente una gratuita aggressione verbale[7].

b) Assenza del soggetto leso: la diffamazione, a differenza dell’ingiuria, non si verifica in presenza del soggetto passivo, che, viceversa, è assente al momento in cui le dichiarazioni negative nei suoi confronti vengono rilasciate ed è estraneo alla conversazione o allo scambio di messaggi di cui è oggetto[8].

c) Divulgazione a più persone: l’offesa deve essere stata, per iscritto o oralmente (anche se poi la prova sarà, in tal caso, più difficile) divulgata, ossia diffusa ad almeno due ulteriori soggetti in grado di percepirne il significato e la relativa portata offensiva, coincidendo, peraltro, la percezione del pubblico con il momento consumativo del reato stesso.

Tale divulgazione può anche avvenire in maniera discontinua e il soggetto attivo può incitare i propri interlocutori a divulgare a loro volta le proprie dichiarazioni, ma non è necessario che questo accada perché la fattispecie si realizzi. Come dichiarato dalla Suprema Corte, infatti, la diffamazione si verifica anche qualora le espressioni offensive siano comunicate a solo due persone che, a causa della loro professione, non possano nemmeno divulgarle a terzi[9].

d) Individuabilità del soggetto leso: l’offesa di cui trattasi è diretta ad un soggetto chiaramente individuato o individuabile. Ne consegue che, da una parte, non deve necessariamente essere indicato il nome della vittima e, dall’altra, non per forza nominarne esclusivamente il cognome è sufficiente per la realizzazione della diffamazione, poiché rileva che sussistano una serie di elementi che portino il pubblico a riconoscere il soggetto a cui le dichiarazioni sono dirette, con un grado di ragionevole certezza.

Su tale specifico aspetto sono intervenute le Sezioni Unite, le quali hanno stabilito che difetta il requisito dell’individuabilità della persona offesa qualora dalle dichiarazioni diffamanti non emerga uno specifico soggetto passivo, ma solo una categoria di persone a cui, tuttavia, il pubblico non può ricondurre specificamente determinati nominativi, nemmeno utilizzando Internet[10].

e) Assenza di una speciale causa di non punibilità: la disciplina della diffamazione si scontra idealmente con il diritto alla libera manifestazione del proprio pensiero, tutelato dall’art. 21 Cost. e dall’art. 10 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Ricordando la scriminante dell’art. 51 c.p., ai sensi del quale non è punibile chi abbia commesso il fatto nel legittimo esercizio di un proprio diritto, qui identificabile nel c.d. “diritto di cronaca”, bisogna effettuare, di volta in volta, il bilanciamento di tale posizione giuridica soggettiva con il diritto alla riservatezza, alla reputazione e all’onore altrui.

A tal riguardo, negli anni, la giurisprudenza ha elaborato delle linee guida, a partire dalla storica sentenza n. 5294 del 1984 contente il c.d. “decalogo del giornalista”, che detta i limiti entro cui il diritto di cronaca deve essere esercitato, così schematizzabili:

– utilità sociale dell’informazione: deve sussistere un concreto interesse pubblico alla conoscenza della notizia relativamente a tematiche utili all’autonoma formazione dell’opinione pubblica, quali la politica, l’economia, le scienze o gli accadimenti giudiziari. L’interesse pubblico non è, quindi, per usare un gioco di parole, l’interesse del pubblico a conoscere una determinata notizia, non essendo scriminabili le dichiarazioni diffamatorie divulgate per soddisfare mere curiosità, come, ad esempio, accade per le riviste scandalistiche e di gossip.

– Verità della notizia: i fatti narrati devono corrispondere al fatto storico verificatosi, almeno nell’animus del soggetto attivo, mosso dalla “ragionevole e giustificabile convinzione della veridicità dei fatti denunciati[11]. Tale presupposto è indissolubilmente collegato all’utilità sociale dell’informazione, in quanto una notizia falsa è certamente inutile e probabilmente dannosa ed è menzionato all’ultimo comma dell’art. 596 c.p.[12].

Il requisito della veridicità, sempre secondo gli orientamenti giurisprudenziali più recenti, non è, invece, strettamente necessario per la satira, che si differenzia dalla cronaca, in quanto “costituisce una modalità corrosiva e spesso impietosa del diritto di critica, sicché […] è sottratta all’obbligo di riferire fatti veri, in quanto esprime mediante il paradosso e la metafora surreale un giudizio ironico su di un fatto […]. Conseguentemente, nella formulazione del giudizio critico, possono essere utilizzate espressioni di qualsiasi tipo, anche lesive della reputazione altrui, purché siano strumentalmente collegate alla manifestazione di un dissenso ragionato dall’opinione o comportamento preso di mira e non si risolvano in un’aggressione gratuita e distruttiva dell’onore e della reputazione del soggetto interessato[13].

– Continenza espositiva: il linguaggio utilizzato, per quanto eventualmente assuma toni critici nei confronti del soggetto passivo, deve rispettare un certo decoro. Esso, infatti, specie se espressione del diritto di critica, può certamente essere colorito in relazione allo scopo che vuole perseguire, ma non può sfociare in espressioni “gravemente infamanti e inutilmente umilianti, [che] trasmodino in una mera aggressione verbale del soggetto criticato[14].

Si precisa, in chiusura di questa disamina generale degli elementi oggettivi componenti la fattispecie della diffamazione, che le motivazioni sottese alla condotta diffamatoria non hanno alcun valore. A prescindere da un qualsivoglia fondo di verità, infatti, non è permesso denigrare pubblicamente l’altrui reputazione, rischiando, peraltro, di sfociare altresì nel reato di cui all’art. 393 c.p., ossia nell’esercizio arbitrario delle proprie ragioni, senza contare che, nel caso in cui sia totalmente assente l’esercizio del diritto di cronaca, ma si tratti di diffamazione, per così dire, “privata”, l’unica causa di non punibilità che può essere riconosciuta è quella descritta dall’art. 599 c.p., ovvero dell’aver commesso il fatto “nello stato d’ira determinato da un fatto ingiusto altrui e subito dopo esso”.

3. La diffamazione a mezzo facebook

Come preannunciato, la diffamazione si considera aggravata ai sensi del comma 3 art. 595 c.p. qualora venga divulgata tramite un “mezzo di pubblicità” alla cui categoria, pur differenziandosi nettamente dalla stampa, appartengono anche i social network. Questi, infatti, sono certamente idonei a raggiungere un numero “indeterminato e comunque quantitativamente rilevante[15] di utenti i quali, a loro volta, possono ricondividere il messaggio in maniera incontrollata, non rilevando, per la configurazione dell’aggravante in esame, che i post in bacheca o i commenti denigratori a post di altri siano pubblicati su gruppi chiusi.

In tale ottica, Facebook assume un rilievo particolare in quanto è, secondo solo a YouTube, il social più utilizzato in Italia, con ben 31 milioni di utenti attivi nel nostro Paese e 2,5 miliardi nel mondo. La piattaforma è, infatti, gratuita e si rivolge ad un pubblico vastissimo e generalizzato che la utilizza per diversi scopi, dal semplice stabilire un contatto con i propri amici a sponsorizzare un determinato evento o fare pubblicità al proprio brand. “Attraverso tale piattaforma virtuale, invero, gruppi di soggetti valorizzano il profilo del rapporto interpersonale allargato ad un numero indeterminato di aderenti al fine di una costante socializzazione[16] e grazie al meccanismo delle condivisioni dei post altrui, le notizie, compresi, naturalmente, eventuali messaggi diffamatori, possono essere propagate in maniera estremamente semplice e veloce, con una potenziale portata lesiva enorme[17].

4. Rimedi

In ogni caso, la persona offesa può scegliere il percorso giuridico che preferisce per tutelare la propria reputazione lesa, ed in particolare ha facoltà di:

1) Presentare la relativa querela ai sensi degli artt. 120 ss c.p. e 336 ss c.p.p. entro un massimo di tre mesi dalla conoscenza del fatto diffamante ed attendere che il pubblico ministero instauri il relativo procedimento penale, all’interno del quale la vittima potrà o meno costituirsi parte civile per il riconoscimento dei danni.

Parallelamente al rito penale, se il soggetto decide di non costituirsi parte civile, o anche in via esclusivamente alternativa, può altresì:

2) citare innanzi a un giudice civile il soggetto agente perché vengano riconosciuti e liquidati i relativi danni ai sensi degli artt. 2043 c.c., 2059 c.c. e 185, comma 2 c.p. Essi possono essere patrimoniali, qualora la diffamazione abbia provocato una perdita concreta di introiti o un mancato guadagno dimostrabile, e/o non patrimoniali, da calcolare in riferimento alle tabelle appositamente elaborate dal Tribunale di Milano[18].

 

 

 

 


[1] Art 368 c.p.: “Chiunque, con denuncia, querela, richiesta o istanza, anche se anonima o sotto falso nome, diretta all’Autorità giudiziaria o ad un’altra Autorità che a quella abbia obbligo di riferirne o alla Corte penale internazionale, incolpa di un reato taluno che egli sa innocente, ovvero simula a carico di lui le tracce di un reato, è punito con la reclusione da due a sei anni. La pena è aumentata se s’incolpa taluno di un reato per il quale la legge stabilisce la pena della reclusione superiore nel massimo a dieci anni, o un’altra pena più grave. La reclusione è da quattro a dodici anni, se dal fatto deriva una condanna alla reclusione superiore a cinque anni; è da sei a venti anni, se dal fatto deriva una condanna all’ergastolo; [e si applica la pena dell’ergastolo, se dal fatto deriva una condanna alla pena di morte].”
[2] Sul punto, cfr. Cass. pen. Sez. VI Sent., 18/02/2020, n. 12209 e Cass. pen. Sez. V Sent., 15/11/2019, n. 49459.
[3] Art 595 c.p.: “Chiunque, fuori dei casi indicati nell’articolo precedente, comunicando con più persone, offende l’altrui reputazione, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a milletrentadue euro Se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato, la pena è della reclusione fino a due anni, ovvero della multa fino a duemilasessantacinque euro. Se l’offesa è recata col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, ovvero in atto pubblico, la pena è della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore a cinquecentosedici euro. Se l’offesa è recata a un Corpo politico, amministrativo o giudiziario, o ad una sua rappresentanza, o ad una Autorità costituita in collegio, le pene sono aumentate.
Si precisa che la disposizione precedente a cui tale norma fa riferimento, ossia l’art. 594 c.p., riguardava la fattispecie dell’ingiuria, depenalizzata dal D. lgs. n. 7 del 15 gennaio 2016 e disciplinata dall’art. 4 di tale provvedimento come un illecito civile, che può concorrere con la diffamazione.
[4] Cass. pen. Sez. V, 23/09/2019, n. 2705.
[5] Cass. pen. Sez. V, 01/03/2018, n. 21128.
[6] Cass. pen. Sez. V, 12/11/2019, n. 11294: il caso di specie riguardava un avvocato il quale, nell’ambito di una procedura esecutiva, aveva inviato una missiva all’ufficiale giudiziario recante la frase “ritengo che lei abbia sostanzialmente rifiutato di adempiere ai doveri che il suo ufficio le impone” per contestare l’attendibilità di un verbale di pignoramento negativo.
[7] Cass. pen. Sez. V Sent., 29/05/2019, n. 39047.
[8] Cass. pen. Sez. V Sent., 17/01/2019, n. 10313.
[9] Cass. pen. Sez. I, 24/09/2018, n. 50423.
[10] Cass. civ. Sez. Unite Sent., 13/06/2019, n. 15897: nel caso in esame, si trattava di una critica rivolta, genericamente in “incertam personam” durante una trasmissione televisiva, ai magistrati amministrativi responsabili di alcuni corsi di preparazione per il relativo concorso in magistratura, tuttavia non personalmente individuabili dal pubblico, costituito da soggetti estranei all’ordinamento giudiziario. Cfr., in senso del tutto conforme, Cass. pen. Sez. V, 07/05/2019, n. 32862 e Cass. pen. Sez. V, 14/06/2018, n. 45813.
[11] Cass. pen. Sez. V Sent., 18/04/2019, n. 21145.
[12] Sul punto, si segnala la recentissima pronuncia Cass. pen. Sez. V Sent., 17/09/2020, n. 29128 che ha scriminato la condotta di un giornalista limitatosi a trasporre fedelmente nella propria pubblicazione le dichiarazioni, pur diffamanti e sconvenienti, di un personaggio pubblico precedentemente intervistato nei confronti di un magistrato, relativamente ad un fatto già di dominio pubblico.
[13] Cass. civ. Sez. I Ord., 20/03/2018, n. 6919.
[14] Cass. pen. Sez. V, 01/03/2018, n. 21128.
[15] Cass. pen. Sez. V, 06/07/2020, n. 22049.
[16] Cass. pen. Sez. V, 14/11/2016, n. 4873
[17] Si specifica, tuttavia, che, in virtù del presupposto dell’assenza della persona offesa precedentemente menzionato, qualora le dichiarazioni offensive dell’altrui reputazione vengano rese su Facebook ma a mezzo di una video-chat, non sussiste la diffamazione ma la fattispecie dell’ingiuria aggravata, essendo il soggetto passivo in grado di intervenire nella conversazione (Cass. pen. Sez. V, 25/02/2020, n. 10905).
[18] OSSERVATORIO SULLA GIUSTIZIA CIVILE DI MILANO – Criteri orientativi per la liquidazione del danno da diffamazione a mezzo stampa e con altri mezzi di comunicazione di massa, Edizione 2018. Tali criteri dividono le varie tipologie di diffamazione in cinque scaglioni, che prevedono una liquidazione dei danni da un minimo di euro 1.000,00 fino ad oltre euro 50.000,00.

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Silvia Zinolli

I have graduated in law with honors at the University of Genova, where I come from. I have always loved studying and discovering other cultures and that's why I spent several periods abroad, especially in Spain, Hungary and France. Right now I am a lawyer trainee and I am building my future with enthusiasm.

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