La differenza tra certificazione e dichiarazione della propria identità personale in occasione di procedimenti sanzionatori amministrativi

La differenza tra certificazione e dichiarazione della propria identità personale in occasione di procedimenti sanzionatori amministrativi

Con il termine “identità” si suole indicare l’insieme di informazioni, come ad esempio nome, data e luogo di nascita, cittadinanza, ecc. che caratterizzano in maniera specifica una persona e che permettono di distinguerla da altre. Tali dati, che caratterizzano il soggetto sotto il profilo giuridico, permettono di garantire certezza nell’ambito dei rapporti giuridici.

Nell’ambito di procedimenti sanzionatori di carattere amministrativo risulta di particolare rilevanza l’attività di rilievo dei dati, relativi all’identità personale, da parte dell’Autorità Amministrativa, affinché il procedimento sanzionatorio possa individuare in maniera compiuta il soggetto destinatario della sanzione e quindi chiarire in capo a quale soggetto sorga l’obbligazione pecuniaria ed eventuali sanzioni di carattere accessorio.

Tuttavia l’autorità Amministrativa, nell’attività di repressione degli illeciti, non può non conoscere la differenza tra richiesta di certificazione e richiesta di dichiarazione della propria identità personale.

La richiesta di certificazione dell’identità consiste nella richiesta, da parte di Pubblici Ufficiali, dell’esibizione di un documento rilasciato dalla Pubblica Amministrazione che attesti la propria identità e che contenga i dati previsti per legge. I documenti che sono in grado di certificare la propria identità sono: Carta di Identità, Passaporto, Patente di guida, Patente nautica, Porto d’armi e le tessere di riconoscimento rilasciate da una amministrazione dello Stato purché munite di fotografia e di timbro o di altra segnatura equivalente[1].

La richiesta di dichiarazione dell’identità consiste, al contrario, nella richiesta, sempre da parte di Pubblico Ufficiale, di indicazione orale dei dati che caratterizzano l’identità del soggetto. La differenza risulta quindi chiara: nel primo caso si chiede l’esibizione di un documento e nel secondo caso si richiede al soggetto di rendere dichiarazioni in ordine alla sua identità.

Ma nell’ambito dei procedimenti sanzionatori di carattere amministrativo, il Pubblico Ufficiale che rilevi un illecito è investito della facoltà di chiedere la certificazione o la dichiarazione dell’identità personale?

La questione, per quanto complessa, è risolvibile guardando alla normativa vigente presente nella Legislazione Speciale in Materia di Pubblica Sicurezza, la Legge 689/81 e il Codice Penale.

Dalle presenti normative si deduce che la possibilità di richiedere i c.d “documenti” è una attività che è paradossalmente non consentita nell’ambito di procedimenti sanzionatori amministrativi per un generico Pubblico Ufficiale che non rivesta nel medesimo momento la qualifica di agente o ufficiale di Pubblica Sicurezza[2]

Soltanto un soggetto P.U che rivesta la qualifica di P.S può richiedere ai sensi dell’art 294 del Regolamento attuativo del T.U.L.P.S l’esibizione di documenti in qualsiasi momento. Gli altri Pubblici Ufficiali che siano demandati al rilevamento e contestazione delle sanzioni amministrative (si pensi ad es. al controllore dei biglietti sul bus) potranno limitarsi esclusivamente e nella piena legittimità, a richiedere le sole generalità.

La questione potrebbe sembrare risolta e chiarita anche se tuttavia non possono non sorgere interrogativi in ordine alla norma di cui all’art. 294 del Reg.Att.vo del T.U.L.P. Il giurista non deve dimenticare che la norma regolamentare[3] è di secondo grado nella gerarchia delle fonti e che ha come funzione quella di disciplinare fattivamente contenuti di altre norme ordinarie. Rimane quindi l’interrogativo di come l’art. 294 Reg.Att.vo Tulps possa disciplinare in maniera così amplia una facoltà che nella stessa legge ordinaria, ovvero il T.U.L.P.S è invece limitata a casi particolari. Infatti l’art. 4 del T.U.L.P.S. stabilisce chiaramente che la richiesta di documenti[4] può essere effettuata soltanto, da parte dell’autorità di P.S., soltanto in ordine a soggetti pericolosi e/o sospetti.

Per soggetti pericolosi e sospetti si intendano rispettivamente quelle persone che siano in grado di mettere a rischio la pubblica incolumità (es. Intossicati, malati di mente ecc.) o soggetti che diano credito a giudizio sfavorevole circa la corretta convivenza sociale.

Quindi ne deriva che nessun generico Pubblico Ufficiale può esigere l’esibizione dei documenti ad un cittadino, anche se trasgressore di una norma che prevede l’irrogazione di una semplice sanzione amministrativa.

Non sussiste quindi in capo al cittadino che non sia sospetto o pericoloso, l’obbligo di certificazione dell’identità tramite l’esibizione di un documento. In tal senso è intervenuta pure la Giurisprudenza stabilendo l’esistenza di una grande differenza tra il “certificare” la propria identità e “dichiararla”[5].

Quindi un qualsiasi soggetto che rivesta la qualifica di Pubblico Ufficiale ex art. 357 c.p e che sia demandato al rilevamento di illeciti è chiamato e investito della possibilità di chiedere le sole generalità. La declinazione delle stesse  non deve essere vista come un atto di cortesia ma come un dovere imposto dalla legge che si desume, non essendoci una specifica norma, dalla lettura in combinato disposto dell’art. 13 della L 689/81 nella parte in cui si ricorda la possibilità di richiedere informazioni e compiere altri atti utili al compimento dell’atto di accertamento e dell’art 651 del Codice Penale che punisce espressamente il soggetto che si rifiuti di indicarle alla richiesta legittima di un pubblico ufficiale.

Se quindi da un lato il cittadino ha il solo obbligo di dichiarare i propri dati, è anche vero, da un altro lato, che nel caso in cui il soggetto declini le proprie generalità ma ci sia il fondato sospetto che le dichiarazioni possano essere non veritiere, sulla base di elementi concreti, si potrà procedere ad eseguire il c.d “Accompagnamento per identificazione” ex art 11 della legge 18 maggio 1978, n. 191 che non deve essere confuso con il fermo di indiziato di delitto[6], con il fermo per identificazione previsto dall’art 349 c.p.p[7] e nemmeno con il fermo di P.S previsto dall’art 4 del TULPS[8].

L’accompagnamento per identificazione ex art 11 L 191/78, che però può essere eseguito solo da un Pubblico Ufficiale investito della funzione di agente o ufficiale di Pubblica Sicurezza, è quel particolare strumento giuridico che permette di accompagnare il soggetto presso gli uffici di P.S, per u n massimo di 24 ore[9] e dandone comunicazione al P.M, per accertare l’identità e la verità di eventuali dichiarazioni sul quale ci sia il sospetto di falsità[10].

Si permette quindi di limitare parzialmente la libertà individuale del soggetto a fini identificativi quando non essendoci ancora la certezza di reato – che darebbe origine al fermo per identificazione ex art 349 c.p.p. – ci siano tuttavia sufficienti indizi di falsità delle dichiarazioni o dei documenti eventualmente presentati.

Tale strumento prescinde ulteriormente dal “Fermo di P.S” (ex art 4 Tulps) che è invece previsto per identificare: soggetti pericolosi e sospetti che non siano in grado di certificare la propria identità, persone che non sappiano dichiarare la propria identità.

Diversa è invece la situazione in cui il soggetto si rifiuti espressamente di fornire le proprie generalità commettendo quindi il reato di cui all’art. 651 del C.p. o decida liberamente di esibire documenti falsi. In questo caso, l’autorità di Polizia Giudiziaria, potrà procedere con il fermo di identificazione ex art. 349 comma 4, in quanto è espressamente previsto che la P.G proceda all’identificazione delle persone nei cui confronti vengono svolte indagini, che non potrà, in concreto essere operata se non tramite il fermo. Il fermo potrà essere evitato laddove successivamente il soggetto certifichi o dichiari la propria identità fermo restando la denuncia a piede libero in quanto è il primo rifiuto a configurare il reato di cui all’art 651 c.p essendo esso stesso reato istantaneo[11].

Volendo tracciare un rapido riepilogo delle situazioni qui esposte si deve affermare che: a) solo un Pubblico Ufficiale che rivesta la qualifica di agente o ufficiale di Pubblica Sicurezza può chiedere l’esibizione dei documenti; b) tale ipotesi andrebbe però ristretta ai soli casi di cui all’art 4 T.U.L.P.S; c) altri soggetti che rivestano una generica qualifica di Pubblico Ufficiale hanno invece la totale facoltà di esigere per legge la sola declinazione orale delle generalità da parte di eventuali soggetti trasgressori di norme per il quale è prevista l’irrogazione di sanzioni amministrative; d) laddove ci siano indizi di falsità si potrà richiedere il supporto dell’autorità di P.S per eventuali verifiche.

 


[1] DPR n. 445 del 2000, art. 35, comma 2: “Sono equipollenti alla carta d’identità: il passaporto, la patente di guida, la patente nautica, il libretto di pensione, il patentino di abilitazione alla conduzione di impianti termici, il porto d’armi, le tessere di riconoscimento, purché munite di fotografia e di timbro o di altra segnatura equivalente, rilasciate da un’amministrazione dello Stato“.

[2] Si ricordi che la qualifica di agenti o ufficiali di Pubblica Sicurezza non deve essere confusa con la qualifica di agente o ufficiale di Polizia Giudiziaria. Tale qualifica sussiste in capo a soltanto determinati soggetti appartenenti alle forze di Polizia secondo le disposizioni del R.D. 31 agosto 1907 n. 690.  Si pensi ai soggetti appartenenti alla Polizia Locale che sono investiti della qualifica funzionale di P.G, ai sensi della legge quadro sui servizi di Polizia Municipale, ma che non sono investiti automaticamente della qualifica di Pubblica Sicurezza che sussisterà soltanto laddove siano stati appositamente investiti della qualifica dal Prefetto.

[3] La legge 400/1988 all’art 17 commi 1 e 4 definisce il procedimento di adozione dei Regolamenti, Atti formalmente amministrativi e sostanzialmente normativi.

[4] A parere dello scrivente se un soggetto che non rientri nelle ipotesi di cui all’art 4 Tulps, dichiarate le generalità a voce, si rifiuti tuttavia di esibire i documenti non potrà vedere l’insorgenza di responsabilità penale per la violazione della norma regolamentare ex art 294 Reg.Att.vo Tulps in quanto il principio di Legalità stabilisce, tramite il corollario del principio della riserva di legge, che le norme incriminatrici possano essere stabilite solo dalla legge ordinaria.

[5] Cass. sez. I, 25 giugno 1987, n. 1769.

[6] Il fermo di indiziato di delitto stabilisce la possibilità di sottoporre a fermo, su iniziativa del P.M, il soggetto nei confronti di cui sono svolte indagini sulla quale pendono gravi indizi di colpevolezza e in ordine al quale ci sia il concreto pericolo di fuga- In tal senso cfr. art 384 c.p.p.

[7] Il fermo di identificazione ex art 349 c.p.p. viene invece operato nei confronti di: persone che abbiano commesso reato o indagate, persone in grado di riferire sui fatti che si rifiutino di fornire le proprie generalità.

[8] Il fermo di P.S previsto dall’art 4 Tulps è invece effettuabile solo nei confronti di soggetti pericolosi o sospetti che non siano in grado di documentare la propria identità personale. Esso si svolge mediante l’accompagnamento, anche coattivo, presso gli uffici di P.S per il compimento degli atti di identificazione.

[9] Parte della dottrina è orientata a pensare che il limite debba ridursi a 12 ore in quanto il tempo previsto per il fermo di identificazione ex art 349 c.p.p. è di 12 ore. Tuttavia non si può non dimenticare che nei casi di maggior complessità il termine, se autorizzato, può arrivare a 24 ore.

[10] Alla identificazione della persona può procedersi, ove occorra, anche eseguendo rilievi dattiloscopici, fotografici, antropometrici, nonché qualsiasi altro accertamento a disposizione per effetto di nuove tecnologie. L’attività di identificazione dovrà comunque svolgersi nel rispetto della dignità e pudore della persona e secondo le modalità previste dal Codice di rito penale. Se gli accertamenti prevedono il prelievo di capelli o saliva e manca il consenso dell’interessato, la polizia giudiziaria procede al prelievo coattivo nel rispetto della dignità personale del soggetto, previa autorizzazione scritta, oppure resa oralmente e confermata per iscritto, dal Pubblico Ministero.

[11] Cass. n. 9957/2015. Il reato previsto dall’art. 651 cod.pen., si perfeziona con il semplice rifiuto di fornire al pubblico ufficiale indicazioni sulla propria identità personale ed è, pertanto, irrilevante, ai fini della configurazione dell’illecito, che tali indicazioni vengano fornite successivamente. La corte ha riconosciuto che la ratio della norma è quella di evitare intralci all’attività della Pubblico Ufficiale nell’esercizio delle funzioni.


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