La disciplina degli stupefacenti ed il fatto di lieve entità

La disciplina degli stupefacenti ed il fatto di lieve entità

della Dott.ssa Giancristofaro Anna Adele

Sommario1. Introduzione – 2. L’art. 73, quinto comma, D.P.R. 309/90 e sue successive modifiche legislative – 3. Gli elementi caratterizzanti il fatto di lieve entità. Criteri giurisprudenziali di applicabilità della norma di cui all’art. 73, quinto comma – 4. L’art. 73, quinto comma: da circostanza attenuante a figura autonoma di reato – 5. Il rapporto tra il fatto di lieve entità ed il piccolo spaccio.

1. INTRODUZIONE

L’articolo 73 del D.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309[1] (“Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza”)  rappresenta la norma fondamentale in materia di stupefacenti.

Al suo interno, più precisamente al quinto comma, viene disciplinato il fatto di lieve entità quando la condotta del reo sia caratterizzata dall’ipotesi di minima offensività penale, desumibile sia dal dato qualitativo e quantitativo, sia dagli altri parametri richiamati espressamente dalla disposizione (mezzi, modalità e circostanze dell’azione).

Tale questione, costituente argomento del presente contributo, assurge al ruolo di vera e propria “vexata quaestio”.

La disciplina del fatto di lieve entità in materia di stupefacenti, infatti, è stata oggetto di numerose modifiche legislative ed interpretazioni giurisprudenziali che non sempre hanno reso agevole il compito dell’interprete.

Pertanto, nella breve disamina che segue, si cercherà di focalizzare l’attenzione oltre che sulle intervenute leggi di modifica alla norma de quo, anche sull’analisi dei singoli elementi caratterizzanti il fatto di lieve entità, sul suo mutamento da circostanza attenuante a figura autonoma di reato e sulla sua possibile applicazione nelle ipotesi di piccolo spaccio.

2. L’ART. 73, QUINTO COMMA, D.P.R. 309/90 E SUE SUCCESSIVE MODIFICHE LEGISLATIVE

L’articolo 73, così come introdotto dal D.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309 su citato e rubricato “Produzione, traffico e detenzione illeciti di sostanze stupefacenti o psicotrope” è stato oggetto di numerose modifiche legislative intervenute negli anni.

La sua formulazione originaria si deve anche ad un’importante dichiarazione di incostituzionalità (in parte qua) della norma suddetta da parte della Corte Costituzionale, la quale è intervenuta ridefinendo le pene applicabili al reato di detenzione a fini di spaccio di sostanze stupefacenti[2].

Più precisamente, tale disposizione, nel testo anteriore alle modifiche apportate dalla norma dichiarata incostituzionale e quindi nuovamente in vigore, prevedeva un trattamento sanzionatorio più mite, rispetto a quello poi caducato, per gli illeciti concernenti le cd. “droghe leggere” (puniti con la pena della reclusione da due a sei anni e della multa, anziché con la pena della reclusione da sei a venti anni e della multa); viceversa stabiliva sanzioni più severe per i reati concernenti le cd. “droghe pesanti” (puniti con la pena della reclusione da otto a venti anni, anziché con quella da sei a venti anni).

Tale forte differente trattamento sanzionatorio previsto per lo spaccio di droghe leggere e pesanti ha reso ancor più importante l’attuale quinto comma dell’art. 73, D.P.R. 309/90, oggetto della qui presente disamina.

Quest’ultimo, infatti, in base alla sua formulazione originaria, statuiva che: «Quando, per i mezzi, per la modalità o le circostanze dell’azione ovvero per la qualità e quantità delle sostanze, i fatti previsti dal presente articolo sono di lieve entità, si applicano le pene della reclusione da uno a sei anni e della multa da lire cinque milioni a lire cinquanta milioni se si tratta di sostanze stupefacenti o psicotrope di cui alle tabelle I e III previste dall’articolo 14, ovvero le pene della reclusione da sei mesi a quattro anni e della multa da lire due milioni a lire venti milioni se si tratta di sostanze di cui alle tabelle II e IV».

A ben vedere, la ratio della norma si ravvisa nell’esigenza di temperare il rigore sanzionatorio a cui sono sottoposte tutte le condotte previste dall’art. 73 in relazione ai fatti connotati da una ridotta dimensione offensiva[3].

Infatti, quest’ultima trova applicazione nei casi in cui lo spaccio di sostanza stupefacente è definibile di “lieve entità”, stabilendo una diversa misura della riduzione della sanzione edittale a seconda che le condotte abbiano ad oggetto droghe pesanti o leggere.

Tale comma è stato, poi, sostituito dall’art. 4-bis  del D.L. 30 settembre 2005 n. 272, convertito con modificazioni in L. 21 febbraio 2006 n. 49 (la già citata Legge Fini-Giovanardi), secondo la quale «Quando, per i mezzi, per la modalità o le circostanze dell’azione ovvero per la qualità e quantità delle sostanze, i fatti previsti dal presente articolo sono di lieve entità, si applicano le pene della reclusione da uno a sei anni e della multa da euro 3.000 a euro 26.000».

Si assiste, pertanto, ad un’unificazione del trattamento sanzionatorio delle droghe, cosi’ come previsto dalla summenzionata legge di modifica e ad una riduzione a due sole tabelle per la catalogazione: la prima per le sostanze stupefacenti e la seconda per i farmaci[4].

Successivamente l’art. 2, co.1, lett a) del D.L. n. 146/2013[5] (“Misure urgenti in tema di tutela dei diritti fondamentali dei detenuti e di riduzione controllata della popolazione carceraria”), entrato in vigore in data 24 dicembre 2013 e convertito con modificazioni dalla L. n. 10 del 21 febbraio 2014, ha nuovamente operato la sostituzione dell’articolo in esame statuendo che: «Salvo che il fatto costituisca piu’ grave reato, chiunque commette uno dei fatti previsti dal presente articolo che, per i mezzi, la modalita’ o le circostanze dell’azione ovvero per la qualita’ e quantita’ delle sostanze, e’ di lieve entita’, e’ punito con le pene della reclusione da uno a cinque anni e della multa da euro 3.000 a euro 26.000».

Prima facie è da notare subito come il legislatore abbia inserito nell’incipit della norma una specifica clausola di sussidiarietà o riserva (“salvo che il fatto costituisca più grave reato”); in secondo luogo, a ben vedere, è stato ridotto il massimo di pena detentiva edittale, da sei a cinque anni di reclusione.

Inoltre, deve ritenersi che con le apportate modifiche la norma abbia inteso mutare la qualificazione giuridica della fattispecie, trasformando quella che era considerata una circostanza attenuante rispetto ai fatti previsti nel primo o quarto comma di cui all’art. 73, D.P.R. 309/90, in un titolo autonomo di reato, come può desumersi, in primo luogo, dalla stessa interpretazione letterale della disposizione in esame.

Infine, è bene sottolineare come a seguito di tale novella la quantificazione della pena sia stata rideterminata in un’unica misura (reclusione da uno a cinque anni e della multa da euro 3.000 a euro 26.000), a prescindere, quindi, dalla tipologia delle sostanze stupefacenti[6].

Successivamente, la Corte costituzionale, con la su citata sentenza del 2014 n. 32, ha ripristinato la distinzione tra le droghe “pesanti” e “leggere” di cui al D.P.R. 309/1990.

Il nodo interpretativo di maggior rilievo era senz’altro proprio quello relativo a tale rinnovata distinzione, presente nel primo e quarto comma e assente, invece, nell’ipotesi di cui al quinto comma.

Ciò stava a significare che il fatto di lieve entità era indipendente dal tipo di sostanza oggetto di coltivazione, produzione, estrazione, raffinazione, vendita, offerta o messa in vendita, cessione o ricezione, a qualsiasi titolo, distribuzione, commercio, acquisto, trasporto, esportazione, importazione, invio, passaggio o spedizione in transito, consegna per qualunque scopo o comunque illecita detenzione[7].

Da ultimo il quinto comma dell’art. 73 in questione è stato ulteriormente sostituito dall’art. 1, comma 24-ter, lett. a) del D.L. 20 marzo 2014, n. 36, convertito con modificazioni in L. 16 maggio 2014 n. 79.

Pertanto, l’attuale formulazione della norma de qua è la seguente: «Salvo che il fatto costituisca piu’ grave reato, chiunque commette uno dei fatti previsti dal presente articolo che, per i mezzi, la modalita’ o le circostanze dell’azione ovvero per la qualita’ e quantita’ delle sostanze, e’ di lieve entita’, e’ punito con le pene della reclusione da sei mesi a quattro anni e della multa da euro 1.032 a euro 10.329».

Con tale ultimo intervento normativo, il legislatore ha ripristinato il vecchio quadro edittale previsto dalla disciplina originaria per i fatti di lieve entità relativa alle droghe leggere (reclusione da sei mesi a 4 anni e multa da 1.032 a 10.329 euro), estendendolo anche ai fatti corrispondenti aventi ad oggetto droghe pesanti, per i quali invece il T.U. originario prevedeva la reclusione da uno a sei anni, con un effetto migliorativo del regime sanzionatorio[8].

3. GLI ELEMENTI CARATTERIZZANTI IL FATTO DI LIEVE ENTITA’. CRITERI GIURISPRUDENZIALI DI APPLICABILITA’ DELLA NORMA DI CUI ALL’ART. 73,  QUINTO COMMA

Entrando nel dettaglio, la fattispecie in esame, come si è già avuto modo di dire, concerne i fatti di lieve entità in materia di sostanze stupefacenti.

A tal proposito, si parla di lieve entità del fatto nell’ipotesi in cui la condotta tenuta dall’agente sia caratterizzata da una “minima offensività” penale, deducibile sia dagli elementi attinenti all’azione criminosa che da quelli relativi all’oggetto materiale del reato summenzionati[9].

Quanto ai suoi elementi caratterizzanti, le descritte novelle legislative, pur modificando la natura dell’istituto in esame, non hanno inciso sui suoi presupposti applicativi.

Dunque, l’indagine circa la sussistenza di questi ultimi deve essere svolta avendosi riguardo a tutti i parametri richiamati dalla norma di cui all’art. 73, quinto comma, D.P.R. 309/90 e cioè ai mezzi, alla modalità o alle circostanze dell’azione ovvero alla qualità e quantità delle sostanze.

Passando all’analisi dei primi (mezzi e modalità dell’azione) la giurisprudenza della Corte di Cassazione[10] ha osservato che si tratta di indici della portata oggettiva dell’attività svolta dall’agente, nel senso che questa deve connotarsi per la sua modestia e per il ristretto ambito del mercato di riferimento.

Per quanto concerne il parametro della qualità, invece, quest’ultimo si riferisce al basso tasso di principio attivo presente nella sostanza oggetto dell’attività incriminata, in quanto tale destinata direttamente a fronteggiare il consumo degli aventi causa e, comunque, non suscettibile di ulteriori significativi tagli[11].

Peraltro, per la Cassazione è possibile attribuire rilievo oltre che alla maggiore o minore purezza della sostanza, anche alla natura della stessa[12].

Infine, in ordine all’ultimo dei parametri su esposti e cioè a quello della quantità della sostanza stupefacente, viene in rilievo come l’art. 73, sul piano applicativo, risente dell’introduzione al proprio interno del comma 1-bis lett. a), il quale introduce il criterio di valutazione del quantitativo di sostanza stupefacente correlato ai limiti massimi di principio attivo e rilevanti per la configurabilità stessa del delitto, individuati nel D.M. 11 aprile 2006[13].

Posto ciò, è necessario chiedersi come gli elementi codificati dalla norma e sopra descritti nel dettaglio, debbano essere valutati dal Giudicante ai fini della configurazione del fatto di “lieve entità” e quindi dell’applicabilità al caso concreto della norma di cui all’art. 73 quinto comma, D.P.R. 309/90.

Secondo un orientamento della dottrina[14] e della giurisprudenza[15], tali parametri devono costituire oggetto di una valutazione globale (c.d. principio di globalità) nel quale tutti gli elementi debbono venire in rilievo, con la possibilità, tuttavia, che il valore negativo di uno sia compensato e neutralizzato dal valore positivo degli altri elementi esistenti.

Un diverso indirizzo dottrinario[16] fa leva sul dato letterale dell’art. 73 quinto comma, D.P.R. 309/90, il quale, com’è noto, contiene al proprio interno la congiunzione “ovvero” (“mezzi, modalità o circostanze dell’azione ovvero  qualità e quantità delle sostanze”), affermando che tali parametri possono essere considerati alternativamente, nel senso che ne basta uno solo per attestare la lieve entità del fatto, così come per escluderla.

Tale orientamento è stato fatto proprio anche dalla giurisprudenza, in particolare di quella delle Sezioni Unite di Cassazione, secondo cui il giudizio di lieve entità del fatto deve scaturire dal positivo apprezzamento di ciascuno degli elementi indicati dalla norma[17].

Successivamente, sempre la giurisprudenza di legittimità ha confermato il principio cardine della “valutazione congiunta” di tali parametri normativi[18] e della rilevanza ostativa anche di un solo di essi quando risulti “esorbitante” e cioè dimostrativo della “non lievità” del fatto[19].

La valutazione congiunta, infatti, consente di apprezzare, in modo equilibrato, il fatto in tutte le sue componenti, senza, peraltro, trascurare le connotazioni particolari che assumono, nel concreto, i singoli parametri di riferimento[20].

Su quest’ultimo punto, concorde è anche la recentissima giurisprudenza della Suprema Corte, la quale è pacifica nell’affermare che la questione circa l’applicabilità del quinto comma dell’articolo 73, D.P.R. 309/90 debba essere affrontata non in chiave astratta, ma in concreto, tenendo, perciò, conto di tutte le specifiche caratteristiche della vicenda giudiziaria in esame[21] e rifuggendo da ogni sorta di automatismo[22] .

Ad ogni modo va sottolineato come, qualora anche uno solo degli elementi richiamati dalla norma emerga nel caso concreto come negativamente assorbente rispetto agli altri, la lieve entità del fatto non potrà essere riconosciuta[23].

E’ questo il caso del parametro riferito al dato ponderale della sostanza stupefacente, ossia alla quantità di droga[24] detenuta dal reo, la quale gioca un ruolo chiave in sede di valutazione congiunta dei suddetti parametri[25].

Difatti, nella maggioranza dei casi, risulta essere l’unico dato significativo valutato ai fini della determinazione della gravità o meno della condotta, in quanto immediatamente percepibile e di particolare rilevanza[26].

Ad esempio, si veda l’ipotesi in cui avviene il superamento della soglia di quantitativo massimo detenibile dal soggetto agente, individuata di volta in volta dalla giurisprudenza di merito in relazione alle specificità del luogo in cui fu commesso il reato[27]; in tal caso, non sarà possibile configurare il fatto come di lieve entità, risultando, così, soccombente ogni altro parametro normativo[28].

Viceversa, nel caso in cui si sia in presenza di quantitativi non così importanti, ma nemmeno esigui, è necessario procedere ad una valutazione globale ed comprensiva di tutti gli elementi indicati dall’art. 73, comma quinto, non essendo sufficiente il solo richiamo al quantitativo della sostanza[29].

4. L’ART. 73, QUINTO COMMA: DA CIRCOSTANZA ATTENUANTE A FIGURA  AUTONOMA DI REATO

Come  si  è  avuto  già  modo  di  affermare  sopra, il  c.d. decreto svuota carceri (d.l. 23 dicembre 2013 n. 146) aveva novellato il quinto comma dell’articolo 73 del D.P.R 309/90, trasformando la fattispecie ivi prevista da elemento circostanziale (accidentalia delicti) del reato base di cui al primo comma della medesima disposizione, ad autonoma fattispecie delittuosa; ciò indipendentemente dalla natura (pesante o leggera) della sostanza ceduta.

Infatti, prima di tale modifica legislativa, secondo l’opinione prevalente   in  dottrina[30] ed   in   giurisprudenza[31] la  fattispecie   di   cui   sopra  rappresentava  una circostanza attenuante e non già un’autonoma figura di reato[32].

Anche a seguito delle modifiche introdotte con la L. del 2006 n. 49, la Cassazione aveva ribadito come la stessa disposizione in esame avesse continuato a mantenere natura di circostanza attenuante[33], con la conseguente assoggettabilità di tale fattispecie al giudizio di comparazione, ai sensi dell’art. 69 c.p. in presenza di circostanze di segno opposto; si trattava, chiaramente, di una circostanza ad effetto speciale[34].

Tuttavia, con il decreto di cui sopra ed i successivi interventi giurisprudenziali, il panorama veniva a mutare.

In primis, la Suprema Corte[35] affermava il principio di diritto secondo il quale la nuova “ipotesi lieve” di condotta illecita in tema di sostanze stupefacenti  di cui all’art. 73 comma quinto del D.P.R. 309/90, come modificato dall’art. 2 del D.L. 23 dicembre 2013 n. 146, convertito nella L. 21 febbraio 2014, n. 10, dev’essere configurata come figura di reato autonoma rispetto a quella delineata dal comma primo del medesimo articolo, in base al criterio testuale, a quello sistematico e all’intentio legis, non contrastati da decisivi argomenti di segno opposto.

Tale pronuncia era il risultato di un’attenta analisi della diposizione in esame, alla luce della quale vi sono non pochi elementi da cui si desume  il superamento della stessa da circostanza attenuante a figura autonoma di  reato.

Tra questi indici sintomatici, i giudici del massimario[36] annoveravano, anzitutto, l’inserimento della clausola di riserva (“salvo che il fatto costituisca più grave reato”) quale incipit della norma, la quale rivela che l’ambito di applicazione della stessa è segnato in negativo dalla configurabilità di un più grave reato, espressione che chiaramente presuppone come il fatto considerato dalla disposizione de qua costituisca esso stesso già di per sé un reato.

In secondo luogo, l’inedita previsione di un soggetto attivo (“chiunque”) e di una condotta (“commette”), sembrano scelte indicative della volontà di incriminare in maniera autonoma fatti la cui descrizione è pur sempre in parte mutuata da altre disposizioni incriminatrici.

Infine, la modifica della formula punitiva, pur non essendo di per sé univocamente significativa, appare non solo corrispondere all’esigenza di una sua coerente declinazione con la già ricordata proposizione che ora domina la costruzione normativa, ma, altresì, alla volontà di condividere il lessico proprio delle disposizioni autonomamente incriminatrici.

Tuttavia, l’inquadramento della disposizione in esame quale fattispecie autonoma non è privo di rilevanti conseguenze.

In precedenza, infatti, trattandosi di circostanza attenuante, la stessa era soggetta al giudizio di comparazione sopra citato con le aggravanti eventualmente contestate e, in caso di equivalenza, la pena veniva determinata sulla base della sanzione edittale prevista per le fattispecie di cui al primo comma dell’art. 73[37].

Attualmente, invece, non rappresentando più, la norma in esame, un’attenuante, ma un’autonoma figura di reato, nel caso in cui sussistano circostanze attenuanti e/o aggravanti, trovano applicazione i criteri di cui all’art. 63 e ss. c.p., con la conseguenza che, operando il giudizio di comparazione, la pena base sarà, in caso di equivalenza delle circostanze, quella prevista dalla nuova fattispecie[38].

Altre conseguenze maggiormente rilevanti riguardano il regime prescrizionale applicabile, il quale non sarà più quello costruito sulla cornice edittale del primo comma, bensì dovrà essere determinato autonomamente secondo la regola ordinaria di cui all’art. 157 c.p.: nello specifico, sei anni[39] elevabili a sette anni e sei mesi in presenza dell’atto interruttivo[40].

5. IL RAPPORTO TRA IL FATTO DI LIEVE ENTITA’ ED IL PICCOLO SPACCIO

Ulteriore quesito che è necessario porsi è se la lieve entità possa trovare applicazione anche nell’ipotesi di spaccio di ridotte dimensioni (cd. piccolo spaccio).

In merito a ciò, la Suprema Corte di Cassazione è concorde nel ritenere[41] che il fatto di lieve entità si configura anche per il piccolo spaccio, il quale si caratterizza per una minore portata dell’attività dello spacciatore e dei suoi eventuali complici, con una circolazione di denaro e di merce ridotta, con guadagni limitati e che ricomprende anche la detenzione di una provvista per la vendita.

In tale ipotesi, però, risulta erroneo valutare genericamente il carattere organizzato dello spaccio quale caso di esclusione dell’attenuante, ma dovrà, invece, valutarsi se gli elementi acquisiti facciano ritenere che si sia in presenza di un’attività di “piccolo spaccio”.

Anche in codesto caso, pertanto, l’applicazione del fatto di lieve entità va considerato valutando tutti i parametri indicati dall’art. 73, quinto comma del D.P.R. 309/90, poiché lo scostamento anche da uno solo di questi comporta che si è di fuori dal fenomeno criminale del “piccolo spaccio”.

In un tale contesto valutativo, infatti, ove la quantità di sostanza stupefacente si rivelasse considerevole, tale circostanza sarebbe di per sé sintomo sicuro di una notevole potenzialità offensiva del fatto e di diffusibilità della condotta di spaccio[42].

Nell’ipotesi in cui, invece, fossimo di fronte ad una quantità minima di droga, ma tale singola attività risultasse connessa ad un’attività di traffico di maggiore rilievo, non si potrà applicare la sanzione più mite prevista per il piccolo spaccio; in tal caso soccorreranno i diversi criteri legali, ovvero i “mezzi” e le “modalità” dell’azione.

Allo stesso modo, non potrà rientrare nell’ipotesi attenuata una detenzione di droga in quantità superiore ad una soglia ragionevole, anche laddove non siano evidenziati particolari mezzi e modalità dell’azione, poiché la stessa “quantità”, da sola, non consente di ipotizzare che il detentore svolga attività di piccolo spaccio.

Infine, è necessario anche tenere conto del possibile guadagno, distinguendo l’ipotesi attenuata anche in ragione del valore della sostanza in vendita[43].


[1] La cd. legge Iervolino-Vassalli.
[2] Corte Costituzionale, sentenza 25 febbraio 2014 n. 32 (in Gazz. Uff., 5 marzo 2014, n.11) con cui la Corte aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale, per violazione dell’art. 77, secondo comma, Cost., che regola la procedura di conversione dei decreti-legge, degli artt. 4-bis e 4-vicies ter del d.l. 30 dicembre 2005, n. 272 (intitolato “Misure urgenti per garantire la sicurezza ed i finanziamenti per le prossime Olimpiadi invernali, nonché la funzionalità dell’Amministrazione dell’interno. Disposizioni per favorire il recupero di tossicodipendenti recidivi”), come convertito con modificazioni dall’art. 1 della legge 21 febbraio 2006, n. 49 (la cd. L. Fini-Giovanardi, la quale aveva soppresso la distinzione tabellare fra droghe leggere e droghe pesanti, introducendo un’unica tabella delle sostanze stupefacenti), così rimuovendo le modifiche apportate con le norme dichiarate illegittime agli articoli 73, 13 e 14 del D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309.
[3] FORTUNA, Stupefacenti (dir. interno), EdD, XLIII, Milano, 1990, 1202; PALAZZO, Consumo e traffico degli stupefacenti, Padova, 1994, p.163.
[4] Procura della Repubblica presso il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, Prot. n. 5328/2016/usc., Direttive in materia di stupefacenti, in www.penalecontemporaneo.it, S. Maria Capua Vetere, 13 maggio 2016, p.7
[5] Trattasi del c.d. “decreto svuota carceri” poiché lo stesso nasce dall’esigenza di restituire alle persone detenute la possibilità di un effettivo esercizio dei diritti fondamentali e di affrontare il fenomeno del sovraffollamento carcerario.
[6] P. PANARELLO, Droghe, uso e spaccio di lieve entità: prima riflessioni sulle nuove norme, in www.altalex.com, 2014; G. MIGLIORE, Il fatto di lieve entità nella disciplina della legge stupefacenti,, in www.filodiritto.com,  2018, p.1: è chiaro, quindi, che, soprattutto quando si tratti di droghe cd. pesanti, la possibilità di accedere all’Istituto del fatto di lieve entità sia di fondamentale rilevanza, in quanto può determinare una pena enormemente inferiore rispetto a quella dell’ipotesi base.
[7] A. CECI, Lo “Spacciatore di strada” e la lieve entità del fatto, in  www.dirittoalpunto.com,  29 Agosto 2016.
[8] Procura della Repubblica presso il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, Prot. n. 5328/2016/usc., cit., p.7.
[9] Cfr. da ultimo, Cass. Sez. feriale, 13 agosto 2015 n. 39844: la giurisprudenza sul punto è costante.
[10] Cass., Sez. VI, 5 marzo 2013, n.10898, secondo la quale in tema di detenzione di sostanze stupefacenti, la circostanza attenuante del fatto di lieve entità non può essere esclusa sulla base delle modalità di occultamento e trasporto della droga ispirate ad ordinarie esigenze di prudenza (nella specie, negli indumenti intimi), né del mero presupposto che l’imputato ha posto in essere una pluralità di condotte di cessione.
[11] P. PANARELLO, cit.
[12] Cass., Sez. IV, 21 maggio 2008, n. 22643.
[13] Tale decreto del Ministero della Salute, infatti, contiene le tabelle attuative della c.d. Legge Fini-Giovanardi sulle droghe (D.L. 272/2005 convertita con  l. n. 49/2006, cit.), elaborate dalla Commissione tecnica all’uopo istituita, con il quale vengono fissati i “limiti soglia” massimi delle sostanze stupefacenti che costituiscono il discrimine fra l’ ”uso personale” e lo ”spaccio”.
[14] G. AMATO, Droga e attività di polizia, Roma, 1992, p.140.
[15] Cass., Sez. VI, 12 aprile 1995, n. 8035.
[16] FLORA, Il nuovo sistema delle incriminazioni, in Aa. Vv., La nuova normativa sugli stupefacenti, Commento alle norme penali del testo unico, a cura di Flora, Milano, 1991, p.6.
[17] Cass., S.U., 21 giugno 2000, n. 17; Cass., Sez. VI, 15 giugno 1998, n. 8857. Nello stesso senso, Cass., Sez. IV, 22 dicembre 2011, n. 6732, nonché Cass., S.U., 24 giugno 2010, n. 35737, P.PANARELLO, cit.
[18] Cass. Pen, Sez. VI, 5 marzo 2013, Gallo.
[19] Cass. Pen, Sez. VI, 17 febbraio 2013, Serafino.
[20] Procura della Repubblica presso il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, cit., p.8. La Cassazione ha sottolineato in alcune pronunce che la valutazione congiunta di tutte le circostanze previste dalla norma va trasfusa nell’obbligo di motivazione. In tal senso, Cass. Sez. VI, 5 marzo 2013, n.27809, Rv. 255856, Gallo, che ha sottolineato come il giudice del merito che voglia configurare una condotta come di lieve entità deve fornire in motivazione una “adeguata valutazione complessiva “del fatto (in particolare, mezzi, modalità e circostanze dell’azione, qualità e quanlità della sostanza, con riferimento alla percentuale di purezza della stessa); Cass. Sez. VI, 10 gennaio 2013, n. 6574, Mallo, Rv. 242247, il quale, nella medesima ottica di un necessario esame complessivo degli elementi normativi caratterizzanti, ha rilevato sussistente il vizio di motivazione della sentenza che, per escludere l’attenuante di cui al comma quinto dell’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990, evidenzia la sola diversità delle sostanze stupefacenti detenute, contenenti lo stesso principio attivo.
[21] Cass. Pen.,  Sez. VI  del 2017 n. 46495.
[22] Cass. Pen., Sez. VI del 2017 n. 39374, G. MIGLIORE, cit., p.2.
[23] Cass. Pen. Sez. VI del 2017 n. 46495,  Ibidem.
[24] Va anzitutto precisato che la valutazione del dato qualitativo e quantitativo della sostanza stupefacente deve avvenire con riferimento al principio attivo e non al quantitativo lordo.
[25] Per la giurisprudenza esso rappresenta l’elemento più significativo per stabilire la sussistenza dell’offesa all’interesse protetto e, dunque, la gravità del fatto: tra le altre, Cass., Sez. IV, 5 novembre 2009, n. 42485; Cass., Sez. VI, 5 gennaio 1999, n. 6394; Cass., Sez. VI, 19 settembre 1996, n. 9082.
[26] Procura della Repubblica presso il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, Prot. n. 5328/2016/usc., cit., p.9.
[27] E’ evidente, infatti, come  una certa quantità di droga può essere oggettivamente rilevante per il territorio di un piccolo paese di provincia, mentre di poco conto ed oggettivamente marginale per il territorio di una grande metropoli.
[28] Cass. Pen. Sez. IV del 2017 n. 49153, G. MIGLIORE, cit., p.2; è ovvio, infatti, che un quantitativo “ponderalmente esorbitante” non può che condurre ad un giudizio di gravita della condotta e, quindi, alla negazione del fatto “lieve”, senza che neppure occorra prendere in esame gli altri parametri normativi.
[29] Cfr. in tal senso, Cass.Sez.VI, 5 marzo 2013, n. 9723, Serafino, Rv. 254695, con riferimento ad una fattispecie relativa ad un quantitativo di 88 grammi netti di marijuana, da cui erano ricavabili circa 200 dosi di sostanza drogante, Procura della Repubblica presso il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, Prot. n. 5328/2016/usc., cit., p.9.
[30] AMATO, Stupefacenti. Teoria e pratica, Roma, 2005, p.149; PALAZZO, op. cit., p.164 ss.
[31] Cass., S.U., 31 maggio 1991, n. 9148, secondo cui la lieve entità del fatto di cui al quinto comma dell’art. 73 configura una circostanza attenuante ad effetto speciale, e non un titolo autonomo di reato, essendo correlata ad elementi (i mezzi, le modalità, le circostanze dell’azione, la qualità e quantità delle sostanze) che non mutano, nell’obiettività giuridica e nella struttura, le fattispecie previste dai primi commi, ma attribuiscono ad esse soltanto una minore valenza offensiva, P. PANARELLO, cit., p.2; Cass. Pen., Sez. IV, 24 febbraio 2005 n. 20556, la quale ha statuito in relazione al traffico o alla produzione di stupefacente, che l’attenuante trova applicazione nel caso in cui la fattispecie concreta risulta essere di trascurabile offensività sia per l’oggetto del reato, quindi per le caratteristiche qualitative e quantitative della sostanza, sia per la condotta, alla luce della quale una valutazione in negativo, risultante dai mezzi e modalità, farebbe invece escludere l’ipotesi della lieve entità; tale orientamento è stato confermato, poi, anche dalla Cass. Pen., Sez. IV, 21 novembre 2007, n. 1692, F. SERVADEI, Stupefacenti, Lieve entità:da attenuante speciale a figura autonoma di reato-ex. art. 73, V comma D.P.R. 309/90, in www.studiocataldi.it, 2015.
[32] In dottrina, tuttavia, si era registrata qualche opinione discorde: v. BARONE-JAZZETTI-IZZO, Stupefacenti e sostanze psicotrope, Napoli, 1991, p.34; FLORA, Il nuovo sistema delle incriminazioni, in Aa.Vv., La nuova normativa sugli stupefacenti, Commento alle norme penali del testo unico, a cura di Flora, Milano, 1991, p.4; RONCO, Stupefacentiin EG, XXX, Roma, 1993, p.13.
[33] Cass., Sez. VI, 22 ottobre 2008, n. 13523. Nello stesso senso, tra le più recenti, Cass., Sez. IV, 12 gennaio 2012, n. 3557; Cass., Sez. VI, 28 settembre 2011, n. 458.
[34] P. PANARELLO, cit., p.2.
[35] Cass. Pen., Sez. VI, 26 marzo 2014 (ud. 8 gennaio 2014)  n. 14288.
[36] Cass. Ufficio del massimario, relazione al D. L. 23 dicembre 2013 n. 146.
[37] Tale comma prevede la reclusione da sei a venti anni e la multa da euro 26.000 ad euro 260.000.
[38] Più precisamente reclusione da uno a cinque anni e multa da euro 3.000 ad euro 26.000, P. PANARELLO, cit., p.2.
[39] E non come avveniva in precedenza  in venti anni pari al massimo edittale previsto dal primo comma dell’art. 73.
[40] A. VIGLIONE, Le modifiche al sistema sanzionatorio in tema di stupefacenti, Aggiornato alla legge 16 maggio 2014 n. 79, G. Giappichelli Editore, Torino, 2014, p.13; sempre in tema di prescrizione del reato, la Cass. Pen., Sez. VI, 26 marzo 2014 (ud. dell’8 gennaio 2014), n. 14288, cit ha affermato che quando in seguito all’applicazione della disciplina sopravvenuta la stessa risulti già maturata, in tal caso, ai fini dell’applicazione del principio sancito dall’art. 2 comma 4 c.p., deve essere considerata anche l’incidenza del novum sulla prescrizione del reato,. Nel caso di specie – attinente a una violazione dell’art 73 comma 5 D.P.R. 309/90 commessa il 4.4.2001 – la medesima Corte ha ritenuto maturata la prescrizione, in epoca antecedente alla sentenza resa nel giudizio d’appello (14.3.2012), per effetto del superamento della configurazione circostanziale dell’ipotesi lieve, vigendo la quale il termine avrebbe dovuto essere commisurato, ai sensi dell’art. 157, comma secondo c.p., sulla base degli elevatissimi valori della pena prevista per l’ipotesi base del primo comma (anni venti di reclusione).
[41] Cass. Pen. Sez. VI, 25 novembre 2016 n. 50069; Cass. Pen. Sez. VI del 2015 n. 15642, G. GLIORE, cit., p.4; inoltre, Cass. Pen. Sez. VI,  sentenza 18 luglio – 4 ottobre 2013 n. 41090.
[42] Cass. Pen. Sez. IV del 21 maggio 2008 (dep. Il 5 giugno 2008), n. 22643, Frazzitta, Rv. 240854; sostanzialmente nello stesso senso, tra le varie, Cass. Pen., Sez. VI del 16 ottobre 2008 (dep. il 24 ottobre 2008), n. 39931, Zagnoli, Rv. 242247; Cass. Pen. Sez. I del 19 dicembre 2012 (dep. il 31 gennaio 2013), n. 4875, Abate e altri, Rv. 254194.
[43] Ad esempio, il possesso di 50 o 100 dosi di marijuana, tenuto conto dello scarso valore economico e del minore guadagno garantito, laddove appaia tutta la sostanza detenuta per la vendita, fa ritenere che si sia nell’ambito del piccolo spaccio. Diversamente, 100 dosi di cocaina, di ben maggior valore di mercato, e che l’accusato sia in grado di vendere al dettaglio in breve tempo, indicano una attività che non rientra certamente nel piccolo spaccio. Ma la stessa quantità citata di marijuana, laddove non corrisponda invece alla piena individuazione della “provvista” complessiva ma ne rappresenti una piccola frazione, sulla scorta della valutazione degli altri parametri dell’articolo 73 quinto comma D.P.R. 309.90, ben può dimostrare (se vi è prova in tale senso di “mezzi” e “modalità”) l’ipotesi ordinaria, Cass. Pen. Sez. VI,  sentenza 18 luglio – 4 ottobre 2013 n. 41090, cit.

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Anna Adele Giancristofaro

Avv. Anna Adele Giancristofaro Ha conseguito nel 2015 la laurea magistrale in Giurisprudenza presso l'Università degli studi di Macerata, con una tesi in diritto processuale civile. Successivamente ha svolto la pratica professionale forense in ambito civile e penale presso due studi legali frequentando, contemporaneamente, la scuola di formazione professionale per la pratica forense presso la Fondazione Forum Aterni di Pescara. Ha frequentato il corso Criminal Profiler: “Dall’analisi della scena del crimine al profilo psicologico criminale” Psicogiuridico.it - Associazione Interdisciplinare di Psicologia e Diritto - con sede a Napoli della durata complessiva 12 ore ed il corso intensivo per l'abilitazione all'esercizio della professione di avvocato presso Formazione Giuridica Scuola Zincani. Si è abilitata all'esercizio della professione di avvocato nel 2019 e da allora presta attività di consulenza legale, assistenza stragiudiziale e giudiziale in materia di diritto civile, diritto condominiale, diritto di famiglia e recupero crediti. Nel dicembre del 2019 ha vinto la Terza edizione del Premio "Avvocato Nicola Frattura” come miglior giovane avvocato del Tribunale di Lanciano con consegna di borsa di studio. Attualmente è autrice di diverse pubblicazioni on-line di articoli giuridici di vario contenuto.

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