La fase delle indagini preliminari e la richiesta di archiviazione alla luce della Riforma Cartabia

La fase delle indagini preliminari e la richiesta di archiviazione alla luce della Riforma Cartabia

Il procedimento penale ha conosciuto una serie di modifiche a seguito della Riforma Cartabia, introdotta con decreto legislativo 150/2022, che ha investito in modo particolare la fase delle indagini preliminari. Le indagini preliminari rappresentano quel momento procedimentale gestito dalla pubblica accusa e finalizzato a raccogliere elementi probatori utili per l’esercizio dell’azione penale, che si concretizza nella richiesta di rinvio a giudizio, da cui poi ha inizio, una volta accolta, il processo vero e proprio, come sancito dall’art. 326 c.p.p. secondo cui “Il pubblico ministero e la polizia giudiziaria svolgono, nell’ambito delle rispettive attribuzioni, le indagini necessarie per le determinazioni inerenti all’esercizio dell’azione penale”. A presiedere il costrutto delle indagini preliminari è l’ufficio del pubblico ministero che conta sulla collaborazione della polizia giudiziaria, in applicazione del principio della dipendenza funzionale degli organi di polizia dal magistrato inquirente, che ha rilevanza costituzionale come contenuto nell’art 109 Cost., e che presenta un risvolto pratico nell’art. 327 c.p.p., secondo cui “Il pubblico ministero dirige le indagini e dispone direttamente della polizia giudiziaria che, anche dopo la comunicazione della notizia di reato, continua a svolgere attività di propria iniziativa secondo le modalità indicate nei successivi articoli”. La fase delle indagini ha conosciuto delle significative novità, sia in termini di tempistiche per lo svolgimento delle stesse, sia per l’esercizio in concreto dell’azione penale, in quanto sono mutati i presupposti necessari per la richiesta di archiviazione, che si pone come alternativa all’esercizio dell’azione penale in termini di rinvio a giudizio. Per quanto riguarda le tempistiche utili per lo svolgimento dell’azione investigativa, l’art. 405 c.p.p., in una versione completamente riformulata, prevede esclusivamente i termini per svolgere le indagini a seconda della tipologia di reato: è previsto un anno se si tratta di delitti, sei mesi nel caso di contravvenzioni, e un anno e mezzo nell’ipotesi in cui le indagini risultino essere abbastanza complesse ovvero si tratta dei delitti riportati all’art. 407 comma 2 c.p.p. L’intento del legislatore, attraverso la rimodulazione dei tempi di durata delle indagini, è rivolto principalmente a concentrare la fase investigativa, evitando qualsiasi dilatazione che appesantisce il procedimento penale. Se da un lato questo modo di procedere assicura la conclusione delle indagini in tempi più stringenti, senza dispendio di energie nella ricerca degli elementi investigativi, dall’altro pone la pubblica accusa nella posizione di fare affidamento a tempi tecnici imposti dal legislatore, che si ripercuotono anche sul momento in cui lo stesso andrà ad esercitare l’azione penale, perché anche per questo è stato introdotto un termine, di tre mesi, che risulta essere meramente ordinatorio, per cui il mancato rispetto non comporta l’applicazione di sanzioni processuali, anche se l’art. 415 ter c.p.p. consente sia al soggetto indagato sia alla persona offesa di promuovere delle iniziative atte a sollecitare l’intervento decisionale del pubblico ministero.

L’aspetto della riforma che meglio illustra le motivazioni del legislatore in materia di riduzione dei tempi  è quella concernente il regime delle proroghe per lo svolgimento delle indagini: se con il regime previgente era possibile per il pubblico ministero chiedere un numero non definito di proroghe, con conseguente dilatazione della durata delle indagini, con la riforma è consentito chiedere una sola proroga della durata di sei mesi. Ciò è stabilito dall’art. 406 c.p.p. che afferma che “Il pubblico ministero, prima della scadenza, può richiedere al giudice, quando le indagini sono complesse, la proroga del termine previsto dall’art. 405. La richiesta contiene l’indicazione della notizia di reato e l’esposizione dei motivi che la giustificano. La proroga può essere autorizzata per una sola volta e per un tempo non superiore a sei mesi”; l’unica motivazione che giustifica la concessione di una proroga è la complessità delle indagini, a differenza del sistema previgente, che consentiva al pubblico ministero di richiedere la proroga per una molteplicità di motivi, quasi sempre legati ad una “giusta causa” poco definita e la concessione da parte del giudice per le indagini preliminari era quasi sempre automatica, in mancanza di un giudizio prognostico approfondito. Con l’introduzione della riforma, invece, è richiesta la complessità delle indagini per concedere la proroga, che ha una durata di sei mesi, e che dunque va oltre il termine previsto dall’art. 405 comma 2 c.p.p.. Le motivazioni sottese al restringimento della possibilità di perpetrare ad oltranza le indagini preliminari interessano sia lo snellimento temporale per il loro svolgimento sia la garanzia di un esercizio dell’azione penale per tutte quelle notizie di reato cui segue una ricostruzione dei fatti lineare, che non necessita di indagini aggiuntive.

La Riforma Cartabia ha innovato anche la disciplina in materia di richiesta di archiviazione da parte del pubblico ministero all’esito delle indagini preliminari; in particolare ha modificato il presupposto posto alla base dell’istanza: la previgente disciplina prevedeva che il pubblico ministero potesse avanzare richiesta di archiviazione quando ravvisava che l’accusa in giudizio non poteva essere sostenuta, sulla base di elementi di prova labili per un rinvio a giudizio che giustificasse l’instaurazione del processo. Il sistema attuale, invece, prevede che il pubblico ministero possa avanzare richiesta di archiviazione quando non vi sia la possibilità di condanna all’esito del processo; al riguardo l’art. 408 comma 1 c.p.p. prevede che “Quando gli elementi acquisiti nel corso delle indagini preliminari non consentono di formulare una ragionevole previsione di condanna o di applicazione di una misura di sicurezza diversa dalla confisca, il pubblico ministero presenta al giudice richiesta di archiviazione. Con la richiesta è trasmesso il fascicolo contenente la notizia di reato, la documentazione relativa alle indagini espletate e i verbali degli atti compiuti davanti al giudice per le indagini preliminari.”. In questo modo, si pone in relazione l’attività della pubblica accusa non con la finalità ultima delle indagini preliminari, che sono volte a comprendere se effettivamente l’accusa è fondata e dunque meritevole di essere sostenuta in giudizio, ma si pone in relazione con quella che è la fase ultima del processo, che si concretizza con una sentenza di condanna. Le motivazioni sottese al cambio di rotta in materia di archiviazione dei procedimenti penali sono anch’esse collegate ad esigenze di riduzione delle tempistiche e soprattutto del numero di procedimenti, quando non vi sia la probabilità, in termini di ragionevolezza, di un esito di condanna.


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