La figura dell’Avvocato nel processo canonico di nullità matrimoniale

La figura dell’Avvocato nel processo canonico di nullità matrimoniale

Sommario: Introduzione – 1.  La figura dell’Avvocato Canonista secondo il Codice di Diritto Canonico – 2. L’Istruzione Apostolica Dignitas Connubii: un’innovazione profonda – 3. Mitis Iudex Dominus Iesus e centralità dell’Avvocatura Ecclesiastica – 4. Sinodalità giudiziaria e compartecipazione processuale – 5. Conclusioni

 

Introduzione

La richiesta di accertamento della nullità del matrimonio canonico costituisce un’esigenza di coscienza[1] per quanti decidano di adire la Giustizia Ecclesiastica. Ancorché, nell’ultimo sessennio, il sistema processuale canonico abbia registrato un’evoluzione tangibile, volta essa a conciliare le esigenze di speditezza dell’istante con quelle di retta amministrazione di un processo tanto delicato quanto intimamente connesso alle vicende interiori delle persone, – oltre che tecnicamente divergente rispetto a quello di separazione e divorzio di matrice civilistica – va sottolineato, comunque, che sono tuttora diffusi e radicati, nella concezione comune, molti pregiudizi inerenti alla possibilità da parte del singolo di poter chiedere una pronuncia ecclesiastica. Da ciò ne discende che i fedeli[2], seppur desiderosi di definire la propria posizione sotto il profilo sacramentale mediante un’auspicabile sentenza favorevole, tuttavia, demotivati dalla presunta impraticabilità del sistema, desistono dal loro intento ancor prima di veder evasi i dubbi su alcune questioni di non poca rilevanza o, peggio ancora, autoinfliggendosi delle preclusioni ascrivibili queste alla consultazione di fonti inesatte. Nello specifico, si tratta di timori che riguardano le lungaggini processuali, i costi elevati – quasi le procedure di nullità fossero un privilegio squisitamente elitario – e, ancora, incertezze sulla possibilità di introdurre il processo in presenza di figli nati dal matrimonio o dopo che siano trascorsi molti anni di convivenza coniugale. È vero sì che, in alcune fattispecie, l’elemento della lunga durata del coniugio potrebbe costituire una presunzione o, ancor di più, la prova indiretta[3] che dimostri la validità del vincolo, ma è altrettanto vero che sia giusto operare un equilibrato discernimento che ricordi quanto ogni caso si diverso dall’altro, così come risultano esserlo le vicende sottese alla formazione del consenso matrimoniale. Ed è proprio in questo contesto, che potrebbe definirsi di obnubilazione informativa, che va a collocarsi la figura dell’Avvocato Canonista, la cui precipua funzione va ben oltre i tecnicismi di difesa e di assistenza processuale tout court, estendendosi essa e ricoprendo ruoli anche di natura informativa, divulgativa e chiarificatrice circa i luoghi comuni che pervadono in modo erroneo la mente di molti. Ci si chiede, dunque, se il predetto ruolo dell’Avvocatura Ecclesiastica risulti a tal scopo, di per sé sufficiente, oppure sia necessario inquadrarlo nell’ottica di una complementarietà e cooperazione con le altre figure presenti nel processo canonico. Per poter rispondere al quesito in modo esaustivo, appare opportuno ripercorrere da un lato l’evoluzione che, nel corso della storia processuale canonica, la figura dell’Avvocato ha subito, mentre dall’altro, preme in modo particolare analizzare la mens del Romano Pontefice che, con la Lettera Apostolica, data in forma di motu proprio, Mitis Iudex Dominus Iesus, rappresenta il cuore dell’innovazione normativa processuale, cui si è assistito negli ultimi anni.

1. La figura dell’Avvocato secondo il Codice di Diritto Canonico

 Il Codice attualmente in vigore del 1983, nel canone 1481, fornisce una spiegazione relativa all’attività in cui si sostanzia il munus dell’Avvocato – definito Patrono, secondo la terminologia canonistica -, procedendo in primo luogo con la valorizzazione del principio di libera iniziativa della parte di potersi avvalere dell’assistenza tecnica di questi, senza esservi tuttavia obbligata.

Tale ius postulandi[4] trova il suo fondamento e la sua valida giustificazione nella ratio di tutela della primaria esigenza del singolo di poter liberamente interloquire con il Tribunale, essendo quelle matrimoniali cause aventi ad oggetto il bene pubblico. Pertanto, non deve destare meraviglia il fatto che il Legislatore canonico abbia ritenuto di apprezzabile considerazione il principio della capacitas standi in iudicio autonomamente, evitando che, un eventuale obbligo di patrocinio, potesse determinarne una compressione, specie nell’ambito di un processo, per indole sua naturale pro rei veritate, i cui interessi delle parti risultano già ampiamente tutelati dalla figura del Difensore del Vincolo unitamente con il Collegio giudicante (cfr. can. 1425, § 1, n. 1).

Va, altresì, precisato che autorevoli esponenti della dottrina canonica, in merito allo ius postulandi, operano una distinzione tra la capacitas postulandi mediata e immediata. La prima, equivalendo a una forma di autodifesa, consente di poter esercitare lo ius postulandi in via del tutto personale, purché ovviamente la parte sia dotata della debita capacità processuale; la seconda, invece, coincide con la facoltà di attuare tale ius postulandi in nome o in favore altrui, dando luogo al patrocinio forense[5]. Alla luce di ciò, accordandosi pertanto un valore facoltativo alla presenza del Patrono nelle varie fasi del processo, potrebbe apparire quella dell’Avvocato come una funzione collocata nell’alveo di una certa marginalità giudiziaria o, addirittura, di non necessarietà.

Orbene, nonostante la predetta garanzia sia prevista dall’impianto normativo processuale canonico, bisogna riconoscere quanto la stessa, tuttavia, nella maggior parte dei casi, confligga con la prassi dei Tribunali, atteso che, nella quasi totalità dei processi, sempre è richiesto – quanto meno dalla parte che dà impulso alla domanda di nullità – l’ausilio giuridico del Patrono; e ciò sia perché possano essere declinate, in modo meticoloso e corretto, le istanze personali in termini giuridici sia per ragioni di economia processuale. In quest’ultima ipotesi, ricollegandoci alla poc’anzi indicata distinzione dottrinale tra capacitas postulandi immediata e mediata, ben si comprende quanto, nella seconda ipotesi, la mediazione del difensore funga da strumento a garanzia per una più celere definizione del giudizio, perché sono proprie dell’Avvocato singolari prerogative tra cui la possibilità di assicurare la parità in un contraddittorio che, talvolta, è caratterizzato da ragioni opposte, nonché quella di placare la vis polemica e l’astio tra le parti, garantendo pertanto un più sereno iter nella ricerca della verità processuale[6].

2. L’Istruzione Apostolica Dignitas Connubii: un’innovazione profonda

Esaminati, dunque, il profilo e l’importanza del ruolo del Patrono secondo il Codice, bisogna adesso aggiungere quanto una rilevante svolta, circa la centralità delle funzioni dell’Avvocato[7] sia stata compiuta specialmente con l’avvento dell’Istruzione Apostolica Dignitas Connubii, promulgata nel 2005, sotto il pontificato dell’oggi Santo Giovanni Paolo II[8]. Il documento in questione si pone come antesignano di un percorso di graduale opera di ulteriore centralizzazione dell’Avvocatura Ecclesiastica, che ha trovato la sua massima espressione nella contemporanea riforma del diritto processuale canonico, attraverso la Lettera Apostolica data in forma di motu proprio Mitis Iudex Dominus Iesus, di cui in seguito parleremo.

Procedendo all’analisi comparativa tra il canone 1481 § 1 cjc che enuncia: “La parte può liberamente costituirsi un avvocato e un procuratore; può tuttavia, oltre i casi stabiliti nei §§2 e 3, anche agire e rispondere personalmente, a meno che il giudice non abbia ritenuto necessaria l’assistenza di un procuratore o di un avvocato” e l’art. 101 – § 1. DC che stabilisce quanto segue: “Fatto salvo il diritto delle parti di difendersi personalmente, al tribunale è fatto obbligo di curare che entrambi i coniugi possano provvedere alla tutela dei loro diritti con l’aiuto di una persona competente, soprattutto nelle cause che presentano peculiari difficoltà” è necessario compiere un’inversione del baricentro ermeneutico, in quanto, rispetto al disposto codiciale, la norma della Dignitas Connubii impone, adesso, addirittura un obbligo a che sia proprio il Tribunale a curarsi affinché sia assicurata ai coniugi un’adeguata assistenza tecnico-processuale. Ed in più, l’art. 101 parla di “coniugi”, facendo riferimento ad un patrocinio necessario a garanzia di entrambi, e non soltanto nei confronti di colui che propone la domanda. Va aggiunto, inoltre, che è di palmare evidenza quanto tale articolo sia il frutto di una elaborazione che deriva dalla prassi processuale dove, sovente, si è appurato come la presenza dell’Avvocato svolga non solo un ruolo di ausilio, ma anche di prevenzione avverso possibili lesioni dei diritti delle parti. Inoltre, nonostante, come già detto, la tutela delle posizioni giuridiche dei coniugi rientri nell’ufficio del Difensore del Vincolo e del Collegio dei Giudici, tuttavia, vi è tra la parte pubblica e quella privata una distanza, che non consentirebbe tra esse un colloquio diretto, intimo e immediato, cosa che invece è propria del rapporto fiduciario che si instaura con l’Avvocato. Quest’ultimo, infatti, non rivestendo un ruolo pubblico nel processo di nullità matrimoniale, può porsi in un rapporto di ragionevole e libero dialogo con i coniugi, costituendo per essi una guida tecnica, oltre che umana e pastorale.

Altra novità che va posta in luce, ed introdotta con la esaminanda Istruzione Apostolica, è la possibilità di conferire al Patrono, su iniziativa di entrambe le parti, un mandato congiunto, cosa che, per la natura contenziosa del processo di nullità, non era prevista nella istruzione precedente Provida Mater Ecclesiae. A tal proposito, infatti, ci è dato di leggere quanto segue, nell’art. 102: “Se entrambi i coniugi chiedono che il loro matrimonio sia dichiarato nullo, essi possono costituirsi un procuratore o un avvocato comune”. Questa evoluzione normativa, costituisce uno spartiacque, in quanto si procede per la prima volta ad una valorizzazione non solo delle funzioni endoprocessuali, ma anche extraprocessuali dell’Avvocato, ponendo alla base di tali compiti una presunzione di genuinità del suo operato. Infatti, il conferimento congiunto, come da art. 102, del mandato, prevede a monte la delicata mediazione su quali siano o meno le argomentazioni da trattare e spiegare nel libello per la ricerca della verità processuale, e ciò senza alterarne la spontaneità. Inoltre, talvolta, alla base della domanda congiunta non vi è l’autonoma iniziativa delle parti, ma un’accurata opera di conciliazione tra le stesse che si deve, appunto, all’Avvocato e alla ragionevolezza con la quale svolge il proprio ufficio. I coniugi, infatti, a causa di livori interpersonali, non di rado traspongono le problematiche e la conflittualità sorgenti dal procedimento di separazione e di divorzio, in quello canonico, il cui fine, ricordiamolo, è ben diverso. Dunque, per la prima volta, con la Dignitas Connubii si assiste ad un incipit di mutamento, che ha attribuito all’attività dell’Avvocato un maggiore dinamismo, riconoscendone l’importanza anche nella fase antecedente all’introduzione della domanda di nullità[9].

3. Mitis Iudex Dominus Iesus e centralità dell’Avvocatura Ecclesiastica

La mens del Romano Pontefice ha costituito una svolta in melius per l’impianto processualistico matrimoniale canonico, andando essa inoltre a ricalcare quella concreta prossimità giuridica e pastorale, che la Chiesa ha sempre mostrato nei confronti delle persone che volessero intraprendere il processo di nullitá matrimoniale; prossimità questa che, nell’epoca canonica contemporanea, costituisce un’esigenza ancor più sentita, a tal punto da precedere sin anche il dato tecnico giuridico.

A tal proposito, si legge negli articoli 2 e 3 della lettera apostolica Mitis Iudex Dominus Iesus, portatrice di profonde innovazioni in materia processuale, quanto segue: “Sarà pertanto necessario mettere a disposizione delle persone separate o delle coppie in crisi, un servizio d’informazione, di consiglio e di mediazione, legato alla pastorale familiare, che potrà pure accogliere le persone in vista dell’indagine preliminare al processo matrimoniale”. Comprendiamo, dunque, quanto la pregressa opera di centralizzazione delle figure del processo, – tra le quali rientra anche quella dell’Avvocato – già iniziata con la Dignitas Connubii, ottenga ora un maggiore collocamento nella fase pregiudiziale, deputata all’accoglienza, all’ascolto e all’accompagnamento degli ex coniugi che vivono forti crisi di orientamento e di informazione. Tali incertezze possono essere superate, appunto, attraverso l’attività di Pastorale Giudiziaria che coniuga il dato tecnico giuridico con quello personologico, ponendo al centro della ricerca processuale non solo il fatto storico in sé ma, principalmente, il singolo e le sue necessità. Sotto il profilo terminologico e interpretativo, nel testo della MIDI[10], pur non essendo espressamente menzionato, l’Avvocato è in modo implicito chiamato a svolgere questo ruolo portante, rientrando tra quei soggetti che, per competenza e specializzazione, è idoneo a essere preposto all’attività di servizio e di ascolto, in favore di quanti ne facciano richiesta. Va inoltre aggiunto che, con l’attuale riforma del processo canonico, la prossimità voluta dal Santo Padre, oltre che in un impegno spirituale, deve concretizzarsi in quell’ausilio reso tangibile attraverso strutture diocesane predisposte a svolgere attività di pastorale familiare; infatti, solo in questo modo, la pluralità di funzioni, che l’avvocato è chiamato a compiere, saranno valorizzate, rendendo più pregnante il munus difensivo[11]. Inoltre è da notarsi che nel Motu Proprio si fa riferimento alla Pastorale Familiare, estendendo l’orizzonte oltre il solo rapporto coniugale, abbracciando nella fase pregiudiziale di consulenza, anche questioni che abbiano avuto, in un certo qual modo, un’incidenza all’interno dell’intero nucleo familiare. Comprendiamo, dunque, quanto quello dell’Avvocato Ecclesiastico, prima ancora di essere un munus squisitamente processuale, costituisca un ufficio che comprende una pluralità di funzioni da spendere in favore dei fedeli nella fase che precede addirittura la consulenza previa, consistendo esso in un’attività che, in affiancamento alla figura del Parroco e di coloro che siano deputati al servizio di pastorale, consente di offrire le coordinate giuridiche corrette. Solo quindi con la presenza di un tecnico del diritto, le persone potranno comprendere e interiorizzare l’importanza e la natura del processo, che non può e non deve essere ridotto al rango di una procedura civilistica, riguardando esso il matrimonio inteso come realtà sacramentale.

4. Sinodalità giudiziaria e compartecipazione processuale 

Nell’Allocuzione del 27 gennaio 2022, in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario del Tribunale Apostolico della Rota Romana, il Santo Padre ha ulteriormente ribadito il principio di accoglienza verso le famiglie segnate da difficoltà e disorientamento, introducendo il concetto di sinodalità giudiziaria[12], intesa come valore essenziale per lo svolgimento del processo canonico. Sul punto, nella Allocuzione di cui sopra, si legge: “In questo anno dedicato alla famiglia come espressione della gioia dell’amore, abbiamo oggi l’occasione di riflettere sulla sinodalità nei processi di nullità matrimoniale. Il lavoro sinodale, infatti, anche se non ha natura strettamente processuale, tuttavia va posto in dialogo con l’attività giudiziale, al fine di favorire un più generale ripensamento dell’importanza che l’esperienza del processo canonico ha per la vita dei fedeli che hanno vissuto un fallimento matrimoniale e, al tempo stesso, per l’armonia delle relazioni all’interno della comunità ecclesiale. Chiediamoci allora in che senso l’amministrazione della giustizia necessita di uno spirito sinodale”. In particolar modo, nel discorso di Papa Francesco è stata posta l’attenzione su quanto le due dimensioni, vale a dire quella pastorale e giudiziaria, pur essendo opposte nella loro sostanza, debbano tuttavia necessariamente porsi in un rapporto di osmosi, attesa la peculiare funzione del processo di nullità matrimoniale. Infatti, pensiamo a quanto sarebbe sterile la prassi processuale matrimoniale canonica, se essa non fosse supportata e preceduta da un percorso previo di accompagnamento pastorale, che dia luogo a quel profondo discernimento necessario per affrontare con consapevolezza l’iter giudiziario. Dunque, è vero sì che la funzione dell’Avvocato risulta essenziale per intessere correttamente il telaio processuale e per garantire il giusto funzionamento e l’applicazione del diritto a tutela della verità, ma è altrettanto vero che il compito dello stesso deve essere arricchito dalla capacità di saper cogliere le istanze delle persone, interpretandone le esigenze più profonde e comprendendone, sotto il profilo umano, le difficoltà derivanti dal fallimento familiare che vivono. Dunque, può definirsi l’Avvocato come la longa manus e l’espressione della prossimità e dell’accoglienza che la Chiesa rivolge a tutti, indistintamente. Nonostante l’Avvocatura Ecclesiastica sia formata, però, su aspetti che attengono alle discipline psicologiche, antropologiche e pastorali, bisogna riconoscere, tuttavia, che la completezza dell’opera previa di accompagnamento del fedele può portare buoni frutti solo riconoscendo una cooperazione con le figure coinvolte nella fase processuale ed extraprocessuale del giudizio. Infatti, la sinodalità sta proprio in questo: coordinare e unire le risorse clericali e secolari, per giungere al fine supremo che è quello della salus animarum, intesa essa come la massima espressione del soddisfacimento delle esigenze spirituali del fedele. Infatti, è specificato nell’Allocuzione quanto segue: “Lo stesso obiettivo di ricerca condivisa della verità deve caratterizzare ogni tappa del processo giudiziario […] Questo ‘andare insieme’ nel giudizio vale per le parti e i loro patroni, per i testi chiamati a dichiarare secondo verità, per i periti che devono mettere al servizio del processo la loro scienza, nonché in modo singolare per i giudici”. Dunque, con il temine sinodalità non si intende soltanto una condivisione di idee, ma una concreta attuazione coordinata e conforme ai principi della nuova riforma.

5. Conclusioni

In conclusione, rispondendo al nostro quesito iniziale, ossia se l’attività dell’Avvocato sia sufficiente di per sé o debba essere coordinata e posta in rapporto di cooperazione con gli altri soggetti presenti nella fase preprocessuale e processuale del giudizio canonico, bisogna riconoscere che, in termini di pastoralità e di servizio di accompagnamento previo nei confronti dei fedeli, sia opportuno entrare in un’ottica di sinodalità, così come il Santo Padre ha prescritto. Nonostante infatti la completezza connaturata al ruolo dell’Avvocato, che gli consente di andare ben oltre il solo rapporto fiduciario, svolgendo quindi dei compiti che permettono di accompagnare il singolo senza trascurare nessun aspetto della persona umana, tuttavia, il coordinamento delle funzioni consentirebbe un risultato più efficace, specialmente in termini di celerità. Sono in questi termini, infatti, ci potrà essere una corretta divulgazione e un sempre più proficuo svolgimento dei processi aventi ad oggetto la declaratoria di nullità matrimoniale.

 

 

 

 

 


[1] Per “esigenze di coscienza” intendiamo tutte quelle motivazioni interiori che possono essere di ordine religioso, psicologico o anche solo generate dal voler contrarre un nuovo vincolo sacramentale.
[2] Il termine fedeli (christifideles) non è usato per indicare il grado di pratica religiosa per essere meritevoli di poter accedere alla giustizia ecclesiastica, ma esso, nel linguaggio canonico, designa la categoria dei battezzati.
[3] Pensiamo al capo dell’errore sulla qualità dell’altro coniuge, la cui prova indiretta risiede anche nel criterio di reazione, ossia nella brevità della convivenza coniugale, interrottasi una volta che l’errante sia venuto a conoscenza della presenza o meno della qualità intesa direttamente e principalmente nell’altro coniuge.
[4] Dinanzi al Tribunale Apostolico della Rota Romana, secondo l’art. 53 delle Norme Rotali, invece, non viene riconosciuto alla parte attrice lo ius postulandi, diversamente dalla parte convenuta. sul punto, cfr. Antoni Stankiewicz, Rilievi procedurali nel nuovo Ordo Iudiciarius della Rota Romana, in Ius Ecclesiae, 7 (1995), p. 65-87).
[5] Joaquín Llobell, Le parti, la capacità processuale e i patroni nell’ordinamento canonico, in Ius Ecclesiae, 12 (2000), pp. 69 – 97.
[6] Gabriele Strada, L’avvocato nell’ordinamento canonico: un caso concreto, p. 10, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, Rivista telematica – novembre 2007.
[7] gli Avvocati, nell’ordinamento giuridico canonico, si distinguono in tre categorie: coloro che hanno conseguito il titolo di licenza in Diritto canonico e che, nella maggior parte dei Tribunali Ecclesiastici, possono patrocinare solo previa autorizzazione del Moderatore del Tribunale; gli Avvocati abilitati che, conseguito il Dottorato in Diritto Canonico, sono iscritti nell’albo del Tribunale di appartenenza. Infine, gli Avvocati Rotali che, oltre ai titoli di cui prima, hanno frequentato un triennio di specializzazione presso lo Studio del Tribunale Apostolico della Rota Romana e, superato l’esame di abilitazione, sono iscritti nell’albo rotale. Quest’ultimi posso patrocinare in ogni Tribunale Ecclesiastico nazionale e internazionale, nonché presso il Tribunale della Rota.
[8] Sul tema, si consiglia la lettura del testo La nullità del matrimonio: temi processuali e sostantivi in occasione della Dignitas Connubii, di H. Franceschi, J. Llobell, M.A. Ortiz, Edusc, gennaio 2005.
[9] Nel corso del nostro articolo, abbiamo utilizzato più volte il termine domanda di nullità matrimoniale, quando tecnicamente è più preciso parlare di libello, inteso come atto introduttivo del processo in questione.
[10] MIDI sta per Mitis Iudex Dominus Iesus.
[11] Daniela Tarantino, Pastorale giudiziaria e nullità matrimoniale. Il ruolo dell’avvocato nell’accompagnamento processuale delle parti, in Ordines, 1(2020), pp. 94-95.
[12] Il termine σύνοδος è di derivazione greca e indica il camminare insieme, ossia la condivisione di un percorso verso un obiettivo comune.

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Avv. Federica Marciano di Scala (Avvocato della Rota Romana - Avvocato Civilista). Nata Napoli il 23.07.1989, si laurea in Giurisprudenza e, intrapresi gli studi presso una delle Pontificie Universitá di Roma, consegue anche la licenza e il dottorato in Diritto Canonico. Abilitata all’esercizio della professione forense, è iscritta al Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Napoli. Superato il relativo esame di abilitazione, è altresì Avvocato del Tribunale Apostolico della Rota Romana. Patrocina in foro civile ed ecclesiastico.

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