La giurisprudenza sull’ammissibilità e l’efficacia probatoria delle prove atipiche nel processo civile

La giurisprudenza sull’ammissibilità e l’efficacia probatoria delle prove atipiche nel processo civile

Il codice di procedura civile, a differenza del codice di rito penale – art. 189 c.p.p. – non prevede l’ammissibilità delle c.d. prove atipiche, ossia di prove non disciplinate dallo stesso.

La Giurisprudenza (Trib. Reggio Emilia, Sez. Civ. II, 1622/14) è dell’avviso che: a) l’assenza di una norma di chiusura da intendere quale mancanza di indicazione del numerus clausus delle prove; b) il principio del libero convincimento del Giudice – art. 116 cpc; c) l’estensibilità contenutistica della produzione documentale sono tutti elementi che inducono ad escludere la tassatività dell’elencazione delle prove nel processo civile ed a ritenere ammissibili le prove atipiche, che trovano ingresso nel processo con lo strumento della produzione documentale, nei limiti temporali posti dallo stesso codice di procedura.

La dianzi citata ammissibilità è consentito desumerla a livello costituzionale, nella formulazione dell’art. 24, quale corollario del diritto di difesa.

Catalogare, in concreto, le prove in esame non è cosa agevole; è il caso, a titolo di esempio, di mezzi di prova tipici, espletati in altro processo da quello in cui la prova viene introdotta e rileva – ctu in procedimento di mediazione, utilizzata dalle parti nel procedimento giudiziario.

Nel solco dell’ammissibilità delle prove del detto genus, si colloca la recente Sentenza n. 613/18, resa dal Tribunale di Roma, Sez. XII, secondo la quale il Giudice Civile, in assenza di divieti di legge, può fondare il proprio convincimento anche in base a prove atipiche, come quelle raccolte in un altro giudizio, tra le stesse o tra altre parti, fornendo adeguata motivazione della relativa utilizzazione, senza che rilevi la divergenza delle regole, proprie di quel procedimento, relative all’ammissione e all’assunzione della prova (in tal senso anche: Cass. Sez. 3, Sentenza n. 840 del 20/01/2015; n. 4652 del 2011; n. 5440 del 2010; n. 11555 del 2013; SSUU n. 9040 del 2008).

Esaminiamo, ora, quale è, all’interno del nostro ordinamento giuridico, il valore probatorio delle prove in esame.

A tal proposito è consentito ritenere che, la non riconducibilità delle prove atipiche ad una categoria di quelle disciplinate dal codice, non può che far attribuire alle stesse un valore probatorio minore; l’efficacia, pertanto, è quella di presunzione semplice, ex art. 2729 c.c ovvero di argomento di prova, ex art. 116 cpc, (Trib. Reggio Emilia, Sez. II, 1622/14).

Soffermando l’attenzione su tali ultimi concetti, è dato rilevare che l’argomento di prova, quale unico elemento probatorio, non può essere posto a fondamento del convincimento del Giudice, con la necessaria e logica implicazione della mancanza della sua autosufficienza a fini decisori.

Tuttavia si riscontrano, nel panorama Giurisprudenziale, decisioni che hanno avvicinato l’argomento di prova al c.d. indizio e, quindi, alla presunzione, ritenendo che, quando sia grave e non si ponga in contrasto con altri elementi probatori, può rappresentare il fondamento della decisione del Giudice.

Quanto appena esposto non può, però, porsi in contrasto con le risultanze di una prova legale; in tale ipotesi, infatti, è la legge che determina un preciso risultato probatorio, senza che al Giudice sia lasciato la possibilità di esprimere un diverso convincimento.


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