La legittimità della reformatio in peius senza rinnovazione dibattimentale della consulenza tecnica

La legittimità della reformatio in peius senza rinnovazione dibattimentale della consulenza tecnica

Cass. pen., sez. V, 14 settembre 2016, n. 1691, dep. 13 gennaio 2017, Pres. Lapalorcia, Rel. Morelli; P.M. Di leo; ric. A.A, O.S.L., C.A.M., F.M.; Annulla con rinvio Corte d’Assise d’Appello Catanzaro, 17 novembre 2015.

 

La legittimità della reformatio in peius della sentenza di proscioglimento, senza la previa rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, torna nuovamente al vaglio della Suprema Corte.

La questione sottoposta all’attenzione dei giudici di legittimità, nello specifico, mira a verificare se, in caso di ribaltamento della sentenza assolutoria di primo grado, alla luce dei recenti orientamenti giurisprudenziali interni ed europei, sia necessaria una rinnovazione delle dichiarazioni rese dai periti e consulenti tecnici.

I principi contenuti nella Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali pur non traducendosi in norme di diretta applicabilità nell’ordinamento nazionale, costituiscono dei criteri di interpretazione cui il giudice nazionale è tenuto ad ispirarsi nell’applicazione delle norme interne.

I giudici di Strasburgo, disegnando un orientamento che può ormai dirsi consolidato[1], hanno affermato la necessità della nuova assunzione della prova dichiarativa in appello nelle ipotesi di reformatio in peius della sentenza del giudice di prima cura. Nello specifico, l’obbligo di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale sussiste ogniqualvolta che, ai fini della riforma della sentenza assolutoria, appare decisiva una diversa valutazione delle prove dichiarative acquisite.

Stando all’art. 6, par. 1, C.E.D.U., difatti, il processo non può dirsi giusto se “coloro che hanno la responsabilità di decidere in merito alla colpevolezza o all’innocenza dell’accusato” non sono posti in condizione “di sentire i testimoni e di valutare la loro attendibilità in prima persona”[2].

Il giudice d’appello, pertanto, non può limitarsi ad adottare una motivazione dotata di un’efficacia persuasiva tale da far venir meno ogni ragionevole dubbio alla luce di un diverso apprezzamento della prova dichiarative, ma dovrà procedere, anche d’ufficio, alla nuova escussione dei soggetti che abbiano reso dichiarazioni ritenute decisive ai fini del giudizio assolutorio di primo grado.

Tuttavia, la Suprema Corte[3] ha tratto, dalle diverse pronunce europee, la massima stante la quale la riassunzione delle prove orali, nelle ipotesi di overturning in appello, sia necessaria solo in presenza di due specifiche condizioni: che la prova dichiarativa sia decisiva per la condanna e che di detta prova sia da riesaminarne l’attendibilità[4].

Si può, altresì, prescindere dalla rinnovazione quando la condanna in appello è basata sulla rivalutazione dei contributi dichiarativi acquisiti in atti per effetto di un diverso apprezzamento degli elementi di riscontro esterni a tali dichiarazioni[5]. Parimenti, non vi è la necessità di una rinnovazione nel caso in cui il giudice d’appello non deve porre in discussione l’attendibilità delle dichiarazioni, ma deve solo valorizzare elementi trascurati dal giudice di prima cura.

Pertanto, è da considerarsi illogicamente motivata, la sentenza d’appello che, ribaltando l’assoluzione di primo grado, condanni l’imputato sulla scorta di una mera lettura dei verbali di dichiarazioni. In quest’ottica, quindi, i principi di contraddittorio, oralità e immediatezza, uniti all’obbligo di motivazione rafforzata[6], si atteggiano a garanzia del giusto processo, così come previsto ex art. 111 Cost[7].

La necessità di procedere alla nuova escussione della prova dichiarativa, inoltre, non conosce distinzioni in ragione della qualità del dichiarante inteso come testimone puro, testimone “assistito”, imputato di fatto connesso o collegato oppure imputato che abbia reso dichiarazioni anche in merito alle proprie responsabilità[8].

Alla luce di quanto previsto ex art. 111 Cost., se è vero che la prova costituisce il tema centrale del contradditorio processuale, si può allora parlare di giusto processo in quanto le modalità di esercizio del diritto probatorio assicurino all’imputato il potere di concorrere alla formazione della decisione attraverso l’esplicazione del diritto di difendersi provando[9].

Dal combinato disposto degli artt. 111, comma 3, 24, commi 2 e 4, e 27, comma 2, Cost. si evince come l’effettività del diritto dell’accusato alla dimostrazione della propria innocenza debba essere garantita in ogni fase del procedimento[10].

Tuttavia, a livello costituzionale, non è garantito il doppio grado di giurisdizione. Inoltre, la disciplina prevista dall’art. 603 c.p.p. sembra orientata all’idea per cui, nel giudizio d’appello, viga la presunzione di completezza della prova formatasi nel corso dell’istruttoria dibattimentale[11].

In particolare, detto istituto si trova a cavaliere tra le garanzie previste per l’imputato e le opposte esigenze di ragionevole durata del processo[12], così come previsto ex art. 111, comma 2, Cost. Tale disciplina risulta, infatti, soggetta a criteri restrittivi di ammissibilità, da valutare in concreto a seconda della tipologia di prova richiesta.

È lo stesso art. 603 c.p.p. che al primo comma, coerentemente con la presunzione di completezza dell’accertamento probatorio che tipizza il giudizio di primo grado, sottolinea il carattere di eccezionalità dell’assunzione di qualsivoglia prova in tale fase processuale. Esso, infatti, cede solo di fronte all’impossibilità di decidere allo stato degli atti[13].

L’art. 190, comma 1, c.p.p. stabilisce, inoltre, che la prova sarà ammessa solo se è pertinente, non è vietata dalla legge, non è superflua ed è rilevante.

Nell’ipotesi di rinnovazione dibattimentale della dichiarazione resa dal perito o dal consulente tecnico sembrano venir meno alcuni dei suddetti requisiti.

In particolare, occorre precisare che il riferimento della Corte europea all’attendibilità della prova dichiarativa lasci fuori i casi in cui, rispetto alla decisione del giudice di primo grado, non muti il giudizio sulla credibilità del dichiarante o della dichiarazione, ma solo i criteri inferenziali impiegati per giungere da quella deposizione alla conclusione probatoria[14]. A tale situazione è equiparabile la diversa considerazione della prova derivante da una differente diagnosi giuridica del fatto.

Stando ad una giurisprudenza ormai consolidata, inoltre, in tema di prova, in virtù del proprio libero convincimento, il giudice di merito, pur in assenza di una perizia d’ufficio, può scegliere tra le diverse tesi prospettate dai consulenti tecnici di parte quella che ritiene condivisibile, purché dia conto, con accurata motivazione, delle ragioni della sua scelta nonché del contenuto della tesi disattesa e delle deduzioni contrarie delle parti e, ove tale situazione sia effettuata in modo congruo, è inibito al giudice di legittimità di procedere ad una diversa valutazione, trattandosi di accertamento di fatto, che in quanto tale è insindacabile in sede di legittimità[15].

Resta ferma la regola di giudizio per cui, il giudice di appello, che riformi totalmente la decisione emessa in primo grado, ha l’obbligo di delineare le linee portanti del proprio diverso ragionamento probatorio e di confutare specificamente gli argomenti rilevanti della motivazione del giudice di prima cura, dando conto delle ragioni di incoerenza e incompletezza tali da far venir meno ogni ragionevole dubbio e giustificare l’overturning del provvedimento[16].

Da ultimo, appare opportuno evidenziare come i giudici di Strasburgo, con riferimento alla necessità di rinnovazione della prova dichiarativa in appello nei casi di reformatio in peius, hanno circoscritto tale esigenza solo in relazione ai testimoni “puri”, a quelli “assistiti”, ai coimputati in procedimento connesso e all’imputato che abbia reso dichiarazioni anche in merito alle proprie responsabilità[17]. Di contro, alla luce di tutte le considerazioni fin qui fatte, non può considerarsi prova dichiarative, secondo l’interpretazione offerta dalla giurisprudenza C.E.D.U., quella fornita dal perito o dal consulente tecnico. Tale prova, difatti, consta non solo della deposizione resa in giudizio, ma anche nella relazione che ne costituisce parte integrante e che può essere valutata in modo differente dal giudice di primo e di secondo grado, senza la necessaria rinnovazione dibattimentale.


[1] Corte e.d.u., sez. III, 9 aprile 2013, Flueras c. Romania; Id., sez. III, 5 marzo 2013, Monolachi c. Romania; Id., sez. III, 5 novembre 2011, Dan c. Moldavia; Id., sez. II, 18 maggio 2004, Destrehem c. Francia; Id., sez. I, 27 giugno 2000, Constantinescu c. Romania; Id., 7 luglio 1989, Bricmont c. Belgio, tutte in www.echr.coe.int.

[2] V. Aiuti, La Corte Europea dei diritti dell’uomo e il libero convincimento del giudice in appello, in Cass. pen., 2014, p. 3963 ss.

[3] Cass., Sez. un., 28 aprile 2016, Dasdugpta, Foro it., 2016, parte II, col. 571, voce Appello penale, n. 450.

[4] P. Bronzo, Condanna in appello e rinnovazione della prova dichiarativa, in Arch. pen., 2015, fasc. 1, p. 237.

[5] G. Della Monica, La rinnovazione della prova decisiva dinanzi al giudice deputato a definire il giudizio, in Proc. pen e giust., 2017, fasc. 1, p. 156.

[6] A. Nappi, Il sindacato di legittimità nei giudizi civili e penali di cassazione, Torino, Giappichelli, 2008, p. 41 ss.

[7] P. Ferrua, Il giusto processo, Bologna, Zanichelli, 2012, p. 15 ss.

[8] Cass., Sez. un., 28 aprile 2016, Dasdugpta, Foro it., cit.

[9] C. Fiorio, La prova nuova nel processo penale, Padova, Cedam, 2008, p. 49 ss.

[10] S. Arasi, Proscioglimento capovolto in appello e rinnovazione istruttoria, in Proc pen. e giust., 2014, fasc. 4, p. 142.

[11]M. Stellin, La rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale in appello: nuove conferme, vecchie ambiguità, in Cass. pen., 2016, fasc. 4, p. 1644 ss.

[12] C. Fiorio, La prova nuova nel processo penale, cit., p. 6 ss.

[13] Cass., Sez. II, 15 maggio 2013, B., Foro it., Rep. 2013, voce Appello penale, n. 36630.

[14] P. Bronzo, Condanna in appello e rinnovazione della prova dichiarativa, cit., p. 247.

[15]Cass., Sez. IV, 13 febbraio 2015, S., Foro it., Rep. 2015, voce Prova penale, n. 8527; 17 maggio 2012, P., Foro it., Rep. 2012, id., n. 34747; 6 novembre 2008, Ghisellini, Foro it., Rep. 2009, voce Perizia penale, n. 45126.

[16] A. Nappi, Il sindacato di legittimità nei giudizi civili e penali di cassazione, cit., p. 180 ss.

[17] Cass., Sez. un., 28 aprile 2016, Dasdugpta, Foro it.,cit.


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Denise Lazzari

Avvocato in ambito civile e penale, abilitato alla professione forense dal 2018. Attualmente svolge la professione forense nel foro di Roma. Si laurea nel 2016 in Giurisprudenza presso l'Università del Salento con tesi sperimentale in procedura penale e diritto penale con titolo "Le indagini atipiche tra progresso tecnologico e diritti della persona". Svolge la pratica forense nella città di Brindisi approfondendo il diritto penale e civile dapprima presso uno studio legale per poi proseguirla presso l'Avvocatura Provinciale di Brindisi in qualità di praticante abilitato. Autore di diverse note a sentenze sia redazionali che con titolo su "Il Foro Italiano" e su "Diritto.it".

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