La “lieve entità” in materia di stupefacenti: tratti essenziali di un delitto “in fieri”
Sommario: 1. Evoluzione storico – normativa – 2. Gli elementi connotanti il fatto di “lieve entità” e analisi metodologica- interpretativa – 3. La compatibilità del fatto di lieve entità con il c.d. “Piccolo Spaccio”
1. Evoluzione storico – normativa
L’odierna fattispecie del c.d “fatto di lieve entità”, disciplinata dall’art. 73 comma V D.P.R. 309/1990, costituisce il risultato di un complesso processo di sedimentazione normativa.
Il testo originario della norma, risalente alla L. n. 162/1990, approntato con il precipuo scopo di mitigare l’eccessivo rigore del trattamento sanzionatorio previsto dall’art. 71 l. 685/1975, prevedeva che “ quando, per i mezzi, la modalità o le circostanze dell’azione ovvero per la qualità e quantità delle sostanze, i fatti previsti dal presente articolo sono di lieve entità, si applicano le pene della reclusione da uno a sei anni e della multa da euro 2.582 a euro 25.822 se si tratta di sostanze stupefacenti o psicotrope di cui alle tabelle I e III previste dall’art. 14, ovvero le pene della reclusione da mesi sei a quattro anni e della multa da euro 1.032 a euro 10.329, se si tratta di sostanze di cui alle tabelle II e IV”.
Orbene, nell’originaria tessitura normativa, l’ipotesi della lieve entità, oltre ad essere diversamente modulata in funzione della strutturale distinzione tra droghe pesanti e leggere, risultava essere concepita non già come autonoma ipotesi di reato, bensì quale mera circostanza attenuante destinata, in quanto tale, ad essere soggetta, in conformità al dato normativo contemplato dall’art. 69 c.p., al giudizio di bilanciamento tra diverse circostanze.
La fattispecie in discorso ha successivamente subito, in funzione dell’entrata in vigore della L. della L. 49/2006 (c.d. Fini- Giovanardi), un significativo mutamento ontologico.
Segnatamente, il prefato intervento normativo, contrassegnato da una spiccata caratura deterrente, oltre ad avere soppresso la generalizzata distinzione tra droghe pesanti e leggere, ha sensibilmente inasprito il trattamento sanzionatorio prevedendo, in luogo del previgente regime differenziato, la pena unica della reclusione da uno a sei anni e della multa da euro 3.000 a euro 26.000.
Successivamente, con il D.L. 146/2013, (c.d. Svuota carceri) il Legislatore, con il precipuo intento di contrastare il fenomeno del sovraffollamento carcerario oggetto di serrata stigmatizzazione in sede Europea, è nuovamente intervenuto in materia attraverso la rimodulazione, in ottica marcatamente garantista, del complessivo rigore sanzionatorio.
Lo scopo anzidetto è stato, in particolare, perseguito su due fronti: attraverso l’estensione applicativa della sanzione sostitutiva del lavoro di pubblica utilità; nonché, attraverso la trasformazione del fatto di lieve entità da mera circostanza attenuante in autonoma ipotesi delittuosa, inibendo, dunque, l’applicazione del giudizio di bilanciamento tra circostanze di segno diverso.
Da ultimo, con il D.L. 15 settembre 2023, n. 123, convertito con modificazioni dalla L. 13 novembre 2023, n. 159., il Legislatore ha inteso, ancora una volta, ricalibrare la forbice del trattamento sanzionatorio prevedendo, come pena edittale applicabile, quella della reclusione da sei mesi a cinque anni e della multa da 1.032 a 10.329.
2. Gli elementi connotanti il fatto di “lieve entità” e analisi metodologica- interpretativa
Tanto doverosamente premesso in relazione alla evoluzione storico-normativa dell’ipotesi delittuosa in esame, è giunto adesso il momento di entrare più nel dettaglio della nostra disamina analizzando, attraverso un’indagine di tipo epistemologico e giurisprudenziale, i principali snodi applicativi della fattispecie.
A questo proposito, è d’uopo muovere dalla considerazione circa il fondamento teleologico sotteso al fatto di “lieve entità”.
Segnatamente, la ratio dell’ipotesi delittuosa in parola è da rinvenirsi nella precisa volontà del legislatore di garantire, in vista della tutela del principio, costituzionalmente tutelato, di offensività del reato, l’adozione di uno schema sanzionatorio differenziato.
Volendo, dunque, individuare una nozione avente carattere generale, può dirsi contrassegnabile alla stregua dell’attributo della “lieve entità” quella manifestazione delittuosa che, ancorché riconducibile entro le maglie della tipicità penale, risulti connotata da una “offensività minimale”, da valutarsi alla stregua degli indici fattuali selezionati dalla norma, afferenti tanto all’oggetto materiale del reato, quanto alle dinamiche operative dell’azione criminosa nel suo complesso.
Ciò inteso, resta da comprendere come gli indici precursori della lieve entità, codificati dall’art. 73 co. V D.P.R. 309/1990, debbano, in concreto, essere apprezzati dal giudice.
Ebbene, a fronte del più risalente indirizzo dottrinale, di tipo minimalista, propugnante una lettura frazionata dei parametri normativi richiamati, i più recenti approdi giurisprudenziali, viceversa, prediligono l’adozione di una scansione metodologica di tipo globale ed unitario.
Siffatta impostazione interpretativa, peraltro, ha recentemente ricevuto l’espresso avallo dalla Suprema Corte regolatrice, con la celebre pronuncia a Sezioni Unite “Murolo” del 2018, n. 51063.
In detta occasione, infatti, il massimo Consesso nomofilattico, oltre ad esprimersi positivamente circa la configurabilità dell’ipotesi di cui al comma V nel caso di detenzione di sostanze stupefacenti di diversa tipologia, ha fermamente statuito come“ in tema di sostanze stupefacenti, ai fini del riconoscimento della fattispecie incriminatrice del fatto di lieve entità di cui al D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 73, comma 5, il giudice è tenuto a valutare, secondo una visione unitaria e globale, tutti gli elementi normativamente indicati: quindi, sia quelli concernenti l’azione (mezzi, modalità e circostanze della stessa), sia quelli attinenti all’oggetto materiale del reato (quantità e qualità delle sostanze stupefacenti oggetto della condotta criminosa) come manifestatisi nel peculiare caso di specie, senza nessun automatismo o preclusione derivante dalla natura delle sostanze, anche qualora eterogenea, nè dalle modalità organizzative della condotta, potendo escludere il riconoscimento della fattispecie in ragione del mero dato quantitativo ovvero dei soli connotati dell’azione qualora possano ritenersi dimostrativi di una significativa potenzialità offensiva e, dunque, di un elevato pericolo di diffusività della sostanza, inconciliabili con la fattispecie incriminatrice in parola” (cfr. Cass. Pen., Sez. Unite, n. 51063/2018; Cass. Pen. Sez. VI n. 13159/2020).
Ebbene, l’adozione di una simile scansione valutativa, olisticamente orientata, ed al contempo, avulsa da qualsivoglia perpetuazione stereotipica, oltre ad essere maggiormente rispondente al dettato normativo consente, da un lato, di apprezzare il fatto di reato nella sua tangibile dimensione lesiva, dall’altro di verificare in quale misura i crismi della lieve entità si siano manifestatati nel caso concreto.
Inoltre, anche laddove si è inteso garantire l’operatività di un intrinseco meccanismo compensativo tra gli indici suindicati, non si è affatto valuto affrancare la logica decisionale dal necessario attributo della globalità.
Detto in altri termini, un siffatto espediente valutativo potrà, infatti, ritenersi legittimamente predicabile nella misura in cui il giudice, nelle pieghe dell’impianto giustificativo approntato, illustri compiutamente le ragioni assiologiche che impongono di assegnare a taluno degli indici normativi predeterminati una assorbente pregnanza negativa.
3. La compatibilità del fatto di lieve entità con il c.d. “Piccolo Spaccio”
L’evoluzione esegetica sin qui tratteggiata appare, a ben vedere, sintomatica di una progressiva espansione del perimetro applicativo della lieve entità.
Invero, l’esigenza di attribuire effettività alla funzione equilibratrice connotante l’ipotesi delittuosa in discorso, ha indotto la più recente giurisprudenza a ritenere configurabile detta fattispecie anche in relazione a manifestazioni delittuose contraddistinte da una maggiore lesività al bene, specificatamente oggetto di protezione, della salute pubblica.
Su tale versante, in particolare, rilevano i molteplici arresti di legittimità attraverso cui si è inteso ricondurre entro l’alveo applicativo della fattispecie in esame l’ipotesi, di inedita creazione giurisprudenziale, del c.d. “Piccolo Spaccio”.
A tale proposito, rilievo dirimente assume l’indirizzo interpretativo inaugurato dalla pronuncia “Driouech” del 2015, con cui la Suprema Corte ha espressamente ribadito come “in tema di reati concernenti gli stupefacenti, la fattispecie autonoma di cui al comma quinto dell’art. 73 del d.P.R. n. 309 del 1990 è configurabile nelle ipotesi di cosiddetto piccolo spaccio, che si caratterizza per una complessiva minore portata dell’attività dello spacciatore e dei suoi eventuali complici, con una ridotta circolazione di merce e di denaro nonché di guadagni limitati e che ricomprende anche la detenzione di una provvista per la vendita che, comunque, non sia superiore – tenendo conto del valore e della tipologia della sostanza stupefacente – a dosi conteggiate a “decine“. (cfr. Cass. Pen. Sez. VI, n. 15642/2015).
Quantunque detta ipotesi si atteggi alla stregua di forma delittuosa tipica caratterizzata, in ragione della non occasionalità della condotta, da un grado di lesività in astratto non minimale, nondimeno, le esigenze di valutazione del fatto in conformità alla sua reale dimensione offensiva impongono all’interprete di verificare, sulla scorta di un approccio euristico edificato su base globale ed unitaria, l’effettiva capacità d’azione del soggetto agente, avuto specifico riguardo agli indici fattuali eventualmente dimostrativi di un suo capillare inserimento nell’ambito del mercato di riferimento.
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Gabriele Ferro
Laureato in giurisprudenza presso l'Università degli Studi di Siena, attualmente praticante avvocato, con predilezione per il settore del diritto penale sostanziale e processuale.