La natura giuridica dell’interesse procedimentale nelle recenti pronunce della Cassazione e del Consiglio di Stato

La natura giuridica dell’interesse procedimentale nelle recenti pronunce della Cassazione e del Consiglio di Stato

Abstract. Il presente contributo si propone di operare alcune riflessioni sulla natura giuridica dell’interesse procedimentale, alla luce dei recenti arresti della Cassazione e del Consiglio di Stato.
La sentenza n. 8236 dello scorso maggio emessa dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione e la n. 6755 della terza sezione del Consiglio di Stato dello scorso novembre 2020 giungono infatti ad esiti diametralmente opposti: l’interesse procedimentale si colloca in posizione mediana tra il diritto soggettivo e l’interesse meramente strumentale. Le decisioni de quibus conducono pertanto a riflettere nuovamente sull’inquadramento dogmatico dello stesso e sulla relativa tutela giurisdizionale.
Sommario: 1. Premesse – 2. Il rito “superaccelerato” e la portata sostanziale dell’interesse procedimentale – 3. La tesi del diritto soggettivo avallata dalla Cassazione – 4. La diversa posizione del giudice amministrativo – 5. Conclusioni

 

1. Premesse

L’interesse legittimo, quale situazione giuridica soggettiva sostanziale in capo al soggetto che si relaziona con il potere pubblico(1), si suddivide generalmente in due categorie: l’interesse pretensivo e l’interesse oppositivo. Il primo si sostanzia nella posizione del soggetto che desidera ottenere un provvedimento da parte della p.a. ampliativo della propria sfera giuridica; diversamente, l’interesse oppositivo caratterizza la posizione di colui che si oppone all’azione pubblica in pregiudizio della propria situazione soggettiva(2).

A queste categorie si è aggiunta in tempi più recenti una terza, ossia quella relativa all’interesse c.d. procedimentale. Si tratta di una tipologia di interesse legittimo “di terza generazione”, che si apprezza nella sua dimensione dinamica, in relazione allo svolgersi del procedimento. Esso si distingue ulteriormente in due sottocategorie: l’interesse partecipativo, che consente al privato di interloquire con il potere pubblico indirizzandone il corretto esercizio, e l’interesse procedimentale in senso stretto, che si sostanzia nella pretesa del soggetto alla conclusione corretta del procedimento e l’emendazione del provvedimento. Si pensi all’articolo 7, che prevede la comunicazione di avvio del procedimento, così come l’articolo 10bis, che disciplina il c.d. preavviso di rigetto; ancora, si pensi agli articoli 22 e ss. disciplinanti l’accesso agli atti. In questo senso si parla altresì di interessi c.d. “partecipativi” in capo al privato, garantiti dalle summenzionate disposizioni(3).

L’interesse procedimentale descrive quindi nel complesso la posizione giuridica soggettiva volta alla tutela di un corretto svolgimento del procedimento o, quanto alla materia degli appalti, della procedura di evidenza pubblica, secondo le dinamiche sovraesposte.

Tale categoria è stata oggetto di vivo dibattito in dottrina e in giurisprudenza, in quanto la tendenza prevalente è quella di negarle autonoma portata ontologica, attribuenodole una portata meramente strumentale. Le pronunce in analisi assumono rilevanza non solamente per i rispettivi esiti singolarmente considerati, ma soprattutto perché rappresentano il dialogo tra corti nell’ordinamento interno, tra giudice ordinario e amministrativo. Interessanti appaiono infatti le argomentazioni a sostegno delle tesi promosse, di seguito analizzate.

2. Il rito “superaccelerato” e la portata sostanziale dell’interesse procedimentale

Come anticipato, il bene che l’interesse procedimentale è volto a tutelare prescinde dalle note tipologie summenzionate, in quanto si sostanzia nella garanzia del corretto svolgimento delle regole che presiedono l’azione amministrativa. In quest’ottica esso può essere infatti compreso nei livelli delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, di cui all’articolo 117, comma 2, della Costituzione. Si tratta peraltro di una teoria che è emersa a seguito dei diversi interventi normativi sulla legge 241 del 1990, con cui il legislatore ha introdotto strumenti modellati sul coinvolgimento del privato nell’azione pubblica. Ragionando in termini di tutela sostanziale, alla luce delle sovraesposte considerazioni, il bene che l’interesse procedimentale mira dunque a tutelare è diverso da quello dell’interesse pretensivo ed oppositivo. Si tratta infatti di un bene autonomo, meritevole di tutela diretta e immediata. In questo senso quest’ultimo può essere infatti considerato come tertium genus di interesse legittimo.

Tale categoria ha trovato ulteriore riconoscimento anche nell’ambito dell’evidenza pubblica, nello specifico in relazione all’articolo 120, commi 2bis e 6bis, del c.p.a., introdotti dall’art. 204 del d.lgs. n. 50 del 2016(4). La norma de qua ha infatti inserito nell’ordinamento il rito c.d. superaccelerato, con cui si consentiva ai partecipanti alla gara la possibilità di impugnare direttamente il provvedimento di ammissione di un soggetto reputato inidoneo e ciò senza subordinare tale doglianza all’impugnazione del provvedimento finale di aggiudicazione(5). Per tale ragione detta previsione è stata interpretata come volontà del legislatore di riconoscere valore sostanziale e autonomo all’interesse procedimentale.

L’articolo 204 del Codice appalti è stato invero oggetto di aspre critiche in dottrina, la quale ha sempre sostenuto che tale tipologia di rito incidesse negativamente sulla realizzazione delle opere pubbliche e quindi sulla crescita del PIL(6). Le critiche si sono estese anche alla categoria dell’interesse procedimentale, sulla cui valenza sostanziale e autonoma sono stati sollevati diversi dubbi. Tali perplessità hanno successivamente trovato riscontro nell’abrogazione dei commi 2bis e 6bis da parte del decreto “Sblocca cantieri“, n. 32 del 2019. L’abrogazione del rito superaccelerato rappresenterebbe in quest’ottica la negazione da parte del legislatore dell’interesse procedimentale come situazione giuridica autonoma. Alla luce di tale intervento normativo, esso manterrebbe solamente una valenza strumentale alla tutela di un interesse pretensivo od oppositivo.

È stato evidenziato come la reviviscenza del rito appalti ordinario sia frutto della necessità avvertita dal legislatore di sopprimere il rito speciale -allora oggetto di sindacato di legittimità costituzionale- in quanto ritenuto pregiudizievole dell’effettivo esercizio del diritto di difesa ex art. 24 Cost., nonché incapace di rispondere all’esigenza di accelerazione delle procedure di gara pubbliche. Altra autorevole dottrina ha tuttavia evidenziato che a seguito di tale intervento è venuto meno anche l’interesse ex lege alla corretta partecipazione dei partecipanti e per tale ragione l’interesse a ricorrere del concorrente pregiudicato diventa concreto e attuale solo col provvedimento definitivo di aggiudicazione(7)

Ad ulteriore conferma di quanto sostenuto, la dequotazione dell’interesse procedimentale si giustifica a fortiori a seguito dell’altrettanta dequotazione dei vizi procedimentali, conseguente all’introduzione del comma 2 all’art. 21-octies della l. 241/1990. La norma de qua sancisce infatti l’irrilevanza di quei vizi che non influiscono sul contenuto del provvedimento(8).

3. La tesi del diritto soggettivo avallata dalla Cassazione

Diversamente da quanto sopra esposto, le Sezioni Unite della Cassazione hanno fornito un’interpretazione di interesse procedimentale alla stregua di un diritto soggettivo. Tale teoria fonda la propria ratio sulle modifiche introdotte alla legge 241 del 1990, le quali sono intervenute non solamente introducendo disposizioni a favore della maggiore partecipazione del privato, bensì ponendo ulteriori doveri e obblighi in capo alla p.a. nei confronti di quest’ultimo. Queste avrebbero infatti condotto a parificare le posizioni dell’amministrazione e degli amministrati all’interno del rapporto amministrativo(9).

Con la pronuncia n. 8236 del maggio 2020, le Sezioni Unite della Cassazione si sono pronunciate in tema di responsabilità da contatto sociale qualificato della P.a.(10). Il fatto da cui origina la pronuncia origina dal ricorso proposto da una società per il risarcimento del danno subìto a seguito della lesione dell’affidamento che la stessa aveva riposto nella condotta dell’amministrazione procedente. Quest’ultima infatti col proprio comportamento -accondiscendente lungo tutta la fase del procedimento-  aveva ingenerato in questa delle aspettative. La doglianza della ricorrente, preme all’uopo precisare, è indipendente da ogni connessione con l’invalidità provvedimentale (o, come si precisa nella pronuncia, “dalla stessa esistenza di un provvedimento“).

La tesi sostenuta dai giudici della nomofilachia si fonda quindi sul presupposto che nell’ambito del procedimento il privato si relaziona con un soggetto altamente qualificato (l’amministrazione procedente) e per tale ragione nutre delle aspettative nell’interazione con questo. Per effetto di tale interazione sorgono in capo alla p.a. degli obblighi di protezione nei confronti del privato; si tratta quindi di doveri di tutela che scaturiscono ex lege, nel momento in cui il privato si trova a confrontarsi con l’amministrazione. In tale sede infatti la Corte ha confermato la giurisdizione del g.o. nelle controversie che sorgono da un rapporto tra soggetti -la pubblica amministrazione e il privato che con questa sia entrato in relazione- che nasce prima e a prescindere dal danno e nel cui ambito il privato non può non fare affidamento nella correttezza della pubblica amministrazione. Si tratta dunque di una responsabilità che prende la forma dalla violazione degli obblighi derivanti da detto rapporto e che, pertanto, va ricondotta allo schema della responsabilità relazionale, o da contatto sociale qualificato, da inquadrare nell’ambito della responsabilità contrattuale ex art. 1218 c.c.. Ciò, come anticipato, a prescindere dalla legittimità del provvedimento emanato all’esito del procedimento(11).

Al punto n. 16 di parte motiva la Corte dichiara infatti che: “La pretesa risarcitoria dedotta nel presente giudizio dalla società D.C. Costruzioni, tuttavia, ha ad oggetto un danno che, nella prospettazione della società attrice, non è stato causato da “atti” o “provvedimenti” dell’amministrazione municipale, bensì dal comportamento da questa tenuto nella conduzione dei rapporti tra i propri uffici e la stessa società, tale da ingenerare in quest’ultima un incolpevole affidamento nel rilascio del permesso, poi deluso dal diniego finale (del quale non viene messa in discussione la legittimità).“.

Il rapporto tra privato e P.A., dunque, deve essere inteso come fatto idoneo, ai sensi dell’art. 1173, c.c., a produrre obbligazioni e dal quale derivano, a carico di entrambe le parti, reciproci obblighi di buona fede, di protezione e di informazione ai sensi degli artt. 1175, 1176 e 1337, c.c., la violazione dei quali è idonea a produrre un danno risarcibile. Alla luce di ciò, la lesione dell’interesse procedimentale, rappresentata dall’inadempimento degli obblighi procedimentali sorti in relazione al contatto sociale, è tutelabile in quanto diritto soggettivo. Alla luce di tali considerazioni, si può affermare che p.a. e soggetto privato si trovano in un contesto paritario, in cui vigono le regole di correttezza e buona fede che fondano il rapporto obbligatorio e  non invece quello di potere, tipico del rapporto amministrativo. D’altra parte è proprio alla luce dei principi generali che anche la giurisprudenza amministrativa è giunta alla consapevolezza di dover valutare l’attività amministrativa in chiave di tutela dell’amministrato.

Gli esiti raggiunti dalla decisione de qua trovano infine conferma nelle recenti modifiche introdotte dal d.l. Semplificazioni (il n. 76/2020, convertito in legge n. 120 dello scorso settembre) al procedimento amministrativo. Il novellato articolo 1 della legge 241 del 1990 sancisce che l’azione amministrativa è incentrata sulla buona fede e leale collaborazione con il privato.

4. La diversa posizione del giudice amministrativo.

La teoria avallata dalla Cassazione non ha trovato riscontro nella giurisprudenza amministrativa. La terza sezione del Consiglio di Stato, con sentenza n. 6755 emessa lo scorso novembre, è tornata invece a ribadire l’assenza di autonomia ontologica dell’interesse procedimentale, qualificandolo alla stregua di una facoltà meramente strumentale.

Nella pronuncia de qua il giudice amministrativo, con riguardo alla tutela del privato per la violazione dei termini del procedimento, sostiene che per la risarcibilità del danno ingiusto il presupposto sulla base del quale valutare l’ingiustizia del danno è l’accertamento della spettanza del bene della vita finale, con l’effetto che non può configurarsi un danno ingiusto risarcibile in assenza di un provvedimento –seppur tardivo– favorevole al privato, ovvero, nei casi di silenzio-rigetto, la prognosi positiva circa il fatto che l’Amministrazione procedente avrebbe dovuto rilasciare il provvedimento favorevole.

Al punto 6.3. di parte motiva il g.a. afferma infatti: “Il tempo dell’azione amministrativa non è un bene in sé, ma la misura di un bene consistente nella soddisfazione dell’interesse ottenibile soltanto mediante il legittimo, tempestivo, esercizio della stessa azione amministrativa. Per poter riconoscere la tutela risarcitoria in talifattispecie, come in quelle in cui la lesione nasce da un provvedimento espresso, non possa in alcun caso prescindersi dalla spettanza di un bene della vita, atteso che è soltanto la lesione di quest’ultimo che qualifica in termini di ingiustizia il danno derivante tanto dal provvedimento illegittimo e colpevole dell’amministrazione quanto dalla sua colpevole inerzia e lo rende risarcibile(12). In questo senso, dunque, l’interesse procedimentale non è direttamente tutelabile e risarcibile, in quanto non è individuabile un bene della vita autonomo rispetto a quello fatto valere attraverso l’interesse legittimo. La decisione in esame si pone in linea con la giurisprudenza amministrativa maggioritaria, tendente ad escludere autonomia ontologica all’interesse procedimentale(13).

Alla luce di tale arresto si evince che utilità quali il tempo perso dal privato in attesa di un provvedimento dell’amministrazione legittimamente sfavorevole, la capacità di orientare il proprio agire in base alla decisione della stessa, la possibilità di intraprendere soluzioni alternative, non configurano beni della vita autonomamente rilevanti. La posizione giuridica del privato cui essi sono sottesi non è che una posizione meramente strumentale e, in quanto tale, inidonea a godere di un tutela risarcitoria autonoma, che prescinda dall’accertamento della spettanza del bene della vita finale, oggetto dell’interesse legittimo correlato all’esito del procedimento amministrativo.  

5. Conclusioni

Alla luce delle pronunce esaminate la natura giuridica dell’interesse procedimentale continua ad alimentare il dibattito giurisprudenziale, che vede collocate agli antipodi le posizioni del giudice ordinario e di quello amministrativo.

A parere di chi scrive, è comunque innegabile che le modifiche introdotte negli ultimi anni alla legge sul procedimento -in ultimo quelle del d.l. “Semplificazioni“- abbiano determinato un rilevante mutamento del rapporto amministrativo. Quest’ultimo può essere infatti definito “paritario”, proprio perché improntato sui canoni di buona fede e leale collaborazione tra l’amministrazione procedente e i soggetti che con essa si relazionano. Si tratta di principi generali dell’ordinamento giuridico che nascono nel diritto civile e che, una volta applicati in ambito amministrativo -non solo in materia di contratti pubblici-, hanno un impatto “rivoluzionario” sul rapporto come sin ora conosciuto. La concezione di pubblica amministrazione che si impone alla comunità amministrata attraverso il provvedimento è stata invero mitigata negli anni attraverso previsioni di apertura alla partecipazione del privato al procedimento e di responsabilizzazione della p.a., sino a giungere ad un attuale superamento di tale concezione, che si riflette sia dal lato del rapporto, sia dal lato della tutela.

 

 

 

 


Note:
(1) cfr. Corte Cass., S. U., 22 luglio 1999, n. 500.
(2) cfr. F.G. SCOCA, L’interesse legittimo – storia e teoria, Giappichelli Editore, Torino, giugno 2017; M. CLARICH, Manuale di diritto amministrativo, il Mulino, terza edizione, 2017, parte seconda, cap. III, pagg. 133 e ss.
(3) cfr. M. FRATINI, Manuale sistematico di Diritto Amministrativo, Accademia del Diritto Editrice, Roma, agosto 2020, parte II – Le situazioni giuridiche soggettive, cap. II, L’interesse legittimo e le altre situazioni soggettive, par. 8, p. 129; sul punto anche F. CARINGELLA, Compendio di diritto amministrativo, Dike Giuridica, XI edizione, ottobre 2018, parte seconda, cap. II, par. 4.3, pag. 144 e ss.
(4) cfr. L. TORCHIA, Il nuovo codice dei contratti pubblici: regole, procedimento, processo, in Giornale di diritto amministrativo, 5, 2016, pagg. 610 e ss.
(5) cfr. M.A. SANDULLI, Nuovi limiti alla tutela giurisdizionale in materia, in Federalismi, fasc. 15/2016, 27 luglio 2016, par. 2.4, pagg. 12 e ss.
(6) cfr. I. LAGROTTA, Il rito «super accelerato» in materia di appalti tra profili di (in)compatibilità costituzionale e conformità alla normativa comunitaria, in Federalismi, fasc. 7/2018, 28 marzo 2018.
(7) cfr. P. CLARIZIA, La soprressione del ricorso superaccelerato e l’ingiustificato sacrificio della certezza del diritto, in Federalismi, fasc. 1/2021, 13 gennaio 2021, par. 3, pag. 5.
(8) cfr. T.A.R. Roma, (Lazio) sez. III, 01/06/2020, sent. n. 5791: “La censura di violazione formale delle garanzie procedurali non può da sola condurre all’annullamento dei provvedimenti impugnati perché è necessario effettuare la prova di resistenza esaminando se, a causa di tale violazione, l’Amministrazione sia stata privata di elementi istruttori in grado di far ipotizzare una decisione diversa. Non sarebbe infatti né utile né economico annullare un provvedimento che può essere adottato di nuovo con lo stesso contenuto; il principio di economicità dell’azione amministrativa deve essere salvaguardato anche quando assume un ruolo conservativo dei provvedimenti impugnati. La prova di resistenza deve essere condotta esaminando le censure di natura sostanziale proposte con l’impugnazione, nel rispetto del principio della domanda. In altri termini, la violazione delle garanzie procedimentali può rendere più evidenti i profili di fraintendimento o di insufficienza istruttoria dedotti come vizi sostanziali dalla parte ricorrente.”, estratto da www.dejure.it.; in senso conforme T.A.R. Trieste, (Friuli-Venezia Giulia), sez. I, 30/03/2020, sent. n. 109.
(9) cfr. M. FRATINI, op. cit., p. 131.
(10) cfr. M. PROTTO, La responsabilità della p.a. per lesioni di interessi legittimi come responsabilità da “contatto” amministrativo, in Resp. civ. e prev., 2001, 213 ss.
(11) cfr. Cass., SS. UU., 28 aprile 2020, sent. n. 8236 laddove al par. 20 afferma: “La società D.C. Costruzioni, infatti, deduce di aver riposto il proprio affidamento non in un provvedimento concessorio (pacificamente mai emesso) ma nel comportamento dell’amministrazione municipale, la quale avrebbe protratto per anni l’esame della pratica edilizia, in vario modo inducendo (con la comunicazione di atti endoprocedimentali, con la formulazione di apprezzamenti positivi sul piano dell’opera, con la divulgazione sui giornali del progetto di intervento edilizio) a confidare ragionevolmente nel positivo esito della stessa“.
(12) cfr. Cons, di Stato, sez. III, 2 novembre 2020, sent. 6755.
(13) cfr. ex multis alcune pronunce di merito, tra cui T.A.R. Roma, (Lazio), sez. III, 06/07/2020, n. 7705; T.A.R. Brescia, (Lombardia), sez. I, 04/06/2020, n. 429; in ultimo T.A.R. Napoli, (Campania), sez. VII, 18/05/2020, n. 1836, secondo cui il mero ritardo nell’adozione del provvedimento non giustifica, di per sé, il riconoscimento di un danno risarcibile, in quanto il danno da ritardo non può essere avulso da una valutazione concernente la spettanza del bene della vita e deve essere subordinato, tra l’altro, anche alla dimostrazione della spettanza definitiva del bene sostanziale della vita collegato a un tale interesse. Dunque, il mero ritardo nell’adozione del provvedimento non giustifica, di per sé, il riconoscimento di un danno risarcibile.

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Vittoria Padovani

Dottoranda in diritto amministrativo presso l'Università degli studi di Verona; Si è laureata in Giurisprudenza presso l'Università di Bologna nel luglio 2018 con una tesi in diritto amministrativo sulla responsabilità per danno erariale del rup nel settore degli appalti; si è successivamente specializzata, nel luglio 2020, in Studi amministrativi presso la SP.I.S.A. di Bologna, con una tesi in diritto regionale avente ad oggetto "L’autonomia differenziata in materia sanitaria tra solidarietà ed esigenze di bilancio. Il caso della Regione Veneto". È cultrice della materia presso la cattedra di Diritto degli Enti locali del medesimo ateneo, ove svolge, altresì, il ruolo di tutor didattico per il settore scientifico disciplinare IUS/10.

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