La nuova responsabilità dell’appaltatore per i vizi dell’opera realizzata
Il presente contributo si propone di esaminare una recente sentenza in cui la Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi sulla responsabilità che grava sull’appaltatore qualora sussistano vizi dell’opera.
Prima di affrontare l’argomento in esame, è opportuno fare qualche premessa sul contratto di appalto, un contratto tipico, la cui definizione si rinviene nell’art.1655 c.c. che stabilisce che il contratto di appalto è quel contratto in forza del quale un soggetto (appaltatore) assume con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio l’obbligo di compiere per l’altra parte (appaltante) un’opera o un servizio verso un corrispettivo in denaro.
Dalla definizione, quindi, che il codice civile ci fornisce del contratto di appalto si desumono le caratteristiche del contratto stesso. Infatti:
– per quel che concerne l’oggetto del contratto si prevede che esso consista in un facere: ossia nel compimento di qualsiasi genere di opera o prestazione di servizi;
– per quel che concerne la natura giuridica si prevede che esso sia un contratto a prestazioni corrispettive;
– per quel che concerne le obbligazioni gravanti sulle parti si prevede che l’appaltatore deve eseguire una prestazione di facere, l’appaltatore può realizzare un’opera in tal caso si parla di appalti di opere attraverso i quali l’appaltatore deve rielaborare o trasformare una materia per produrre un nuovo bene o apportare modifiche ad un bene già esistente. L’appaltatore può realizzare un servizio in tal caso si parla di appalti di servizi con cui l’attività dell’appaltatore è diretta a produrre un’utilità o a soddisfare un determinato interesse dell’appaltante senza elaborazione di materia. Se l’attività non produce il risultato promesso all’appaltante allora all’appaltatore non sarà dovuto alcun corrispettivo poiché il risultato previsto nel contratto non è stato raggiunto.
Tuttavia, il rischio del lavoro che si assume l’appaltatore può derivare da:
– difficoltà dell’opera ovvero dallo squilibrio tra costo che l’appaltatore deve sostenere e risultato promesso: si prevede che se nel corso dell’esecuzione dei lavori si siano verificate sopravvenienze dovute a un aumento dei costi di produzione il corrispettivo pattuito debba restare invariato; tuttavia se nel corso dell’esecuzione dell’opera si realizzano sopravvenienze eccessivamente onerose per l’appaltatore egli può chiedere un equo compenso all’appaltante, inoltre le parti possono prevedere che se si verifichino aumenti o diminuzioni nel costo dei materiali o della mano d’opera superiori al decimo del prezzo complessivo convenuto può esserci una revisione del corrispettivo;
– impossibilità di realizzare l’opera per causa non imputabile alle parti: in tal caso l’appaltante non deve pagare il corrispettivo all’appaltatore, se si realizza una impossibilità parziale invece l’appaltante deve pagare la parte dell’opera già compiuta nei limiti in cui è per lui utile in proporzione al prezzo pattuito per l’opera intera;
– perimento o deterioramento della cosa: in tal caso l’appaltatore non solo non riceve il corrispettivo ma perde anche il denaro utilizzato per l’acquisto dei materiali.
L’appaltatore deve eseguire l’opera in conformità rispetto a quanto pattuito nel contratto (principio di invariabilità dell’opera) per evitare che si realizzi un’opera diversa da quella voluta dall’appaltante e per evitare che egli sia poi tenuto a sostenere maggiori spese per l’opera differente realizzata dall’appaltatore.
L’appaltatore, quindi, può introdurre variazioni e addizioni all’opera solo se vi sia richiesta scritta dell’appaltante, serve la forma scritta per provare poi in giudizio che effettivamente l’appaltante aveva concesso all’appaltatore la possibilità di apportare modifiche all’opera.
Se le modifiche sono autorizzate l’appaltatore riceve un compenso per le variazioni o le aggiunte all’opera.
Se le variazioni sono necessarie ma esse non sono stabilite dalle parti il giudice deve determinarle e stabilire le variazioni di prezzo, se però l’aumento del prezzo supera il sesto di quello pattuito l’appaltatore può recedere dal contratto, se invece recede l’appaltante deve corrispondere un equo indennizzo all’appaltatore.
Se le variazioni sono ordinate dall’appaltante (ius variandi) sono consentite entro determinati limiti: non devono superare il sesto del prezzo convenuto; non devono essere tali da importare notevoli modificazioni della natura dell’opera o dei quantitativi nelle singole categorie di lavoro previste nel contratto.
Quando le variazioni o addizioni sono consentite dall’appaltante l’appaltatore deve ricevere un compenso maggiore per i lavori eseguiti, mentre se le variazioni abbiano superato i limiti consentiti l’appaltatore può rifiutarsi di eseguire le variazioni continuando ad eseguire l’opera concordata.
Per quel che concerne i poteri dell’appaltante egli deve versare una somma di denaro all’appaltatore per l’opera eseguita. La somma di denaro va versata nelle mani dell’appaltatore. Se le parti non hanno determinato il prezzo da pagare nel contratto esso si calcola tenendo conto delle tariffe esistenti e degli usi o in mancanza è determinato dal giudice. Il prezzo dell’appalto è invariabile salvo due ipotesi:
Se aumenta il costo dei materiali che l’appaltatore deve acquistare per realizzare l’opera la revisione può essere accordata solo per quella differenza che eccede il decimo del prezzo pattuito per l’intera opera;
Se si verificano difficoltà di esecuzione derivanti da cause geologiche, idriche e simili che rendono più onerosa la prestazione dell’appaltatore egli può chiedere un equo compenso che sarà concesso dal giudice anche oltre quella differenza che eccede il decimo del prezzo dell’appalto.
I soggetti facenti parte dell’impresa dell’appaltatore possono esercitare azione diretta nei confronti dell’appaltante anche se non hanno con egli un rapporto diretto per evitare che siano soddisfatti qualora sussistano prima i creditori dell’appaltatore e per agire contro l’appaltante per ottenere il pagamento anche in caso di fallimento dell’appaltatore.
Dopo che l’appaltatore abbia realizzato l’opera l’appaltante deve eseguire:
– il collaudo ossia verificare che l’opera sia stata eseguita in conformità al contratto quindi prima l’appaltante deve ispezionare l’opera e poi attraverso una dichiarazione deve manifestare se il risultato è stato positivo o negativo; la natura giuridica del collaudo è controversa perché per alcuni esso è un atto giuridico non negoziale che si concretizza nel giudizio espresso dall’appaltante o dal tecnico circa l’esecuzione dell’opera, per altri esso un atto negoziale di accertamento risultante dall’attestazione tecnica del collaudatore e dall’accettazione dell’appaltante;
– rilasciare l’accettazione ossia una dichiarazione in cui manifesta la sua volontà di voler ricevere l’opera. L’accettazione può essere espressa quando l’appaltante comunica il risultato positivo della verifica; può essere tacita quando l’appaltante compie un atto che implichi la volontà di accettare l’opera, può essere presunta quando l’appaltante non procede alla verifica, non ne comunica il risultato entro brevi termini o riceve l’opera senza che abbia effettuato la verifica. Con l’accettazione dell’opera si libera l’appaltatore dalla responsabilità per vizi o difformità riconosciuti dall’appaltante, l’appaltatore può chiedere il versamento del corrispettivo, da diritto all’appaltante di pretendere la consegna e determina il passaggio del rischio per perimento o deterioramento della cosa in capo all’appaltante.
Responsabilità dell’appaltatore per i vizi dell’opera
In generale la responsabilità dell’appaltatore per i vizi dell’opera può generarsi quando l’opera presenta difformità o vizi non riconoscibili al momento del collaudo dall’appaltante o se l’appaltatore glieli ha taciuti in mala fede proprio su questa tematica è tornata a pronunciarsi la Cassazione con la sentenza nr. 31975/2023 e, in materia di vizi dell’opera ha stabilito che qualora sussistano tali vizi sono a carico dell’ appaltatore tutte le conseguenze dell’inesatto adempimento.
La fattispecie che ha portato la Corte a pronunciare questo principio di diritto vedeva coinvolta una società che aveva stipulato con altra società un contratto di appalto per la realizzazione di un capannone industriale.
La società appaltante però notava che lo stesso presentava dei difetti costruttivi che provocavano delle infiltrazioni e quindi chiedeva il risarcimento integrale del danno alla società appaltatrice sia per le spese sostenute al fine di eliminare i vizi, sia per la situazione in cui si era venuta a trovare e che sicuramente non si sarebbe verificata qualora la prestazione fosse stata eseguita correttamente.
La Cassazione, ha accolto la richiesta della società ricorrente e in relazione al generale onere probatorio ha stabilito che la società appaltante non è tenuta a dimostrare ai fini del risarcimento la colpa dell’appaltatore che si presume fino a prova contraria, ma che deve dimostrare solo l’esistenza dei difetti, mentre grava sull’appaltatore l’onere di provare che la cattiva esecuzione dell’opera sia derivata da un’impossibilità di un esatto adempimento della prestazione.
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Avvocato Antonella Fiorillo
Laureata in giurisprudenza.
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