La responsabilità precontrattuale da contratto valido

La responsabilità precontrattuale da contratto valido

 Si definisce “responsabilità precontrattuale” quella particolare tipologia di responsabilità che deriva dalla violazione, da parte dei soggetti contraenti, del dovere di buonafede nelle trattative contrattuali, ossia dell’obbligo di comportarsi con lealtà e correttezza nella fase prodromica alla conclusione del negozio.

Tale obbligo è sancito dall’art. 1337 c.c., secondo il quale le parti, nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto, devono comportarsi secondo buonafede.

Secondo quanto ritenuto dalla dottrina e dalla giurisprudenza, in particolare, nell’alveo applicativo della norma menzionata deve essere ricondotta l’ipotesi nella quale una delle parti interrompa ingiustificatamente le trattative contrattuali, sebbene queste siano addivenute ad uno stadio tale da ingenerare nell’altra il legittimo affidamento circa il buon esito dell’operazione e dunque in ordine alla conclusione del negozio.

Un’applicazione specifica del dovere di buonafede nelle trattative precontrattuali è contenuta nell’art. 1338 c.c., secondo cui la parte che, conoscendo o dovendo conoscere l’esistenza di una causa di invalidità del contratto, non ne ha dato notizia all’altra parte, è tenuta a risarcire il danno da questa risentito per aver confidato, senza sua colpa, nella validità del contratto.

In entrambe le ipotesi, dunque, assume particolare rilevanza la necessità di garantire il legittimo affidamento di una delle parti contraenti, la quale confida senza colpa nella conclusione di un contratto valido ed efficace.

Tanto premesso, in passato si tendeva a ricostruire il rapporto tra le due norme in termini di radicale diversità, tanto che le fattispecie indicate, ovvero il recesso ingiustificato e l’omessa comunicazione di una causa di invalidità del contratto, erano le uniche due ipotesi di responsabilità precontrattuale ritenute configurabili nell’ordinamento.

Da tale interpretazione ne derivava, pertanto, quale logico ed inevitabile corollario, l’insussistenza in capo alle parti della trattativa di obblighi informativi diversi ed ulteriori rispetto a quello espressamente sancito dall’art. 1338 c.c., ovvero da quello avente ad oggetto una causa di invalidità del negozio.

L’affermazione della responsabilità precontrattuale, pertanto, poteva avvenire esclusivamente nell’ipotesi in cui le parti, per effetto dell’ingiustificata interruzione ovvero a causa dell’omissione informativa, non fossero pervenute alla stipulazione del negozio o comunque fossero addivenute alla conclusione di un negozio invalido.

Tale responsabilità, di conseguenza, finiva per presupporre l’assenza di un contratto valido ed efficace tra le parti.

Ad una diversa conclusione è invece pervenuta l’opinione più recente, la quale ricostruisce il rapporto tra le norme in parola in termini di genere a specie.

Secondo questa concezione, in particolare, l’art. 1338 c.c. costituirebbe in realtà solo una delle  possibili estrinsecazioni del dovere generale di buonafede sancito dall’art. 1337 c.c., il quale sarebbe pertanto suscettibile di altre specifiche applicazioni.

Sulla base di tale differente impostazione si perviene così al riconoscimento, in capo ai soggetti della trattativa contrattuale, di obblighi informativi ulteriori rispetto a quello specificatamente sancito dalla legge ed avente ad oggetto le cause di invalidità del contratto.

In quest’ottica, si collocano molteplici interventi normativi finalizzati a positivizzare e tipizzare specifici oneri di informazione tra i contraenti, in particolare con riferimento ai rapporti c.d. asimmetrici, ovvero postulanti un diverso potere contrattuale tra le parti, tale da indurre a rafforzare la tutela giuridica del soggetto più debole.

A tal proposito si pensi, per esempio, agli obblighi informativi previsti nell’ambito del rapporto tra professionista e consumatore, e più specificatamente a quelli sussistenti in capo all’istituto bancario o all’intermediario finanziario a favore del risparmiatore o dell’investitore.

Detto questo, fuori dalle ipotesi espressamente previste dalla legge, e dunque dalla specifica indicazione legislativa dell’obbligo informativo gravante sulla parte, si pone il problema di individuare quali siano i criteri funzionali alla selezione di tali obblighi e di determinare al contempo quali siano le conseguenze derivanti dalla loro violazione, le quali nelle ipotesi legislativamente previste sono prettamente risarcitorie.

Quanto alla prima delle questioni indicate, si ritiene che sia onere della parte informare l’altra di tutte le circostanze che possano rivelarsi determinanti del consenso ed influire così sulla stipulazione del negozio o comunque sulla determinazione del suo contenuto, fatta eccezione tuttavia per tutte quelle che la controparte avrebbe potuto conoscere attraverso l’utilizzo dell’ordinaria diligenza.

Si perviene così alla distinzione tra dovere di informazione di una parte, avente ad oggetto le circostanze non facilmente conoscibili, ed onere di autoinformazione dell’altra, ricomprendente invece tutte quelle informazioni che la parte avrebbe potuto conoscere ma per colpa ha omesso di farlo.

Quanto invece alle conseguenze giuridiche derivanti dalla violazione di siffatti obblighi, si ritiene che le stesse siano essenzialmente risarcitorie, obbligando la parte che ha omesso la comunicazione a riparare i danni cagionati alla controparte per aver concluso un contratto a condizioni differenti rispetto a quelle che altrimenti avrebbe accettato.

Sulla base della fondamentale differenza tra regole di comportamento, la cui violazione determina solo il sorgere dell’obbligazione risarcitoria, e regole di validità del contratto, la cui infrazione comporta invece l’invalidità del negozio, deve infatti ritenersi che in mancanza di una diversa indicazione legislativa, la violazione della norma imperativa non possa che consentire esclusivamente il risarcimento del danno.

Ciò premesso, tuttavia, ci si chiede quando possa essere effettivamente ravvisata una responsabilità precontrattuale da contratto valido, ovvero in quali casi la violazione di obblighi informativi, sebbene non incida sulla validità del negozio, sia comunque in grado di costituire fonte di responsabilità risarcitoria.

Secondo un primo orientamento, l’unica ipotesi di responsabilità precontrattuale da contratto valido  sarebbe quella prevista dall’art. 1440, comma 2, c.c., sussistendo pertanto solo nel caso in cui il contraente abbia posto in essere un comportamento integrante “raggiro”, inducendo l’altra parte ad accettare delle condizioni deteriori rispetto a quelle che avrebbe voluto qualora i raggiri non fossero stati messi in atto.

Per tale concezione, in pratica, affinché possa essere attribuita rilevanza giuridica all’omissione informativa, nel caso in cui essa non abbia ad oggetto la mancata comunicazione di una causa di invalidità del contratto, e non sia dunque riconducibile alla fattispecie di cui all’art. 1338 c.c., è necessario che il comportamento della parte sia suscettibile di integrare un’ipotesi di dolo incidente omissivo, e dunque si configuri a tutti gli effetti come un “raggiro”.

Di diverso avviso è invece la giurisprudenza più recente, la quale accoglie la c.d. teoria dei vizi incompleti del contratto, ovvero l’idea secondo cui l’art. 1440 c.c., lungi dal costituire un’eccezione alla regola, assurgerebbe esso stesso a norma generale, consentendo di attribuire rilevanza all’errore determinato dall’altrui reticenza informativa – non solo quando sia essenziale e riconoscibile, e dunque costituisca causa di invalidità del contratto – ma anche quando sia suscettibile di indurre la parte a contrattare a condizioni più sfavorevoli.

Secondo la concezione attuale, dunque, il contratto concluso a condizioni non convenienti per omessa informazione della controparte configura un’ipotesi di responsabilità precontrattuale da contratto valido.

Al contrario, il riconoscimento di una responsabilità precontrattuale da contratto valido non potrebbe invece avvenire considerando la semplice reticenza informativa come un’ipotesi di dolo incidente, posto che l’elemento soggettivo doloso richiede una condotta attiva integrante artifici e raggiri, dalla quale emerga l’intenzione ingannatoria dell’agente.

La questione concernente l’ammissibilità della responsabilità precontrattuale da contratto valido è stata affrontata dalle sezioni unite con riferimento agli obblighi informativi dell’intermediario finanziario sanciti dal d.lgs n. 58/98.

Per la S.C., in particolare, la violazione dei doveri di informazione del cliente, dalla legge posti a carico dei soggetti autorizzati alla prestazione di servizi di investimento finanziario, può dar luogo a responsabilità precontrattuale ove dette violazioni avvengano nella fase antecedente o coincidente  alla stipulazione del contratto di intermediazione.

Diversamente, può sussistere invece una responsabilità contrattuale ove si tratti di violazioni riguardanti le operazioni di investimento o disinvestimento compiute in esecuzione del contratto quadro.

Secondo la Corte, dunque, le norme contenute nei contratti di intermediazione finanziaria che impongono doveri di informazione, non sono regole di validità, ma regole di comportamento, la cui violazione non determina pertanto l’invalidità del negozio, costituendo invece fonte di responsabilità precontrattuale.

Mancando infatti una esplicita previsione normativa in tal senso, la violazione dei doveri di comportamento non può determinare, a norma dell’art. 1418 c.c., la nullità del contratto quadro o dei singoli atti negoziali compiuti in base ad esso.

Detto questo, nell’ipotesi di responsabilità precontrattuale ordinaria, come tale caratterizzata dalla mancata conclusione del negozio oppure dalla stipulazione di un negozio invalido, il risarcimento è dovuto nella misura dell’interesse contrattuale negativo, e cioè dell’interesse del soggetto a non essere parte di trattative infruttuose o comunque di negozi inefficaci.

Nel caso di stipulazione di un contratto valido ma a condizioni non convenienti, invece, non può certo applicarsi il medesimo criterio, posto che il negozio è stato comunque concluso.

Sulla base di tale considerazione, si è così introdotto il criterio dell’interesse positivo differenziale o virtuale, il quale impone di commisurare il risarcimento alla differenza tra il valore del contratto, che il soggetto avrebbe plausibilmente concluso se fosse stato a conoscenza delle circostanze omesse dalla controparte, ed il valore del contratto effettivamente stipulato.


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L'avvocato Cuccatto è titolare di uno studio legale in provincia di Torino con pluriennale esperienza nel campo del diritto civile, penale ed amministrativo. L'avvocato è inoltre collaboratore esterno di un importante studio legale di Napoli, specializzato nel diritto civile. Quale cultore della materie giuridiche, l'avvocato è autore di numerose pubblicazioni in ogni campo del diritto, anche processuale. Forte conoscitore della disciplina consumeristica e dei diritti del consumatore, l'avvocato fornisce la propria rappresentanza legale anche a favore di un'associazione a tutela dei consumatori. Quale esperto di mediazione e conciliazione, l'avvocato è infine un mediatore professionista civile e commerciale.

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