La revoca della donazione

La revoca della donazione

L’art. 769 c.c. definisce la donazione come un contratto con il quale, per spirito di liberalità, una parte (donante) arricchisce l’altra (donatario), disponendo a favore di questa di un suo diritto o assumendo verso la stessa un’obbligazione.

Oggetto della donazione può essere qualunque bene presente nel patrimonio del donante e non beni futuri o altrui.

Gli elementi caratteristici della donazione sono l’animus donandi, che consiste nell’intenzione di attribuire ad altri il vantaggio patrimoniale senza esservi obbligati e l’arricchimento del donatario.

La legge prevede che la donazione possa revocarsi in presenza di due gravi ragioni: ingratitudine del donatario (ex art. 801 c.c.) e sopravvenienza dei figli (ex art. 803 c.c.).

Invero, la revocazione della donazione è rimessa ad un’iniziativa del donante ovvero dei suoi eredi ed è assoggettata ad un breve termine di decadenza, palesandosi in tal modo come la perdita di efficacia della donazione sia ricollegata ad una specifica iniziativa individuale e che il ripensamento del donante debba intervenire in un tempo contenuto, laddove a contrario la fattispecie in esame opera di diritto, ed anche laddove il de cuius abbia potuto fruire di un termine anche ampio per procedere alla revoca del precedente testamento ed ad una eventuale nuova manifestazione di volontà (cfr. Cass. n. 169/18).

Nello specifico, la domanda di revocazione per ingratitudine può essere proposta quando il donatario abbia commesso uno dei fatti che determinano l’indegnità a succedere previsti dai nn. 1, 2, 3 dell’art. 463 c.c., oppure si sia reso colpevole di ingiuria grave verso il donante o abbia dolosamente arrecato grave pregiudizio al patrimonio di lui o gli abbia rifiutato indebitamente gli alimenti dovuti in ragione del vincolo familiare ex artt. 433 e 436 c.c..

L’ingiuria grave richiesta dall’art. 801 c.c., quale presupposto necessario per la revoca di una donazione per ingratitudine, pur mutuando dal diritto penale la sua natura di offesa all’onore ed al decoro della persona, si caratterizza per la manifestazione esteriore del comportamento del donatario, che deve dimostrare un durevole sentimento di disistima delle qualità morali del donante e mancare rispetto alla dignità del donante (cfr. Cass. n. 24965/18).

Ne consegue che per individuare il momento iniziale di decorrenza del termine annuale per il proponimento dell’azione di revocazione della donazione per ingratitudine del donatario, ove si tratti di comportamento ingiurioso da quest’ultimo posto in essere, deve guardarsi al momento in cui gli atti offensivi raggiungono un livello tale da non poter essere più ragionevolmente tollerati secondo una valutazione di normalità.

Invece, ai sensi dell’art. 803 c.c. le donazioni fatte da chi non aveva o ignorava di avere figli o discendenti al tempo della donazione possono essere revocate per la sopravvenienza o l’esistenza di un figlio o discendente del donante.

Tale revocazione risponde all’esigenza di permettere al donante di riconsiderare l’opportunità della donazione a fronte della sopravvenienza del figlio, in funzione degli obblighi di mantenimento, istruzione ed educazione, che derivano da tale evento.

Inoltre, finalità dell’art. 803 c.c. è quella di favorire i discendenti del donante, non ancora nati o la cui esistenza sia ignorata al momento della donazione.

La revocazione è preclusa qualora il donante avesse consapevolezza, alla data dell’atto di liberalità, dell’esistenza di un figlio o di un discendente (cfr. Cass. n. 5345/2017),

L’azione di revocazione per sopravvenienza di figli, ai sensi dell’art. 804 c.c., deve essere proposta entro cinque anni dal giorno della nascita dell’ultimo figlio nato dal matrimonio o discendente ovvero della notizia dell’esistenza del figlio o discendente, ovvero dell’avvenuto riconoscimento del figlio nato fuori dal matrimonio.

Il donante non può proporre o proseguire l’azione dopo la morte del figlio o del discendente.


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