La scuola nel Codice di Diritto Canonico: commento ai canoni 800-806

La scuola nel Codice di Diritto Canonico: commento ai canoni 800-806

Sommario: 1. Introduzione – 1.1. La scuola nella  Gravissimum Educationis (cenni) – 2. Il diritto di aprire scuole e la loro legislazione (canoni 800-802) – 3. Il concetto di scuola cattolica – 4. Alcune disposizioni specifiche (canoni 804 – 805) – 5. Il can. 806 6. Conclusioni

 

1. Introduzione

Il presente studio intende offrire una trattazione completa e sistematica intorno al concetto di scuola così come disciplinato dall’attuale Codice di Diritto Canonico. E’ noto infatti che il legislatore del 1983 ha voluto consacrare, all’interno del testo normativo per eccellenza per la Chiesa, un insieme di canoni i quali presentano, in forma piuttosto ampia, la riflessione giuridica intorno alla scuola e le sue implicazioni.

In modo particolare, il codificatore del 1983, dopo la descrizione dell’esistenza di un effettivo ius circa l’erezione delle scuole, si sofferma sia sul concetto di scuola cattolica (can.803), sia sui requisiti per l’insegnamento religioso (can. .804) offrendo infine una norma di chiusura circa l’autorità ecclesiastica a cui è demandato il compito non solo di vigilare ma anche di adottare misure adeguate per il buon funzionamento dell’istruzione in ambito ecclesiastico.

L’urgenza e l’importanza della tematica trattata impongono delle cautele interpretative vòlte a descrivere, in termini giuridici, cosa la Chiesa cattolica  intende per scuola e soprattutto il significato dell’educazione così come riconosciuto, ab immemorabili , da parte del Magistero ecclesiastico: per queste ragioni, si rende opportuno, prima della descrizione codiciale, offrire una rapida ma comunque sostanziale descrizione del documento conciliare Gravissimum Educationis.

1.1. La scuola nella  Gravissimum Educationis (cenni)

Come accennato, prima di addentrarsi all’interno dell’ampia normativa codiciale, risulta essere opportuno soffermarsi sul decreto Gravissimum Educationis promulgato il 28 ottobre 1965 il quale rappresenta una delle più interessanti quanto dimenticate testimonianze circa l’importanza da parte della Chiesa tanto dell’educazione tanto dei mezzi attraverso i quali quest’ultima si realizza ovvero la scuola. Citiamo qui ad alcune considerazioni intorno ai principi cardini afferenti all’istruzione e alle sue finalità.

In effetti il ​​documento conciliare dedica alla scuola diversi paragrafi dai quali emerge come i Padri conciliari e la Chiesa tout court considerino la realtà scolastica come la più importante per i fini educativi. Si legge infatti che la scuola «[…] sviluppa la capacità di giudizio, mette a contatto del patrimonio culturale acquistato dalle passate generazioni, promuove il senso dei valori, prepara alla vita professionale, genera anche un rapporto di amicizia tra alunni di carattere e condizione sociale diversa, disponendo e favorendo la comprensione reciproca. Essa inoltre costituisce come un centro, alla cui attività ed al cui progresso devono partecipare insieme le famiglie, gli insegnanti, i vari tipi di associazioni a finalità culturali, civiche e religiose, la società civile e tutta la comunità umana»[1]. Il testo chiaro nella sua prescrizione vede la scuola come l’habitat naturale nel quale si è chiamato a crescere non solo per ragioni anagrafiche ma soprattutto per ciò che attiene alle proprie risorte intellettive e spirituali in un cammino non isolato dalla società ma al contrario caratterizzato da un rapporto di reciprocità tra il mondo scolastico e quello familiare e sociale ponendo così le basi per una fattiva collaborazione di cui, ancora oggi, si avverte l’urgenza e la necessità[2].

Il favor educationis dalle tinte ottimistiche del presente Documento risulta declinato in più diramazioni piuttosto rilevanti

In primo luogo si raccomanda che i genitori abbiano libertà di scelta per quanto attiene alla scelta delle scuole e che non vi sia alcun tipo di discriminazione o di pressione esercitata da soggetti esterni per ciò che riguarda la tipologia di scuola scelta[3].

A tale libertà il Documento associa la descrizione tanto della scuola non cattolica tanto di quella cattolica.

Soffermandosi brevemente sulla prima, si noti come la Chiesa, senza rivendicare alcun monopolio sull’educazione, non guarda con ostilità coloro che frequentano scuole non cattoliche. Al contrario assicura la sua presenza «[…] sia attraverso la testimonianza della vita data dai loro maestri e superiori, sia attraverso l’azione apostolica dei condiscepoli , sia soprattutto attraverso il ministero dei sacerdoti e dei laici che insegnano loro la dottrina della salvezza, con metodo adeguato all’età ed alle altre circostanze, ed offrendo loro l’aiuto spirituale per mezzo di iniziative opportune secondo le condizioni di tempo e di luogo».[4]

Di particolare interesse è ovviamente il paragrafo n.8 dove i Padri conciliari si soffermano sulla scuola cattolica e sulle sue finalità. L’ampio paragrafo rivolge la sua attenzione ale scuole cattoliche delle quali  si descrivono anche le diverse manifestazioni, come veri e propri centri educativi chiamati così alla piena formazione dei giovani ma – ed è questa la nota distintiva la loro finalità principale è quella «di dar vita ad un ambiente comunitario scolastico permeato dello spirito evangelico di libertà e carità, di aiutare gli adolescenti perché nello sviluppo della propria personalità crescano secondo insieme quella nuova creatura che essi sono diventati mediante il battesimo, e di coordinare infine l’insieme della cultura umana con il messaggio della salvezza, sicché la conoscenza del mondo, della vita, dell’uomo che gli alunni via via acquistano, sia illuminata dalla fede».

Tali riferimenti per quanto sommari dimostrano il particolare interesse e la particolare rilevanza che il Concilio e più in generale l’intera Chiesa ha voluto manifestare nei confronti della scuola còlta nella sua dimensione più elementare ma anche più impegnativa ovvero nel suo significato di comunità educativa chiamata a formare l’uomo verso la sua piena maturità sia materiale sia spirituale.

2. Il diritto di aprire scuole e la loro legislazione (canoni 800-802)

Le considerazioni svolte in precedenza a proposito dell’interesse conciliare manifestato nei confronti dell’educazione e più dettagliatamente delle scuole, fungono in effetti da fonti dei canoni attualmente vigenti dedicati all’educazione cattolica.

Prima norma di riferimento è rappresentata dal can. 800 in cui il legislatore afferma che la Chiesa possiede un vero e proprio ius di fondare e dirigere scuole di qualsiasi disciplina, genere e grado.

La disposizione riproduce, seppur con qualche correttivo, quanto previsto dai canoni 1375 e 1379 §3 del Codice Pio- benedettino[5], sottolineando da un lato che la Chiesa rivendica un suo diritto di fondare scuole e dell’altro precisando come l’estensione di questo diritto si manifesti, in forma del tutto onnicomprensiva, nei riguardi di ogni singola scuola offrendo, in questo senso, una manifestazione piuttosto completa circa il fondamento di questo stesso diritto.

Nonostante la derivazione dal Codice del 1917, la disposizione ivi citata è sicuramente da intendere e da interpretare alla luce dei documenti conciliari tra cui, come visto, la Gravissimum Educationis per cui il sensus plenior di questa disposizione non va letto semplicisticamente come un’azione di “rivendicazione giuridica” da parte della Chiesa ma, se letto insieme al §2, «[…] anche di promuovere una progressiva responsabilizzazione dei fedeli affinché attuino tutto quanto è in loro potere di fare perché questo diritto abbia concreta attuazione» [6].

Proprio ciò permette di considerare un altro aspetto alla luce del predetto §2 laddove il Codice si rivolge direttamente ai fedeli affinché «favoriscano le scuole cattoliche, cooperando secondo le proprie forze per fondarle e sostenerle». La disposizione risulta, a differenza di quanto si possa credere, piuttosto complessa richiedendo, in questo senso, qualche ulteriore specificazione.

In primis, il canone appare rivestito da una forte caratura ecclesiologia dal momento che stabilisce non tanto un diritto quanto una viva esortazione[7] affinché l’impegno dei fedeli si traduca in scelte adeguate a favore dell’educazione di cui la stessa Chiesa si fa interprete.

In secundis, sono i Christifideles i veri “protagonisti” dell’esercizio del diritto di cui al primo paragrafo. Infatti si tratta di un serio impegno vòlto non solo a far sì che vengano fondate o erette delle scuole ma che esse vengano sostentate, garantendo adeguate forme di sussidio anche economico alla luce – ed è il punto più importante – di una partecipazione attiva dei laici alla gestione e alla direzione delle suddette scuole[8].

In sintesi, l’interno can. 800 necessita pertanto di una duplice lettura i cui elementi esteriori sono rappresentati dai due paragrafi di riferimento i quali, pur presentandosi ad una prima analisi piuttosto eterogenei, possono – anzi debbono essere visti – in termini complementari.

Il diritto della Chiesa di erigere scuole viene sì ribadito ma temperato alla luce di una precisa ecclesiologia di riferimento in cui sono gli stessi fedeli a rendere concreto il suddetto diritto. In altre parole, come già accennato, non è possibile parlare di una mera rivendicazione da parte dell’autorità ecclesiale quanto di un esercizio congiunto tra quest’ultima e quella statale favorendo e valorizzando coloro che formano la “malta” di riferimento della scuola ovvero l’intero Popolo di Dio.

Il can. 801, recependo un’antichissima tradizione[9], esprime un particolare favor verso quegli istituti religiosi che hanno fatto dell’educazione la loro missione specifica la quale viene tanto riconosciuta quanto esortata a rimanere tale. A tale aspetto se ne associa un altro che appare del tutto condivisibile[10], soprattutto con riguardo alla situazione attuale: spetta infatti agli istituti religiosi poter erigere e fondare proprie scuole purché sub consensu Episcopii.

Infine il can. 802 risulta essere quasi una norma di chiusura di questi primi canoni dall’evidente portata introduttiva. Il disposto in esame, infatti, rimanda al Vescovo un vero e proprio favor educativo dal momento che la norma qui esaminata stabilisce come quest’ultimo dovrà intervenire sia a provvedere alla presenza di scuole in cui si impartisca un’educazione di spirito cristiano ma anche di fondare scuole professionali e tecniche specialibus necessitatibus requirantur.

La norma, pur derivando dal can. 1379 del precedente Codice, risulta, invero piuttosto interessante raccomandando al Vescovo un impegno concreto anche per ciò che attiene alla scuola e dunque, più in genere, all’educazione considerata globalmente.

Più in particolare merita qualche attenzione l’espressione iniziale del can. 802 perché il tenore normativo sembrerebbe deporre a favore di una totale insistenza di scuole dove trasmettere un’educazione di spirito cristiano. In realtà – come nota attentamente la dottrina[11]– non si tratta di un’assoluta mancanza ma richiede una valutazione attenta da parte del Vescovo chiamato così ad un attento esame della realtà soggetta alle sue cure pastorali al fine di evidenziare come e dove erigere scuole permeate di spirito cristiano.

3. Il concetto di scuola cattolica

Tra le disposizioni più pregnanti dell’intera rubrica codiciale qui analizzata spicca sicuramente il can.803 nel quale il legislatore ha voluto offrire una definizione di scuola cattolica e nel contempo stabilire ulteriori prescrizioni normative intorno alle quali poniamo ora la nostra attenzione.

Per comprendere la specificità del presente canone occorre richiamare brevemente l’analoga disposizione del Codice Pio- Benedettino per il quale era da considerarsi scuola cattolica qualsiasi scuola anche eretta dallo Stato purché in esse vi fosse impartito un insegnamento religioso da parte di docenti approvati dall’autorità ecclesiastica di riferimento[12]; ciò appariva del tutto conforme alla visione di una Chiesa che, concepita come societas perfecta estendeva la sua competenza in vari ambiti anche in pendenza di un diritto esercitato da parte dello Stato. In altre parole, «l’autorità ecclesiastica si riteneva sufficientemente garantita da quelle istituzioni scolastiche, non importa se statali o confessionali, che attuassero nella sostanza un tipo di insegnamento non difforme dai princìpi della retta dottrina»[13]. Tale prospettiva che pure presenta indubbi rilievi di interesse giuridico venne de facto superata dalla già citata Gravissimum Educationis la quale, spostando l’asse di riferimento verso una visione di stampo personalistico, dava il fianco ad una lettura diversa dello stesso concetto di scuola cattolica.

Il testo conciliare rappresenta in effetti una delle principali fonti del predetto canone: a ciò va associato il documento dell’allora Congregazione per l’Educazione Cattolica La scuola cattolica del 19 marzo 1977[14] in cui si stabiliscono alcuni criteri guida circa i criteri necessari per l’individuazione di una scuola cattolica. Tra di essi ricordiamo il carattere di sintesi tra fede e cultura[15], una caratura del sapere orientata verso la piena formazione della persona[16] così da non separare fede e vita ma al contrario ad operare una loro accurata sintesi in vista della maturazione dello sviluppo dell’uomo inteso come essere in perenne formazione e crescita.[17].

Come si intuisce il documento del 1977 mira a legittimare, da un punto di vista sostanziale, la scuola cattolica cercando nel contempo di liberarla da certe concezioni, ancora oggi presenti, per cui essa appare come luogo chiuso, incapace di dialogare con le Scienze improntato, in ultima analisi, ad una logica solo magistrocentrica e di mera trasmissione del sapere.

Tali rilievi non furono dimenticati durante la redazione dell’attuale can.803 che pure risente del lungo lavoro dei Consultori complice diverse interpretazioni circa l’espressione scuola cattolica non solo a livello sostanziale ma anche a livello più marcatamente pratico[18].

Entrando nel dettaglio del vigente can.803 si nota, nel primo paragrafo, la volontà da parte del Codice di definire da un punto di vista dell’autorità ecclesiastica cosa intendere per scuola cattolica. Il canone infatti ricorda che non tutte le scuole possono essere definite cattoliche ma solo quelle dirette dall’autorità competente o da una persona giuridica ecclesiastica ovvero quelle che vengono riconosciute come tali con un documento scritto da parte delle medesime autorità.

Il testo merita qualche breve considerazione aggiuntiva.

In primo luogo va precisato che l’attuale can.803 §1 prevede due diverse possibilità di riconoscimento di una scuola cattolica: la prima si riferisce a quelle scuole fondate e dirette dall’autorità ecclesiastica ovvero si tratta di un riconoscimento ipso facto dal momento che, in questa prima ipotesi, la suddetta individuazione va di pari passo al soggetto fondatore o comunque all’autorità dirigente.

Il Codice nulla dice a proposito dell’autorità ecclesiastica: in assenza dunque di una previsione normativa contraria si può ritenere il suddetto inciso passibile di un’interpretazione estensiva estendendosi dunque al Vescovo diocesano come del resto alle figure ad esso equiparate[19].

Alla prima tipologia di scuola cattolica qui richiamata occorre affiancare quanto disposto nell’ultima parte del canone 803 §1: in questa seconda ipotesi si fa riferimento a quelle scuole che nate, per esempio su iniziativa di un’associazione di fedeli, ottengono il riconoscimento di scuola cattolica mediante apposito documento scritto da parte dell’autorità ecclesiastica di riferimento.

In tal caso sembra opportuno sottolineare non l’esistenza di un carattere originario o ipso facto ma di diritto secondario purché sussista , oltre al necessario documento scritto, anche l’osservanza dei caratteri essenziali di cui al secondo paragrafo[20].

Dopo aver esposto, seppur a grandi linei, l’ iter di riconoscimento di una scuola cattolica, il Codice descrive, in forma altrettanto generica, i caratteri sostanziali che devono essere presenti nel suddetto centro educativo: più dettagliatamente da un lato ci si richiama  ai principi della dottrina cattolica mentre dall’altro l’attenzione viene rivolta ai personale docente in cui si afferma che essi devono distinguersi per retta dottrina e probità di vita.

Infine l’ultimo paragrafo offre un interessante lettura di sintesi sul concetto di scuola cattolica come inteso dal Codice del 1983.

Si afferma infatti che «nessuna scuola, benché effettivamente cattolica, porti il nome di scuola cattolica, se non per consenso della competente autorità ecclesiastica»: la norma formulata in forma piuttosto perentoria permette di evitare una possibile estensione ed utilizzo dell’attribuito cattolico nei confronti di quelle scuole che pur ispirandosi ai principi di cui al paragrafo precedente, non abbiano ottenuto il suddetto riconoscimento mediante apposito documento scritto.

In altre parole, attraverso quest’ultimo paragrafo, il legislatore va de facto a mitigare quanto espresso dal can.216 poiché è solo con il riconoscimento dell’autorità della Chiesa che una scuola possa e debba considerarsi effettivamente cattolica: si tratta, in ultima analisi, di una misura di garanzia così da rendere effettivo il ruolo dell’auctoritas come “perno” dell’intero sistema educativo cattolico in primo luogo di quello diocesano.

4. Alcune disposizioni specifiche (canoni 804 e 805)

Dopo aver descritto il concetto di scuola cattolica, il legislatore dedica i successivi due canoni alla regolazione dell’istruzione religiosa nonché degli insegnanti preposti a tale insegnamento. La norma, oggetto di un vasto dibattito dottrinale e giurisprudenziale, rappresenta una delle disposizioni più rilevanti della suddetta sezione soprattutto per le sue ripercussioni statali in merito allo stato giuridico dell’insegnante di religione.

Accostandosi al testo codiciale si noti, in primo luogo, come la Chiesa riservi a sé l’ istitutio e l’educatio religiosa catholica impartita non solo all’interno delle scuole cattoliche ma estesa in ogni ambito scolastico e procurata per mezzo dei vari strumenti di comunicazione sociale. La disposizione va considerata nella sua interezza a motivo di una lettura spesso restrittiva o comunque residuale secondo cui tale riserva dovrebbe essere declinata solo a favore delle già menzionate scuole cattoliche: il servizio educativo svolto dalla Chiesa infatti non conosce limitazioni né di carattere geografico né sostanziale dal momento che si tratta di una precisa vocazione rivolta a tutti coloro che intendono avvalersene[21]. In altri termini, il can. 804 definisce, a livello strettamente giuridico, come il diritto della Chiesa circa l’istruzione e l’educazione religiosa appartenga ad essa ratione materia potendosi estendere ad ogni tipo di scuola o centro educativo purché rispetti quelle caratteristiche tali da considerarlo cattolico.

A tale precisazione il Codice affianca sempre all’interno del primo paragrafo ulteriori elementi specifici; in primo luogo si riconosce alle Conferenze Episcopali emanare norme generali sulla tematica scolastica mentre particolare risalto viene attribuito al Vescovo diocesano al quale spetta un compito di regolazione e vigilanza affinché la missione educativa ed istruttiva venga condotta secondo i dettami della vita cristiana ed ecclesiale.

Ma è soprattutto il secondo paragrafo a destare le maggiori attenzioni da parte degli studiosi della disciplina poiché è in queste disposizioni che il legislatore del 1983 ha inteso offrire una descrizione dei requisiti essenziali richiesti all’insegnante di religione all’interno delle scuole ove quest’ultima viene ad essere impartita.

Essi sono: a) la retta dottrina; b) la testimonianza di vita cristiana; c) l’abilità pedagogica.

Incominciando con la retta dottrina essa viene definita in maniera piuttosto residuale[22] come «la conoscenza obiettiva e completa dei contenuti della rivelazione cristiana e della dottrina della Chiesa»: si tratta, come accennato, di una definizione piuttosto generale dal carattere estremamente generico complice anche una certa difficoltà nel chiarire sia il termine dottrina quanto soprattutto l’attributo retto il quale non può non ricomprendersi se non all’interno di una visione globale di carattere marcatamente religioso verso cui viene ad essere inserita la figura dell’insegnante di religione uomo della sintesi e del vissuto  ecclesiale[23].

Alla retta dottrina si affianca la testimonianza cristiana che viene ad essere definita come la capacità di vivere «coerentemente la fede professata, nel quadro di una responsabile comunione ecclesiale»; tale inciso merita qualche breve attenzione in più dal momento che inserisce, in un testo normativo come quello del Codex , la centralità di una categoria dall’ampio respiro ecclesiologico e teologico ovvero quella della testimonianza[24] intesa qui, in forma corretta, come espressione di quella coerenza tra ciò che costituisce l’oggetto dell’insegnamento religioso e la vita personale  da parte dello stesso insegnante.

Infine, ultimo requisito richiesto è l’abilità pedagogica definita, in senso ancora riduttivo, come la formazione e la competenza che ci si è procurati in campo didattico.

Alle disposizioni codiciali dedicate espressamente al profilo canonico dell’insegnante di religione[25], si affianca il disposto del can. 805 che attribuisce all’Ordinario del luogo – e dunque non già al solo Vescovo – il diritto di nominare o approvare i maestri di religione nonché rimuoverli o di esigere che essi siano rimossi.

Il canone in esame se da un lato appare chiaro nella sua formulazione relativa al diritto dell’Ordinario richiede qualche cautela interpretativa in ordine all’effettiva declinazione del suddetto diritto poiché descrive due fattispecie tra di loro distinte seppure complementari.

Per comprendere la distinzione occorre sempre richiamarsi al già citato can.803 laddove, come già visto, il legislatore opera un distinguo tra quelle scuole considerate cattoliche come tali in virtù di un atto fondativo da parte dell’autorità ecclesiale e quelle che possono diventarle ex post mediante un intervento ad hoc. Ciò spiega il sensus plenior del can.805 poiché se la scuola ha come atto genetico di fondazione quello ecclesiastico, la direzione delle suddette scuole rimane all’autorità ecclesiale anche nel caso in cui colui che viene preposto alla guida del predetto centro educativo non sia direttamente un ecclesiastico: mentre, all’opposto, se si tratta di una scuola considerata cattolica solo successivamente alla sua fondazione, l’intervento dell’Ordinario del luogo non si configura come un diritto originario né può essere considerato come direttamente applicabile quanto piuttosto di un diritto condizionato sottoposto alle normative vigenti da parte dello Statuto della singola scuola.

5. Il can.806

Come ultimo canone relativo alla scuola cattolica, il legislatore ha previsto una disposizione piuttosto specifica che appare de facto parallela al can.804[26], in cui si dà particolare risalto alla figura del Vescovo diocesano che nel suo compito di guida e pastore deve manifestare il suo interesse a favore delle scuole cattoliche situate nel suo territorio.

Detto altrimenti, questo canone risulta essere declinato espressamente a favore del Vescovo che non può trascurare di intervenire direttamente affinché le scuole cattoliche presenti nella diocesi siano e restino sempre salde rispetto alla loro vocazione e al rispetto dell’insegnamento in esse impartite.

Ciò manifesta a chiare note la preoccupazione da parte del legislatore di evitare che quei nuclei educativi non siano conformi alla loro missione specifica di cui al già citato can.803 ed è per questo che si attribuisce all’autorità ecclesiastica di riferimento non semplicemente un semplice interesse quanto un vero e proprio diritto (e dovere) non solo di visitarle ma di vigilare e di intervenire allorché si verifichino episodi degni di nota.

In questo senso il can. 806 rappresenta una estensione dei canoni 383 e seguenti in cui si descrivono le diverse manifestazioni del triplice munus affidato al Vescovo e da questi esercitato all’interno di quella portio populi Dei oggetto del suo ministero. Ciò vale a maggior ragione per quanto riguarda le scuole cattoliche a motivo della loro dimensione formativa ed educativa rivolta a tutti.

Ciò va detto non deve essere considerato come una misura limitativa dell’autonomia delle singole scuole come ricorda lo stesso canone qui analizzato ma al contrario la disposizione qui richiamata intende favorire un effettivo punto di incontro e di equilibrio tra l’autorità ecclesiastica e quella scolastica nell’ottica così di favorire la crescita e lo sviluppo della scuola di riferimento.

In tal senso occorrerà garantire un effettivo equilibrio che contemperando da un lato il diritto episcopale riconosciuto come tale da parte del Codice, sappia non “invadere” quella giusta autonomia lasciata ai singoli dirigenti scolastici.

6. Conclusioni 

Descritta la normativa canonica dedicata alla scuola, valgano qui alcune considerazioni conclusive sull’argomento. Va da sé come l’interesse mostrato da parte della Chiesa nei confronti dell’educazione costituisce uno degli ambiti più rilevanti attorno ai quali l’autorità ecclesiastica non solo vi offre un prezioso occhio di riguardo ma anche un prezioso e capillare interesse di carattere giuridico come dimostra, oltre al Codice, l’amplissima letteratura in merito pubblicata in particolar modo da parte della Conferenza Episcopale Italiana. Ciò conferma quanto detto in partenza che cioè la Chiesa ha a cuore l’educazione e ancor di più la scuola.

Tale rilevanza assume nell’economia del Codice un rilievo piuttosto marcato; l’intera legislazione sull’argomento è infatti codificata all’interno del libro III dedicato, come è noto, alla funzione di insegnare: tale munus si manifesta dunque, in forma particolarmente ampia, proprio all’interno delle scuole orientandosi così a favore dell’uomo chiamato così a crescere da un punto di vista culturale in vista della sua piena maturità e formazione.

È su questa base che si innesta così la legislazione canonica la quale incominciando dal rivendicare a sé il diritto di erigere scuole (can.800) non intende, come già descritto, apparire in concorrenza con l’autorità statale quanto piuttosto garantire uno spazio di operatività in cui il suo messaggio possa trovare piena realizzazione. A tale diritto corrisponde così quello di erigere scuole definite cattoliche le quali, lungi dall’essere considerate come dei centri educativi esclusivi o per pochi, risultano, al contrario, nuclei educativi aperti a tutti coloro che intendono formarsi o far formare secondo la proposta evangelica di cui la Chiesa cattolica è custode e garante.

In tal senso si coglie il ruolo del Vescovo diocesano il quale, a motivo dell’autorità rivestita, è chiamato ad un interesse pressante e vivo nei confronti della scuola dovendosi, in questo senso, votare alla causa educativa e scolastica non solo erigendo scuole ma anche visitandole intervenendo nel caso in cui le circostanze lo richiedessero.

In conclusione, pur nella voluta generalità della loro esposizione, le suddette norme canoniche intendono mostrare, da un punto di vista giuridico, la cura della Chiesa nei confronti del problema educativo secondo un paradigma di carattere antropologico in cui il protagonista è l’uomo chiamato a formare e a formarsi sempre e dovunque.

 

 

 

 

 


Riferimenti bibliografici
[1] CONCILIO VATICANO II, Decreto sull’educazione cattolica Gravissimum Educationis, 21 novembre 1964, in AAS (58), 728-739.
[2] Ibidem, 730.
[3] Ibidem, 729.
[4] Ibidem, 730-731.
[5] Cfr. A. VERMEERSCH – I. CREUSEN, Epitome iuris canonici, vol. II, Mechlinae, Romae 1954, 492.
[6] Cfr. J. HENDRIKS,  L’insegnamento e la normativa della Chiesa sulla scuola cattolica, in Quaderni di Diritto ecclesiale 13 (2000), 350.
[7] Ibidem, 351.
[8] Ibidem, 352. Cfr. CONGREGAZIONE PER L’EDUCAZIONE CATTOLICA, Dimensione religiosa dell’educazione nella scuola cattolica. Lineamenti per la riflessione e la revisione, Bologna, 1988.
[9] Si pensi alla lunghissima esperienza educativa di alcuni Ordini religiosi che seppero, nel completo disinteresse delle autorità civili, provvedere all’educazione e all’istruzione dei più poveri ed emarginati.
[10] In altre parole: non si intende dimenticare il contributo educativo che gli istituti religiosi hanno e continuano ad offrire ma con ciò non significa che si tratti di un diritto assoluto dal momento che, come si vedrà di seguito, il vero e proprio soggetto di riferimento è il Vescovo.
[11] Cfr. L. CHIAPPETTA,  Il Codice di Diritto canonico. Commento giuridico pastorale, vol. II, Bologna, 2011, 49.
[12] Cfr. A. VERMEERSCH – I. CREUSEN, Epitome iuris canonici, 491. Cfr. J. HENDRIKS,  L’insegnamento e la normativa della Chiesa, 339.
[13] Ibidem, 340.
[14] Cfr. CONGREGAZIONE PER L’EDUCAZIONE CATTOLICA,  La scuola cattolica, 19 marzo 1977, disponibile in https://www.vatican.va/roman_curia/congregations/ccatheduc/documents/rc_con_ccatheduc_doc_19770319_catholic-school_it.html
[15] Ibidem.
[16] Ibidem.
[17] Ibidem.
[18] Cfr. Communicationes 20 (1988), 215 e ss.
[19] Ci si potrebbe domandare se un Vicario generale possa erigere una scuola cattolica: in assenza di espliciti riferimenti la risposta sembra comunque da considerarsi negativa.
[20] Per maggiori approfondimenti  J. HENDRIKS,  L’insegnamento e la normativa della Chiesa, 354-356.
[21] Ciò vale anche per ciò che attiene ai profili più marcatamente scolastici dell’insegnamento della religione cattolica.  In questo contesto non vi può essere alcun tipo di preclusione né, viceversa, la scelta di servirsi di un suddetto insegnamento può essere motivo di discriminazione. Cfr. S. CICATELLI, Guida all’insegnamento della religione cattolica,  Trento, 2015, 27 . Cfr. A. PORCARELLI,  Nuovi percorsi e materiali per il concorso a cattedra, Torino, 2020.
[22] Ibidem, 33.  Cfr. CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Delibera n.57,  21 settembre 1990, in  Notiziario della Conferenza Episcopale, n. 8,  212-213.
[23] Cfr. A. PORCARELLI, Religione a scuola tra ponti e muri: insegnare religione in un orizzonte multiculturale, Milano, 2023, 93 e ss.
[24]In questo senso il rimando al concetto di testimonianza permette di inserire un così rilevante concetto in un contesto solo all’apparenza estraneo ovvero quello giuridico. La testimonianza permette così di leggere l’insegnante di religione come un uomo capace di offrire, all’interno della scuola, una proposta di senso peculiare senza tuttavia operare, in nessun caso, né una forma di catechesi né di proselitismo.
 [25] Per un maggiore approfondimento sugli elementi civilistici sia concesso il rimando a G. RUGGIERO, L´insegnamento della religione cattolica in Italia: profili storico giuridici, in Riv. Cammino Diritto, ISSN 2421-7123 Fasc. 06/2022.
[26] Cfr. L. CHIAPPETTA,  Il Codice di Diritto canonico,  52.


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Giancarlo Ruggiero

Nato a Ceccano (Fr) il 9 febbraio 1993, ho conseguito la laurea magistrale in Giurisprudenza il 21 aprile 2017 presso l'Università degli Studi di Roma Tor Vergata. Il 17 giugno 2020 ho terminato gli studi presso la Pontificia Università Lateranense Summa cum Laude: attualmente sono dottorando in Diritto Canonico presso la Pontificia Università Gregoriana, studente dello Studio Rotale. Difensore del Vincolo ad acta presso il Tribunale diocesano di Frosinone

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