L’acquisto della proprietà da parte della Pubblica Amministrazione per usucapione

L’acquisto della proprietà da parte della Pubblica Amministrazione per usucapione

È plausibile l’acquisto della proprietà da parte della Pubblica Amministrazione di un bene illegittimamente occupato mediante facta concludentia, ovvero per usucapione, in presenza dei presupposti di cui all’articolo 1158 c.c. [1]?

Gli orientamenti giurisprudenziali sono divergenti.

L’orientamento recentemente espresso dal Consiglio di Stato ha escluso che i beni illecitamente occupati dall’amministrazione possano essere dalla stessa usucapibili: predicare che l’apprensione materiale del bene da parte dell’amministrazione al di fuori di una legittima procedura espropriativa o di un procedimento sanante possa essere qualificata idonea ad integrare il requisito del possesso utile ai fini dell’acquisto per usucapione, rischierebbe di reintrodurre nell’ordinamento interno forme di espropriazione indiretta, non onerose per l’amministrazione dal momento che la cosiddetta retroattività reale dell’usucapione estinguerebbe anche ogni pretesa risarcitoria [2].

Sulla questione è intervenuta l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato che ha espresso i seguenti principi [3]: in linea generale, quale che sia la forma di manifestazione, la condotta illecita dell’amministrazione incidente sul diritto di proprietà non può comportare l’acquisizione del fondo e configura un illecito permanente con la conseguente decorrenza del termine di prescrizione quinquennale dalla proposizione della domanda basata sull’occupazione contra ius, ovvero, dalle singole annualità per quella basata sul mancato godimento del bene che viene a cessare solo in conseguenza: a) della restituzione del fondo; b) di un accordo transattivo; c) della rinunzia abdicativa e non traslativa secondo una certa prospettazione delle sezioni unite da parte del proprietario implicita nella richiesta di risarcimento del danno per equivalente monetario a fronte della irreversibile trasformazione del fondo; d) di una compiuta usucapione, ma solo nei ristretti limiti indicati dal Consiglio di Stato allo scopo di evitare che sotto mentite spoglie si reintroduca una forma surrettizia di espropriazione indiretta in violazione dell’articolo 1 del protocollo addizionale della CEDU [4]; dunque a condizione che: I) sia effettivamente configurabile il carattere non violento della condotta; II) si possa individuare il momento esatto della interversio possessionis; III) si faccia decorrere la prescrizione acquisitiva dalla data di entrata in vigore del testo unico espropri (30 giugno 2003) perché solo l’articolo 43 del medesimo [5] aveva sancito il superamento dell’istituto dell’occupazione acquisitiva e dunque solo da questo momento potrebbe ritenersi individuato ex articolo 2935 il giorno in cui il diritto può essere fatto valere; IV) di un provvedimento emanato ex articolo 42 bis testo unico espropri [6].

 

 

 

 

 


Note bibliografiche
[1] L’articolo 1158 c.c. stabilisce che “La proprietà dei beni immobili e gli altri diritti reali di godimento sui beni medesimi si acquistano in virtù del possesso continuato per venti anni*.
[2] L’usucapione pubblica non è configurabile in quanto incompatibile con il Protocollo Addizionale della CEDU: secondo, infatti, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo è illegittima l’espropriazione indiretta, cioè l’acquisizione della proprietà del privato che avvenga con metodi diversi dal normale decreto di espropriazione oppure dalla cessione volontaria.
[3] Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, sentenza numero 2 del 9 febbraio 2016.
[4] L’articolo 1 del Protocollo numero 1 della CEDU stabilisce che “Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non per causa di utilità pubblica e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale”.
[5] La Corte Costituzionale, con sentenza numero 293 del 4-8 ottobre 2010, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 43 del decreto del Presidente della Repubblica 8 giugno 2001, n. 327 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità).
[6] L’articolo 42 bis del Testo unico sulle espropriazioni per pubblica utilità (D.P.R. n. 327 dell’8 giugno 2001) statuisce, al primo comma, che “Valutati gli interessi in conflitto, l’autorità che utilizza un bene immobile per scopi di interesse pubblico, modificato in assenza di un valido ed efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo della pubblica utilità, può disporre che esso sia acquisito, non retroattivamente, al suo patrimonio indisponibile e che al proprietario sia corrisposto un indennizzo per il pregiudizio patrimoniale e non patrimoniale, quest’ultimo forfetariamente liquidato nella misura del dieci per cento del valore venale del bene”.

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