L’aggravante del metodo mafioso

L’aggravante del metodo mafioso

L’art. 416 bis 1 c.p.p. dispone l’aumento della pena prevista per qualsiasi reato, nell’ipotesi in cui l’illecito sia stato realizzato con l’utilizzo di una forza intimidatrice che – a prescindere da qualunque legame del suo autore con l’organizzazione mafiosa – ne mutui le modalità di azione, instaurando un clima di assoggettamento, caratteristico della struttura associativa mafiosa, volta alla sopraffazione. Sotto questo profilo, la norma evidenzia un duplice carattere preventivo: evitare fenomeni emulativi e fornire ai soggetti passivi strumenti di pronta reazione. Se chiare appaiono le modalità di azione con cui tale aggravante si estrinseca, controversa è invece la natura della seconda parte della disposizione, relativa alla finalità di agevolazione. Esaminando le diverse letture interpretative che permettono di inquadrare la disciplina applicabile in caso di concorso di persone nel reato nell’ipotesi in cui il fatto sia stato commesso per agevolare l’attività delle associazioni previste dall’art. 416 bis c.p., emerge un primo orientamento, secondo cui “tale circostanza è integrata da un atteggiamento di tipo psicologico dell’agente, che richiama i motivi a delinquere ed è riconducibile alle circostanze indicate nell’art. 118 c.p.p.: quindi non estensibile ai concorrenti nel reato”. Contrapposto orientamento sostiene invece che: “l’aggravante è integrata da un elemento obiettivo, attinente alle modalità dell’azione, ed è quindi riconducibile alle circostanze di natura oggettiva ai sensi dell’art. 70 c.p.p., non contemplate dall’art. 118 c.p.p., con conseguente estensibilità ai concorrenti, ai sensi dell’art. 59, secondo comma, c.p.p., purché conosciuta e conoscibile” (Sez. U., sent. n. 8545 del 2020).

Secondo un primo orientamento, che attribuisce all’aggravante in esame connotazione soggettiva, l’atteggiamento psicologico sarebbe dunque definito in termini di dolo specifico, ovvero, occorre che l’agente, oltre alla coscienza e volontà del fatto materiale che deve estrinsecarsi sul piano della realtà, agisca per perseguire il fine specifico di agevolare l’attività dell’associazione mafiosa. Tuttavia, nell’ambito di questo orientamento non emerge chiaramente come debba qualificarsi l’elemento soggettivo necessario ad integrare l’aggravante, né appare pacifico quale sia il requisito prodromico all’estensione della circostanza in questione agli altri concorrenti del reato, ossia, se si debba individuare il dolo specifico richiesto dalla norma in capo a ciascun concorrente nel reato o se sia sufficiente che il concorrente abbia arrecato il proprio contributo, nella consapevolezza della finalità agevolatrice perseguita dall’agente. Il contrapposto orientamento invece ritiene che la circostanza in esame “sia integrata da un elemento oggettivo, consistente nell’essere l’azione rivolta ad agevolare un’associazione di tipo mafioso, e che sia quindi di natura oggettiva ai sensi dell’art. 70 c.p.p., in quanto concernente le modalità dell’azione”, da cui discende che l’aggravante dell’agevolazione non è riconducibile a quelle contemplate dall’art. 118 c.p.p., ed è estensibili, pertanto, ai concorrenti nel reato.

 L’interpretazione che ha prevalso è improntata a riconoscere valenza soggettiva all’aggravante in esame, senza tuttavia escludere la riferibilità della stessa ai concorrenti nel reato qualora questi siano stati consapevoli della finalità perseguita dall’agente, secondo la previsione generale dell’art. 59, secondo comma, c.p.  Principio di diritto enunciato dalle Sezioni Unite è infatti quello per cui “l’aggravante agevolatrice dell’attività mafiosa prevista dall’art. 416 bis 1 c.p. ha natura soggettiva ed è caratterizzata da dolo intenzionale; nel reato concorsuale si applica al concorrente non animato da tale scopo, che risulti consapevole dell’altrui finalità”. In altri termini, chiarita la natura soggettiva dell’aggravante, la Corte ritiene che non vi sia ragione per escludere l’estensione della sua applicazione anche al concorrente che, pur non condividendo con l’autore la finalità agevolativa, tuttavia, consapevole dell’intento dell’agente, non sia dissuaso dalla collaborazione. In questo modo infatti, lo specifico motivo a delinquere viene oggettivato, sulla base degli specifici elementi rivelatori atti a dimostrare che l’intento dell’agente è  stato riconosciuto dal concorrente. Affinché il fatto non sia privo di offensività, si richiede comunque la sussistenza di elementi oggettivi, concreti, tali da iscrivere la condotta entro le finalità di agevolare l’attività delle associazioni mafiose: “è necessario che la volizione che la caratterizza possa assumere un minimo di concretezza, anche attraverso una mera valutazione autonoma dell’agente, che non impone un raccordo o un coordinamento con i rappresentanti del gruppo e, soprattutto, non prevede che il fine rappresentato sia poi nel concreto raggiunto, pur essendo presenti tutti gli elementi di fatto, astrattamente idonei a tale scopo”. L’elemento oggettivo, sotto questo profilo, non conduce all’esclusione della configurabilità dell’aggravante come ancorata ai motivi a delinquere, anzi, si pone quale ulteriore elemento costitutivo dell’aggravante, che altro non fa che rendere la disposizione di cui all’art. 416 bis 1 c.p. maggiormente aderente al principio di offensività. Il discrimine riguarda l’elemento volitivo e quello meramente rappresentativo: perché si configuri la condotta di cui all’art. 416 bis 1 c.p., è sufficiente che il concorrente nel reato sia consapevole della finalità agevolativa, cosicché  ben potrà rispondere del reato aggravato, ogniqualvolta si sia prefigurato lo scopo agevolativo perseguito dal partecipe, secondo la previsione generale di cui all’art. 59, secondo comma, c.p., che attribuisce all’autore del reato gli effetti delle circostanze aggravanti da lui conosciute. Rimane invece escluso dall’attribuzione al compartecipe qualsiasi elemento, aggravante od attenuante della fattispecie, a lui sconosciuto, e per questo non riferibile allo stesso.

La Cassazione ha infatti chiarito che “la funzionalizzazione della condotta dell’agevolazione mafiosa da parte del compartecipe in definitiva deve essere oggetto di rappresentazione, non di volizione, aspetto limitato agli elementi costitutivi del reato, e non può caratterizzarsi dal mero sospetto, poiché in tal caso si porrebbe a carico dell’agente un onere informativo di difficile praticabilità concreta” (Sez. U., sent. n. 8545 del 2020). A tal riguardo, occorre verificare che il compartecipe si sia effettivamente prefigurato la finalità avuta di mira dall’agente, fatto che può essere desunto per espressa manifestazione da parte dell’agente del suo intento delittuoso, o sulla base degli elementi di fatto che emergono dal contesto di riferimento. Come chiarito dalla stessa Suprema Corte, la natura soggettiva dell’aggravante non consente infatti di estendere l’imputazione soggettiva a quelle condotte riconducibili a situazioni contingenti, quali l’occasionalità della compartecipazione, l’ignoranza dell’esistenza di una compagine mafiosa o dei suoi collegamenti con l’occasionale partecipe: la condotta di agevolazione non può ritenersi sussistente in virtù di un “mero sospetto (dal parte del compartecipe) poiché in tal caso si porrebbe a carico dell’agente un onere informativo di difficile praticabilità concreta”. Dalla natura soggettiva dell’aggravante di cui all’art. 416 bis 1 c.p., poiché incentrata su una particolare motivazione a delinquere e sulla specifica direzione finalistica del dolo e della condotta, discende che, “in caso di concorso di persone nel reato, detta circostanza sia applicabile solo ai concorrenti che abbiano effettivamente agito in base a tale finalità, ovvero l’abbiano condivisa e fatta propria” (Cass., Sez. VI, sentenza n. 11356 del 08.11.2017 Ud., dep. 13.03.2018). In definitiva, il compartecipe, perché gli sia riferibile l’aggravante in esame, deve aver contribuito alla condotta illecita con un apporto personale, anche di semplice collaborazione, pur non agendo personalmente a tal fine.

Tale tesi, in conclusione, qualifica quali elementi fondanti della fattispecie tanto l’elemento soggettivo, attinente ai motivi a delinquere, quanto quello oggettivo, inerente alle modalità della condotta.


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Matilde Olmi

Laureata in Giurisprudenza con votazione 110/110 con lode, presso l'Università Alma Mater Studiorum di Bologna. Iscritta al secondo anno della Scuola di Specializzazione in Studi sull'Amministrazione Pubblica di Bologna. Tirocinante ex art. 73 presso la Sezione Gip-Gup del Tribunale di Bologna. Praticante avvocato. Specializzata in diritto penale, amministrativo, civile e lavoro.

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