Lavoro medico, doveri informativi e responsabilità penale del capo équipe

Lavoro medico, doveri informativi e responsabilità penale del capo équipe

La questione relativa ai doveri informativi nell’ambito del lavoro medico pluridisciplinare connessa agli eventuali profili di responsabilità ascrivibili al capo équipe rispetto all’errore di uno specialista, risulta particolarmente dibattuta alla luce della crescente specializzazione delle branche mediche con conseguente frammentazione dei compiti assegnati ai singoli operatori.

In siffatte ipotesi, il trattamento sanitario necessita dell’intervento di diversi specialisti chiamati ad operare in regime di collaborazione. Tale collaborazione può essere anche definita come una cooperazione multi-disciplinare dove, al concorso di apporti tecnico-scientifici da parte dei singoli operatori sanitari, si aggiungono obblighi di diligenza differenziati in ragione delle funzioni da questi concretamente svolte.  I singoli contributi tecnico-scientifici possono essere tra loro contestuali, laddove intervengano nel corso di un’attività unica, oppure successivi allorché il trattamento sanitario imponga una suddivisione dell’attività tra diversi gruppi di specialisti, chiamati ad operare in sequenza.

In via preliminare, appare doveroso focalizzare l’attenzione sul principio di affidamento, al quale dottrina e giurisprudenza hanno riconosciuto validità applicativa in ambito sanitario, in particolare nell’attività medico-chirurgica in équipe. Elaborato dalla dottrina tedesca in materia di circolazione stradale, tale principio è stato poi trasfuso nell’ordinamento italiano al fine di confinare l’obbligo di diligenza entro limiti compatibili con il principio di personalità della responsabilità penale di cui all’art. 27 Cost. In base a tale principio, nell’ambito di attività rischiose svolte da più soggetti, ognuno di essi può e deve confidare nel corretto comportamento degli altri, cioè nel rispetto da parte loro delle regole cautelari, scritte e non scritte, proprie delle rispettive attività ed aventi la funzione di prevenire il verificarsi di un evento dannoso.

Ne deriva che, ogni medico potrà fare affidamento sul corretto comportamento del collega, purché ispirato al pieno rispetto delle legis artis tipiche di quel settore specialistico, atteso che non sarà possibile richiedere indistintamente ad ogni operatore lo stesso livello di specializzazione, soprattutto nelle pratiche particolarmente impegnative in cui è necessario che ciascuno focalizzi la propria attenzione sullo specifico ruolo che è chiamato a svolgere concretamente. Tuttavia, il principio del legittimo affidamento subisce un affievolimento, divenendo c.d. attenuato o relativo in casi del tutto eccezionali, quali la riconoscibilità o prevedibilità dell’altrui comportamento inosservante e l’esistenza di una posizione di garanzia da cui derivano obblighi di controllo e coordinamento del capo équipe sull’operato altrui.

Quanto al primo limite di natura fattuale, consistente nella riconoscibilità o prevedibilità dell’errore altrui, emerge come nell’ambito di un trattamento sanitario d’équipe, più medici si occupano, in modalità sincronica o diacronica, della cura del paziente, ciascuno dovendo compiere precise attività legate al proprio ambito di conoscenza e specializzazione, nel rispetto delle relative legis artis. Laddove però emergano delle circostanze tali da far presagire che il collega abbia violato o stia violando una regola cautelare, in tale ipotesi, la scorrettezza appare evidente e prevedibile, così che l’assenza di un intervento rimediale dovuto all’inerzia del medico comporta l’imputazione dell’evento infausto in cooperazione colposa ex art. 113 c.p. tra il medico in errore diretto e il medico che non ha fronteggiato tale circostanza nonostante la posizione di garanzia di cui è stato investito e la riconoscibilità della imperizia.

Ne deriva che i parametri per valutare la colpevolezza consistono nell’evidenza e nella non settorialità dell’errore altrui. Orbene, mentre il concetto di evidenza è da intendersi in termini qualitativi, cioè come concreta percezione o percepibilità dell’errore da parte di un professionista, impegnato nelle mansioni di sua competenza, il concorrente requisito della non settorialità concerne la rilevabilità dell’errore tecnico sulla base del patrimonio di conoscenze comuni ad ogni sanitario, ancorché sprovvisto delle specifiche cognizioni tecniche del medico che ha commesso l’errore.

A tal proposito, in materia di affidamento, la giurisprudenza ha affermato che «l’obbligo di diligenza che grava su ciascun componente dell’equipe medica concerne non solo le specifiche mansioni a lui affidate, ma anche il controllo sull’operato e sugli errori altrui che siano evidenti e non settoriali» (ex pluris Cass. pen., sez. IV, 18 ottobre 2016, n. 53315; Cass. pen., sez. IV, 11 ottobre 2007, n. 41317).

Il secondo limite è invece di natura giuridica e consiste nella posizione di garanzia attribuita al capo équipe sull’operato altrui, nel caso di distribuzione verticale del lavoro. Il capo dell’équipe medica è, infatti, titolare di una posizione di garanzia nei confronti del paziente ed è, pertanto, tenuto a dirigere e coordinare l’attività svolta dagli altri medici, sia pure specialisti in altre discipline, controllando la correttezza delle loro attività e ponendo rimedio, ove necessario, agli errori altrui, che siano evidenti e non settoriali o comunque rientranti nella sua sfera di conoscenza, come tali emendabili con l’ausilio delle comuni conoscenze scientifiche. Un tale dovere si aggiunge a quelli gravanti sugli ulteriori componenti dell’équipe e a quello di controllo formale che il soggetto in posizione apicale deve svolgere. Tale obbligo di prevedere ed evitare l’errore altrui costituisce un obbligo primario che grava sul capo équipe come conseguenza naturale del proprio ruolo, a differenza dell’obbligo che si imputa ai medici dell’équipe in posizione subalterna, da qualificarsi come secondario poiché non è direttamente ricompreso nel catalogo dei loro doveri in quanto deriva dalla natura relazionale e collaborativa dell’attività sanitaria plurisoggettiva. Il capo dell’équipe, inoltre, al di là dell’autonomia professionale dei singoli operatori, ha il dovere di portare a conoscenza del gruppo tutte le informazioni di cui è in possesso sulle patologie del paziente che, se non comunicate, potrebbero incidere sulle scelte altrui. Pertanto, così descritta, la posizione di garanzia rivestita dal capo équipe appare assumere, prima facie, valore assoluto, in quanto egli ha un dovere continuo di sorveglianza su tutte le attività svolte dai suoi collaboratori. In realtà, il soggetto gerarchicamente sovraordinato, per la sola posizione che riveste, non può considerarsi sempre e comunque responsabile degli errori colposi altrui, in quanto, in tal caso si finirebbe per configurare una forma di responsabilità oggettiva o per fatto altrui, in violazione del principio personalistico di cui all’art. 27 Cost.

Tanto premesso, il sanitario operante in qualità di capo équipe non può dunque per ciò solo, sic et simpliciter, ritenersi penalmente responsabile. È necessario svolgere un’analisi case by case, in quanto solo sulla base del dato empirico e della peculiarità del caso concreto sarà possibile orientare il giudizio di accertamento sulla sussistenza della ragionevole prevedibilità dell’evento, oltre che sugli specifici compiti e obblighi gravanti sul soggetto apicale.  Occorrendo una rilettura compatibile col principio di colpevolezza, va dunque riproposto, quale criterio dirimente, il principio di affidamento attenuato, in coerenza con le argomentazioni che precedono, secondo cui in tema di responsabilità medica, il capo dell’équipe operatoria è titolare di una posizione di garanzia nei confronti del paziente in ragione della quale è tenuto a dirigere e a coordinare l’attività svolta dagli altri medici, sia pure specialisti in altre discipline, controllandone la correttezza e ponendo rimedio, ove necessario, ad errori altrui che siano evidenti e non settoriali o comunque rientranti nella sua sfera di conoscenza e, come tali, emendabili con l’ausilio delle comuni conoscenze scientifiche del professionista.

Concludendo, sulla base delle argomentazioni suesposte, si può affermare che l’intenzione, in definitiva, sembra quella di circoscrivere gli obblighi di sorveglianza altrui alle ipotesi di errori macroscopici, realmente percettibili e prevedibili dal sanitario membro dell’équipe attraverso un’analisi delle circostanze fattuali in cui si sviluppa l’intervento terapeutico.

È infatti sul giudizio di prevedibilità in concreto operato di volta in volta dall’interprete che si gioca la necessaria canalizzazione della responsabilità per colpa del sanitario in équipe nell’assetto dei principi costituzionali di tassatività e personalità del rimprovero penale.


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