Le intercettazioni a strascico e la nozione di “altro procedimento”

Le intercettazioni a strascico e la nozione di “altro procedimento”

Sommario: 1. Un generale divieto di estensione – 2. Il “medesimo procedimento” è solo quello ab origine diverso? – 3. La decisione delle Sezioni Unite

 

 

 

1. Un generale divieto di estensione

In tema di intercettazioni, l’art. 270, co. 1 c.p.p. prevede, generalmente, il divieto di utilizzare i risultati di intercettazioni di conversazioni in procedimenti diversi da quelli per cui le medesime intercettazioni sono state disposte.

Come è noto, già il d. lgs. n. 216/2017[1] è intervento sul summenzionato articolo del Codice di rito, senza, tuttavia, incidere espressamente sulla portata del comma primo dello stesso e tale limitata forma di intervento potrebbe essere utilizzata per avallare la lettura restrittiva del concetto di “diverso procedimento”, sostenuta dalla maggioritaria giurisprudenza[2].

Già con la legge delega – Legge n. 103/2017 (cd. riforma Orlando)[3]– si coglieva la volontà di evitare una discutibile dilatazione del concetto di “diverso procedimento”. Infatti, l’art. 1, co. 84, lett. a) della stessa Legge disponeva che la procedura di stralcio con riferimento al procedimento principale avrebbe dovuto essere attuata in modo che la selezione concernesse le conversazioni “non pertinenti all’accertamento della responsabilità per i reati per cui si procede o per i reati emersi nello stesso procedimento o nel corso delle indagini”.

Dunque, sarebbero solo i reati cd. scoperti nel corso dell’intercettazione che si farebbero rientrare nella nozione di “medesimo procedimento”[4].

2. Il “medesimo procedimento” è solo quello ab origine diverso?

Proprio in ragione dell’intervento non decisivo operato con la riforma del 2017, è rimasto il dubbio circa la possibile estensione della portata delle intercettazioni, per bilanciare i differenti interessi dell’efficacia delle indagini e della tutela costituzionalmente riconosciuta della libertà e segretezza della corrispondenza.

In particolare, la Corte di Cassazione, nel 2019[5], ha rimesso alle Sezioni Unite la seguente questione:

Se a seguito di autorizzazione allo svolgimento di operazioni di intercettazione per uno dei reati di cui all’art. 266 c.p.p., le conversazioni intercettate siano comunque utilizzabili per tutti i reati oggetto del procedimento e se dunque la nozione di “diverso procedimento” di cui all’art. 270 cod. proc. pen. sia applicabile solo nel caso di procedimento ab origine diverso e non anche nel caso di reato basato su notizia di reato emergente dalle stesse operazioni di intercettazione, ma priva di collegamento strutturale, probatorio e finalistico con il reato o i reati per i quali le intercettazioni sono state autorizzate”[6].

Si è, quindi, domandato se si possa riconoscere la legittimità di intercettazioni che, pur realizzate nell’ambito dello stesso procedimento, abbiano, però, condotto alla scoperta di reati differenti rispetto a quelli che inizialmente avevano giustificato l’esecuzione delle operazioni di intercettazione e che si collegano a questi ultimi in modo soltanto occasionale.

Sicuramente, la questione richiede, in primis, di comprendere la portata applicativa del comma 1 dell’art. 270 c.p.p. che, come anticipato, vieta di utilizzare i risultati ottenuti con le intercettazioni in procedimenti differenti rispetto a quelli per cui le stesse siano state legittimamente disposte -a meno che non siano necessarie per l’accertamento di delitti per cui è consentito l’arresto in flagranza[7].

La ratio del divieto di estensione è chiara e coerente con il nostro sistema istruttorio: si vuole evitare che l’autorizzazione a procedere con l’intercettazione concessa dal GIP, al sussistere di specifici presupposti, si trasformi in una sorta di autorizzazione in bianco a favore della Procura, in evidente spregio al diritto di libertà di comunicazione vigente in capo ai cittadini[8]. Le intercettazioni devono essere, infatti, utilizzate come mezzo di prova per determinati reati e non come mezzo di ricerca dei reati stessi.

Tuttavia, se risultava già in passato acquisito il principio per cui è arbitrario estendere le intercettazioni concesse per un certo procedimento a procedimenti diversi, ancora oggi non altrettanto chiara è l’estensione del concetto di “procedimenti diversi”. Ci si domanda, infatti, se si possano considerare tali anche quei procedimenti che, pur essendo autonomi rispetto a quello per cui si procede con le intercettazioni, rivestono dei tratti comuni allo stesso; al di là di una semplice connessione oggettiva o finalistica che, come anticipato, ad opinione della maggioritaria giurisprudenza, non varrebbe a giustificare un’estensione delle intercettazioni.

E’ stata più volte ribadita la nozione di “diverso processo” di carattere sostanziale, di cui si è discorso in precedenza, che non si interessa, cioè, dell’effettivo numero di diversi reati iscritti al Registro Generale, quanto piuttosto all’aspetto strutturale, per cui il procedimento deve considerarsi: “Identico quando tra il contenuto dell’originaria notizia di reato, alla base dell’autorizzazione, e quello dei reati per cui si procede vi sia una stretta connessione sotto il profilo oggettivo, probatorio o finalistico[9].

Ci si dovrebbe, però, allora aspettare che valga anche il principio speculare a quello su enunciato, per cui se il concetto di diversità dei procedimenti è inteso in senso sostanziale e, quindi, l’esistenza di fascicoli processuali formalmente distinti non comporta che questi debbano necessariamente essere considerati “procedimenti diversi”, agli effetti dell’art. 270, co. 1 c.p.p., allo stesso modo, neanche l’esistenza di un unico procedimento dovrebbe impedire di ritenere le imputazioni contenute al suo interno come diverse, con la possibilità di applicare anche in questo caso il divieto di estensione delle intercettazioni.

In tale ottica, deve considerarsi che non raramente il Pubblico Ministero sceglie di portare a giudizio un processo cumulativo dal punto di vista oggettivo o soggettivo, per cui vi sono diverse imputazioni e/o diversi imputati tra cui non sembra potersi cogliere un forte collegamento obiettivo.

Sembrerebbe ovvio, in tali casi, riprendere il criterio sostanzialistico di cui si è detto e qualificare i fatti non coperti dal Decreto autorizzativo dell’attività di intercettazione come facenti parte di procedimenti diversi.

Tuttavia, un consistente filone della giurisprudenza di legittimità ha ritenuto estensibili le intercettazioni disposte, in presenza dei requisiti di cui all’art. 266 c.p.p., per uno dei reati del processo cumulativo a tutti i reati relativi allo stesso, comprendendo, in tal modo, anche il reato del terzo non coperto dall’iniziale autorizzazione.

Ai sensi di tale corrente, quindi, il divieto di cui all’art. 270, co. 1 c.p.p. varrebbe solo per i procedimenti ab origine tra loro distinti[10].

Il menzionato orientamento, apparentemente troppo rigido, è stato mitigato con alcune decisioni che, pur rimanendo all’interno del segnalato filone, richiedono almeno che anche il reato non coperto dal provvedimento autorizzativo presenti i requisiti giustificativi di cui all’art. 266 c.p.p.[11].

Si sono, in definitiva, riconosciuti due diversi orientamenti giurisprudenziali.

Un primo orientamento per cui non può parlarsi di “diverso procedimento” con riferimento ad un procedimento che abbia ad oggetto indagini connesse oggettivamente e finalisticamente al reato per cui sono state predisposte le intercettazioni[12]; la diversità di procedimento andrebbe, perciò, considerata in senso sostanziale, a prescindere dal dato formale del numero di iscrizione nel Registro delle notizie di reato.

Un diverso orientamento afferma, invece che, in caso di procedimento di intercettazione, emesso legittimamente, ex art. 266 c.p.p., i risultati ottenuti con il menzionato mezzo di prova devono ritenersi applicabili per tutti i reati del medesimo procedimento. In particolare, si ritiene che i risultati delle intercettazioni telefoniche acquisiti nell’ambito di un procedimento originariamente unitario, riferito a distinti reati per i quali ricorrano le condizioni di cui all’art. 266 c.p.p., sarebbero utilizzabili anche nel caso in cui il procedimento venga successivamente frazionato a causa della diversità dei fatti di reato e della pluralità dei soggetti indagati; ciò dal momento che in tale ipotesi non potrebbe valere il divieto di cui all’art. 270, co. 1 che presuppone l’esistenza di più procedimenti ab origine tra loro distinti[13].

Proprio al fine di risolvere la questione circa la definizione del sintagma “altro procedimento”, nel 2019, come anticipato, la Sezione VI della Corte di Cassazione[14] ha interpellato le Sezione Unite, per comprendere se il divieto di cui all’art. 270, co. 1 c.p.p. possa valere anche per un procedimento formalmente unitario, in caso positivo, a quali condizioni e se, comunque, tra i reati inizialmente non considerati dal provvedimento autorizzativo possano successivamente ricomprendersi solo quelli per i quali risultino i requisiti di cui all’art. 266 c.p.p..

Nel deferire la questione, la Sezione VI ha, in ogni caso, voluto manifestare il proprio convincimento, evidenziando, al termine del quesito, la necessità di cogliere un collegamento di carattere strutturale ed investigativo tra i reati anche nel caso di un procedimento cumulativo – ossia nel caso in cui siano portati a giudizio congiuntamente più imputazioni e/o più imputati-, in caso negativo, ai sensi della Sezione remittente, dovrebbe valere la regola di cui all’art. 270, co. 1 c.p.p., avente la precisa finalità di evitare una delega in bianco concessa alla Procura.

3. La decisione delle Sezioni Unite

La Corte di Cassazione, con la sentenza pronunciata a Sezioni Unite e depositata nel 2020 -Cassazione Penale, Sezioni Unite, sentenza 2 gennaio 2020, 51[15]– è intervenuta in tema di intercettazioni secondo un’ottica garantistica, limitando la possibilità di estensione delle stesse ai reati che siano stati connessi ex art. 12 c.p.p. e non, invece, per quelli semplicemente collegati ex art. 371 c.p.p..

L’imprescindibile punto di partenza della decisione è l’art. 15 Cost., il quale tutela, da un lato, il diritto alla libertà e alla segretezza delle comunicazioni, ripreso, questo, tra i diritti inviolabili della personalità ex art. 2 Cost., dall’altro, quello collegato all’esigenza di prevenire ovvero reprimere i reati.

La riserva assoluta di legge e la riserva di giurisdizione che sono volte a tutelare i beni di rango costituzionale garantiti dal menzionato articolo 15 Cost. devono, necessariamente permeare la disciplina in tema di intercettazioni. Proprio in riferimento a ciò, le Sezioni Unite hanno sostenuto che: “La previsione di limiti di ammissibilità delle intercettazioni (…) è espressione diretta indefettibile della riserva assoluta di legge ex art. 15 Cost., che governa la materia delle intercettazioni, e dell’istanza di rigorosa – e inderogabile – tassatività che da essa discende[16].

La previsione di tali limiti e requisiti si paleserebbe tamquam non esset se non fosse circoscritto l’ambito dell’utilizzabilità dei risultati delle intercettazioni, dovendosi, in caso di mancanza di tale circoscrizione, parlare di una mera autorizzazione in bianco.

L’unica eccezione, ha osservato la Corte, prevista anche all’art. 270, co. 1 c.p.p., si ha nel caso in cui si proceda per delitti “per i quali è obbligatorio l’arresto in flagranza”; tale eccezione sarebbe agevolmente giustificata dall’interesse all’accertamento dei reati di maggiore gravità[17]

Inoltre, il Supremo consesso, con la significativa affermazione: “Sempreché (i reati connessi) rientrino nei limiti di ammissibilità previsti dalla legge”, ha implicitamente statuito che i risultati dell’attività di intercettazione non possono essere fatti valere, nonostante la sussistenza di una connessione ex art. 12 c.p.p., per i reati per cui non sussistano i presupposti richiesti all’art. 266 c.p.p.. Tale ultima considerazione si palesa, tuttavia, nell’ambito della sentenza de qua come un mero obiter dictum.

Come ha osservato una parte della dottrina, si tratta in realtà di una decisione che si ipotizza avrà impatti considerevoli sulla realtà processuale. Basti considerare che, in virtù di tale pronuncia, le intercettazioni disposte, ad esempio, per il reato di cui all’art. 416 c.p., per il quale sia stata esercitata regolarmente l’azione penale, non sarebbero utilizzabili anche per la prova di quei reati fine che non rientrino tra quelli di cui all’elenco dell’art. 266 c.p.p.. Si giungerebbe al paradossale risultato di poter utilizzare le intercettazioni raccolte e trascritte per le condotte integranti il fatto tipico di cui all’art. 416 c.p. ma non, invece, per la prova di fatti di reato diversi che andrebbero ad integrare la fattispecie associativa[18].

Con la sentenza in esame le Sezioni Unite hanno avallato quell’orientamento che concentrava l’attenzione sulla natura sostanziale di “diverso procedimento”, ex art. 270, co. 1 c.p.p., tuttavia, si sono distaccate dalla citata tesi nella parte in cui hanno ritenuto che non possa essere integrata, senza violare i principi costituzionali alla base della disciplina delle intercettazioni (in particolare l’art. 15 Cost.), nelle ipotesi di collegamento investigativo previste dall’art. 371, co. 2, lett. b) e c) c.p.p., che rispondono in ogni caso a “esigenze di efficace conduzione delle indagini”, del tutto occasionali, ma non “presuppongono quel necessario legame originario e sostanziale” che consentirebbe di ricondurre anche il reato oggetto di collegamento investigativo all’originaria autorizzazione[19].

Al contrario, ad avviso della Corte un tale legame sarebbe possibile nelle ipotesi di cui all’art. 12 c.p.p., in quanto l’art. 12 c.p.p. disciplina casi di connessione tra procedimenti ai fini della competenza del giudice e si tratta di un criterio “autonomo e originario”, così come i criteri di competenza per materia e per territorio dettati dagli artt. 5-11 bis c.p.p.[20].

Sulla base delle enunciate considerazioni, le Sezioni Unite hanno enunciato il seguente principio di diritto:

Il divieto di cui all’art. 270 cod. proc. pen. di utilizzazione dei risultati di intercettazioni di conversazioni in procedimenti diversi da quelli per quali siano state autorizzate le intercettazioni – salvo che risultino indispensabili per l’accertamento di delitti per i quali è obbligatorio l’arresto in flagranza – non opera con riferimento ai risultati relativi a reati che risultino connessi ex art. 12 cod. proc. pen. a quelli in relazione ai quali l’autorizzazione era stata ab origine disposta, sempreché rientrino nei limiti di ammissibilità previsti dalla legge[21].

In definitiva, nonostante, come precedentemente osservato, la decisione in esame possa apparire contestabile nella parte in cui non consente di utilizzare le intercettazioni ottenute durante le indagini svolte per il reato di cui all’art. 416 c.p. anche con riferimento ai reati presupposto per cui non ricorrano i presupposti di cui all’art. 266 c.p.p., parrebbe insensato contestare una lesione da ciò derivante al precetto di cui all’art. 15 Cost.; infatti, le Sezioni unite hanno fornito quanto più possibile un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 270, co. 1 c.p.p.[22].

La sentenza si caratterizza proprio per il fatto di porre nuovamente al centro della disciplina in materia di intercettazioni i principi costituzionali e sembrerebbe inopportuno criticarla per tale ragione.


[1] Decreto legislativo 29 dicembre 2017, n. 216- Disposizioni in materia di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, in attuazione della delega di cui all’articolo 1, commi 82, 83 e 84, lettere a), b), c), d) ed e), della legge 23 giugno 2017, n. 103. Al sito: https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2018/01/11/18G00002/sg
[2] In particolare, sembra ormai da molto tempo diffuso in giurisprudenza il principio per cui “diverso procedimento” non è sinonimo di “diverso reato” ed in esso non possono, quindi, rientrare le indagini strettamente connesse dal punto di vista oggettivo e finalistico al fatto illecito per cui è stato disposto il mezzo di prova delle intercettazioni. La diversità del procedimento deve, infatti, assumere un rilievo di carattere sostanziale. In tal senso, si veda, ex multis, Corte Cass. pen., Sez. VI, sentenza 16 marzo 2004, in Guid dir., n. 33/2004, p. 82.
[3] Legge 23 giugno 2017, n. 103- Modifiche al Codice penale, al codice di procedura penale e all’ordinamento penitenziario, al sito: https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2017/07/4/17G00116/sg
[4] F. Cassibba, La circolazione delle intercettazioni tra “archivio riservato” e “captatore informatico”, in O. Mazza (a cura di), Le nuove intercettazioni, Giappichelli, Torino, 2018, p. 166.
[5] Corte Cass., pen., Sez. V, ordinanza 13 marzo 2019, n. 11160.
[6] La questione che, in concreto, aveva occupato la Sezione rimettente prendeva avvio dall’intervento di una  doppia conforme di condanna a carico di un appartenente alle Forze Armate per i reati di peculato e di falso, emersi grazie alle intercettazioni che erano state legittimamente disposte dal GIP nei confronti di altri soggetti, in una diversa vicenda avente ad oggetto un’ipotesi di reato incentrata sull’utilizzazione indebita di notizie.
[7] Sull’esame specifico della norma, si veda L. Filippi, Intercettazione, in P. Ferrua- E. Marzaduri- E. G. Spangher (a cura di), La prova penale, Giappichelli, Torino, 2013, pp. 926 ss..
[8] In tal senso Corte Cost., sentenza 23 luglio 1991, n. 366, al sito: http://www.giurcost.org/decisioni/1991/0366s-91.html. Già in tale occasione la Consulta ha considerato che: “l’art. 15 della Costituzione – oltre a garantire la “segretezza” della comunicazione e, quindi, il diritto di ciascun individuo di escludere ogni altro soggetto diverso dal destinatario della conoscenza della comunicazione – tutela pure la “libertà” della comunicazione: libertà che risulterebbe pregiudicata, gravemente scoraggiata o, comunque, turbata ove la sua garanzia non comportasse il divieto di divulgazione o di utilizzazione successiva delle notizie di cui si è venuti a conoscenza a seguito di una legittima autorizzazione di intercettazioni al fine dell’accertamento in giudizio di determinati reati”.
[9] Corte Cass. pen., Sez. VI, sentenza 15 novembre 2012, n. 46244, rv. 254285.
[10] In tal senso, tra le altre, Corte Cass. pen., Sez. VI, sentenza 1° marzo 2016, n. 21740, Masciotta, Rv.
266921; Corte Cass. pen., Sez. VI, sentenza 17 giugno 2015, n. 27820, Morena, Rv. 264087.
[11] Così, ad esempio, Corte Cass. pen., Sez. VI, sentenza 4 ottobre 2012 n. 49745 Sarra Fiore; in senso contrario al menzionato orientamento, si veda Corte Cass. pen., Sez. VI, sentenza 21 febbraio 2018, n. 19496, che evidenzia come l’art. 270 c.p.p. faccia riferimento alla diversità fra procedimenti, non fra reati e, dunque, l’ipotesi del reato non oggetto di intercettazione e scoperto proprio grazie a quest’ultima, esulerebbe dalla portata applicativa della fattispecie.
[12] In tal senso, può richiamarsi Corte Cass. pen., Sez. VI, sentenza 15 novembre 2012, n. 46244, cit., per cui il procedimento è da considerarsi identico quando: “tra il contenuto dell’originaria notizia di reato, alla base dell’autorizzazione, e quello dei reati per cui si procede vi sia una stretta connessione sotto il profilo oggettivo, probatorio o finalistico”.
[13] In tal senso, si veda Corte Cass. pen., Sez. VI, sentenza 16 dicembre 2014 n. 6702, in CED Cass. n. 262496.
[14] Corte Cass. pen., Sez. VI, ordinanza 13 febbraio 2019, n. 11160, al sito: http://www.giurisprudenzapenale.com/wp-content/uploads/2019/04/cass-pen-ord-2019-11160.pdf
[15] Corte Cass. pen., Sez. Un., sentenza 2 gennaio 2020, n. 51 (data del deposito), al sito: http://www.giurisprudenzapenale.com/wp-content/uploads/2020/01/cass-pen-ssuu-2019-51.pdf
[16] Si veda il punto 8 del considerato in diritto della sentenza n. 51/2020, cit..
[17] S. Parziale- C. M. Cova, Le Sezioni Unite sulla disciplina di utilizzazione delle intercettazioni in altro procedimento: il divieto ex art. 270, co. 1, c.p.p. non opera nel solo caso in cui fra i reati contestati nei due procedimenti sussista un rapporto di connessione ex art. 12 c.p.p., in Giur. Pen., 2016, p. 5.
[18] M. Mannucci, Prime osservazioni alla sentenza della Cassazione Sezioni Unite Penali n. 51 del 28.11.2019 depositata il 2.1.2020, in Giur. Pen., 26 gennaio 2020.  Ove si considera che la menzionata conseguenza della decisione delle Sezioni Unite, oltre a contraddire con il principio della non disposizione della prova, potrebbe danneggiare anche il diritto alla libertà di comunicazione ex art. 15 Cost.; infatti, una volta arrecato un danno al menzionato diritto personale, per il tramite un provvedimento autorizzativo, legittimamente disposto, relativo a un reato che consente le intercettazioni, non si comprende quale sia l’esigenza che induce a ritenerle inutilizzabili solo per la prova di reati connessi che a loro volta siano compresi nell’elenco dell’art. 266 c.p.p..
[19] Punto 11.2 del considerato in diritto della sentenza n. 51/2020, cit..
[20] Punto 11.1 del considerato in diritto della sentenza n. 51/2020, cit..
[21] Punto 12 del considerato in diritto della sentenza n. 51/2020, cit.
[22] Ciò è espressamente riconosciuto dai Giudici di Piazza Cavour ove affermano che la soluzione al quesito a loro rimesso vada ricercata: “sul terreno dell’interpretazione sistematica e guardando alla ratio del divieto e ai principi costituzionali di cui è espressione” (punto 9 del considerato in diritto della sentenza n. 51/2020, cit..).

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