Le intercettazioni e l’idea dei captatori informatici

Le intercettazioni e l’idea dei captatori informatici

Sommario: 1. Premessa – 2. Nozione giuridica di intercettazione – 3. Le intercettazioni e i principi costituzionali – 3.1. La tutela del domicilio – 4. La tutela sovranazionale: normativa europea e la Convenzione dei diritti dell’uomo e le garanzie minime

 

1. Premessa

Negli ultimi decenni si è sentito parlare sempre più spesso di intercettazioni, un termine sempre più utilizzato, e che, di conseguenza, è ormai entrato a far parte della nostra vita quotidiana. Questo lavoro prende spunto dall’ingresso dell’informatica nella vita quotidiana di ciascuno.

Si sono venuti a creare però alcuni aspetti potenzialmente problematici a livello di interesse collettivo, sia sotto il profilo giuridico, sia sotto il profilo pratico. In una realtà come quella odierna, letteralmente invasa da intercettazioni, tramite l’uso sconsiderato che i mezzi di comunicazione di massa hanno fatto delle nuove tecnologie, e così, sacrificando il legittimo diritto alla privacy. Tema che ha acceso un dibattito di ampio respiro, c’è chi ritiene che il diritto alla riservatezza debba “sopperire” di fronte all’interesse della collettività.

Tale fenomeno risulta di estrema rilevanza per il processo penale, in quanto gli strumenti elettronici sono in grado di registrare un numero elevatissimo di informazioni che possono rivelarsi estremamente utili all’interno dello stesso.

Il presente lavoro è dedicato ad un excursus evolutivo del concetto di intercettazione, fino ad arrivare nello specifico ad analizzare la categoria delle intercettazioni, con i relativi profili di vantaggi e criticità.

Vi è poi una attenzione specifica dedicata allo strumento investigativo noto come captatore informatico, cd. trojan. I “sistemi informatici di controllo da remoto” sono diventati indispensabili in qualsiasi tipologia di indagine, sostituendo di fatto i tradizionali mezzi di ricerca della prova. Alla luce di delle peculiarità di tale mezzo, ovverosia della sua intrusività nella sfera intima dell’individuo che nasce l’esigenza di trovare un corretto equilibrio tra le esigenze connesse all’accertamento del fatto, in nome della difesa sociale, e la tutela dei diritti fondamentali degli individui coinvolti in tale accertamento.

L’intervento del Legislatore nostrano, con il c.d. D.D.L. “Orlando”, recante “Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e all’ordinamento penitenziario”, presentato dal Ministro della giustizia Orlando, precisamente, il Titolo IV conferisce una delega al Governo per la riforma del processo penale e dell’ordinamento penitenziario e, in materia di intercettazioni, fissa principi e criteri per garantire la riservatezza delle comunicazioni e per ridefinire le spese per le intercettazioni. La prospettiva abbracciata dall’elaborato è stata quella per cui la digital forensics che costituisca un’utile risorsa in relazione a quei procedimenti caratterizzate da indagini “a mezzo di captatori informatici”, Una delle esigenze cui si è tentato di dare una risposta è stata quella di fornire un’organizzazione organica della materia che si contrapponesse alla costante frammentarietà degli interventi di carattere legislativo. Muovendosi in tale direzione si è, innanzitutto, avuto modo di delineare, in relazione alle modalità di utilizzo di tali strumenti, sia auspicando una nuova disciplina che tenga conto delle nuove forme di “surveillance” sia analizzando, in via comparativa le soluzioni optate da altre realtà giuridiche.

Sempre partendo dalla considerazione circa l’importanza dell’informatica, si è avuto modo di sottolineare come le operazioni di indagine siano necessarie, ma al contempo non possono essere del tutto indifferenti ed incompatibili con la tutela dei diritti fondamentali dell’uomo. Infatti ormai chiunque affida al proprio smartphone, tablet o altro device elettronico un gran numero di informazioni, molte delle quali di carattere personalissimo, verso le quali non può non immaginarsi una qualche forma di tutela. In relazione a ciò, i beni giuridici che maggiormente rischiano di essere compressi dalla raccolta di materiale probatorio di stampo elettronico sono stati individuati nel diritto alla riservatezza, in quello dell’inviolabilità del domicilio e, infine, in quello alla libertà e segretezza delle comunicazioni. Queste posizioni giuridiche soggettive sono, attualmente, tutelate, come è noto, da un ampio sistema multilivello di garanzie che trovano espressione non solo nella nostra Costituzione ma, oggi, anche nella Convenzione europea dei diritti dell’uomo e nel diritto dell’Unione europea. In questa prospettiva, quello che si è cercato di evidenziare maggiormente è l’imprescindibile ruolo che svolge il rispetto della doppia riserva di legge e di giurisdizione, nella 3 ricerca di un equilibrato bilanciamento tra le opposte esigenze che vengono in gioco nel settore. Infatti, alla luce dell’importanza che rivestono all’interno della Costituzione, della C.e.d.u. e del diritto dell’Unione europea i beni giuridici citati, si è tentato di sottolineare come soltanto la legge, in quanto provvedimento di carattere generale ed astratto, emanato dal Parlamento ed affidato per la sua applicazione alla magistratura, possa definire presupposti, forme e limiti di un’attività potenzialmente idonea a comprimere tali diritti al fine di perseguire gli obiettivi propri del processo penale, ossia l’accertamento in merito alla responsabilità o meno per il fatto di reato da parte dell’imputato. Una volta delineati i confini dei diritti fondamentali rilevanti in relazione alle operazioni di raccolta di elementi probatori di stampo elettronico, si è ripreso il discorso andando ad esaminare l’intervento giurisprudenziale dei Giudici di legittimità, ruolo essenziale esplicato nell’esercizio della funzione nomifilattica, che a mezzo di pronunce degne di nota, hanno consentito, di fatto e prima dello stesso Legislatore, l’utilizzo dei captatori informatici nel processo penale.

In secondo luogo, lo studio è stato approfondito, infatti, si è minuziosamente delineata e descritta l’installazione, captazione e ricezione dei dati nonché l’utilizzo di quest’attività intercettiva nell’ambito del procedimento/processo penale.

Infine, si è giunti ad un’analisi comparativa in materia di intercettazioni, ovvero per comprendere, appieno, le problematiche, le esigenze e le soluzioni possibili. Si è giunti, in conclusione a ritenere l’intervento del Legislatore nostrano una vera e propria “toppa”, disciplina minimalista per nulla sufficiente e soddisfacente. Come qualcuno ha detto annunciato “Urge una legge”, stavolta esaustiva e completa!

2. Nozione giuridica di intercettazione

L’ordinamento giuridico nazionale non conosce una nozione unitaria e precisa di “intercettazione di comunicazioni”.

Per tale ragione, infatti, il termine viene utilizzato per indicare istituti fra loro differenti, per inquadramento sistematico, modalità operative e finalità. Generalmente, si considera intercettazione processuale l’occulta attività di presa di conoscenza del contenuto di una conversazione riservata tra presenti o di una comunicazione inter absentes, con l’uso di strumenti e/o congegni informatici o telematici, operazione effettuata a scopo investigativo dagli organi inquirenti sottoposta a controllo giurisdizionale, preventivo o successivo, ed eseguita mediante strumenti tecnici idonei alla captazione ed alla registrazione in tempo reale del dato comunicativo.

Essa è inserita fra i mezzi di ricerca della prova, e collocata, a livello sistematico, al capo quarto, titolo terzo, del terzo libro del codice di rito, precisamente accanto agli istituti delle ispezioni, delle perquisizioni e dei sequestri, mezzi, con differenze morfologiche, ma accomunati nell’ontologia, ovvero preordinati alla ricerca di fonti di prova rilevanti per il procedimento/processo penale, rappresentando sempre di più una modalità di “approvvigionamento” diretto delle informazioni che consentono di raggiungere risultati interessanti.

Invero, il codice di rito penale non dà alcuna definizione della locuzione «intercettazioni», precisando così solo i limiti di ammissibilità, delle cosiddette “Intercettazioni di conversazioni o comunicazioni”, né tantomeno definita nel sottosistema normativo che mira a regolare il mezzo di ricerca della prova di cui trattasi (artt. 266 – 271 c.p.p.).

Dalla lettura interpretativa si ricava che le intercettazioni sono intese come sinonimo di captazione clandestina di comunicazioni o conversazioni riservate, esperite mediante l’impiego di strumenti tecnologici in grado di vanificare le cautele ordinariamente poste a protezione del carattere privato di queste ultime, effettuate ad opera di terzi, all’insaputa degli interlocutori .

Dalla definizione dedotta risulta essenziale al fine di delineare il perimetro applicativo dell’articolato in esame, distinguere le comunicazioni riservate in forma scritta e quelle attuate in forma diversa dallo scritto; inoltre la differenza tra quelle compiuta con l’ausilio di strumenti tecnici di captazione del suono, «in grado di fissare l’evento comunicazione, per consentirne una prova storica diretta», e quelle attuate per mezzo dell’uomo.

Focalizzando l’attenzione sull’ impiego di strumenti meccanici o elettronici, infatti, si finirebbe per legittimare interferenze nella segretezza delle comunicazioni, anche secondo mezzi e/o strumenti non regolati dalla legge, pur se idonee a procurare al processo contributi conoscitivi rilevanti. Esempio emblematico, è quello dell’agente di polizia giudiziaria, che di nascosto ascolta un dialogo segreto. Tale ricezione, siccome non attuata mediante strumenti tecnici, non dovrebbe costituire una vera e propria «intercettazione», ma allo stesso tempo, risultando interessante ai fini processuali, potrebbe essere utilizzata nel processo per il tramite della testimonianza dell’agente di polizia giudiziaria, priva di garanzia, in assenza della registrazione del contenuto della comunicazione».

Alla luce di ciò, appare opportuno inserire nella nozione di attività di ricezione anche la captazione di comunicazioni segrete pur se espletate in modo clandestino.

Or dunque, a prescindere dall’uso di mezzi, più o meno complessi, di percezione.

La legge processuale tace, circa la natura e la portata del mezzo utilizzato, infatti non esige particolari strumenti o accortezze affinché possa parlarsi di “intercettazione”.

Solo con l’articolo 268, comma 3, del codice di procedura penale vi è menzionato, quale mezzo dell’intercettazione, gli «impianti installati nella procura della Repubblica», ma è innegabile che tale disposizione, ha un ambito di applicazione minimo, dato che non può che avere riguardo alle sole intercettazioni telefoniche, telegrafiche, informatiche e telematiche, non ricomprendendo le intercettazioni di conversazioni inter partes.

Nella prassi, però, tale espressione viene adottata per definire, indistintamente, non soltanto attività tipicamente investigative dunque di natura processuale, ma anche di diritto penale sostanziale.

Il tentativo di giungere ad una nozione vera e propria, tramite una ricerca giurisprudenziale, che miri alla creazione di una definizione specifica e chiara risulta alquanto vana, in quanto scarsa e poco rilevante è l’attenzione del giudice di legittimità, il quale ha preferito il ricorso ad un’accezione a-tecnica, da cui deriva la difficile comparazione e ricostruzione dell’istituto nei due codici di rito.

A rendere tutto ciò ancor più complesso è la continua evoluzione del progresso scientifico che obbliga, al contempo, il legislatore e la giurisprudenza ad adattare il quadro normativo ed interpretativo .

La dottrina ha tentato di delineare la struttura indefettibile dello strumento investigativo, ricorrendo ad una definizione di intercettazione processuale quale mezzo di ricerca della prova consistente nella raccolta occulta e contestuale del contenuto di una conversazione o comunicazione tra soggetti, anche nella forma di flusso comunicativo informatico o telematico, come previsto dall’art. 266-bis del codice di rito, mediante modalità obiettivamente idonee allo scopo, con intromissioni clandestine che superano il normale livello di percezione umana, operate da soggetti terzi, con apparecchiature e /o mezzi in grado di fissarne l’evento e tali da vanificare le cautele ordinariamente poste a protezione del carattere riservato dell’atto dialogico.

Caso emblematico è quello degli operatori di polizia giudiziaria i quali captano presso i propri uffici, le conversazioni intercorse tra gli indagati ai fini dell’accertamento di fattispecie criminose. Tale attività di captazione, non essendo riconducibile ad alcun modello giuridicamente previsto, viene espletata in assenza di una regolare ed idonea autorizzazione e, dunque, senza alcun controllo da parte dell’autorità giudiziaria. Tale tecnica investigativa, non è per nulla, analoga o simile allo strumento delle intercettazioni in quanto per l’interlocutore che ha dato il consenso all’utilizzo della pratica appare tutt’altro che occulta, o clandestina. La giurisprudenza ha, tuttavia, sostenuto che debba, comunque, applicarsi la disciplina di cui agli artt. 266 ss c.p.p.

Simile è, anche, il caso del cd. “agente segreto attrezzato per il suono” ovvero colui che, in accordo con la polizia giudiziaria, sia dotato, munendosi di appositi strumenti di registrazione e ricezione al fine di acquisire quante più informazioni possibili dall’indagato, ovviamente ad insaputa dello stesso.

In queste circostanze la scelta investigativa punta sul coinvolgimento, partecipazione, recte consenso di una terza persona consenziente, con il preciso intento di trarre in inganno l’interlocutore ignaro di tutto ciò che sta accadendo.

3. Le intercettazioni e i principi costituzionali

Le intercettazioni costituiscono uno dei mezzi più pericolosi nelle mani degli organi inquirenti, per molteplici ragioni, per prima perché consentono l’acquisizione di dati ed informazioni in uno stato di totale insaputa ed inconsapevolezza dell’interessato.

Per tale motivo, infatti, la legge prevede una serie di garanzie, assurte a livello costituzionale e non solo, al fine di tutelare l’interessato da questa particolare e potente forma di invasione della sfera privata.

Le intercettazioni, istituto che, secondo alcuni è incompatibile con la nostra Carta Costituzionale e secondo altri no , non può non essere vagliato e confrontato con l’articolo 15 della Costituzione italiana, il quale sancisce che: «La libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione sono inviolabili. La loro limitazione può avvenire soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria con le garanzie stabilite dalla legge».

Così recita, a protezione della libertà e segretezza delle comunicazioni – definite «inviolabili» –, l’art. 15 Cost. la libertà de qua non va intesa come una «sottospecie» della libertà di manifestazione del pensiero. Infatti, è pacifico che l’oggetto di tutela della predetta disposizione costituzionale, in particolare, è qualsiasi forma di comunicazione, potendo il soggetto titolare del relativo diritto scegliere liberamente il mezzo di corrispondenza.

Occorre, in via preliminare, analizzare gli elementi che caratterizzano la comunicazione di cui all’art. 15 Cost. secondo il quale la comunicazione deve essere indirizzata ad uno o più soggetti determinati o determinabili – e nella attualità – la natura privata e personale del messaggio permane anche dopo il recapito della comunicazione da parte del destinatario.

In questa prospettiva, le garanzie dell’art. 15 Cost. si estendono alle comunicazioni tra presenti, a quelle attuate mediante segni convenzionali o simbolici, infine, a quelle attuate sia mediante i tradizionali mezzi di trasmissione a distanza.

Libertà e segretezza delle comunicazioni, pur costituendo aspetti strettamente connessi, presentano profili distinti.

Infatti, limitazioni della libertà possono non tradursi in violazioni della segretezza. Secondo parte della giurisprudenza, infatti, la libertà di comunicazione non può subire alcuna restrizione, se non in ragione di un inderogabile ed inviolabile interesse primario costituzionalmente rilevante, ovvero quello della prevenzione e repressione dei reati.

Invero, non va, mai dimenticato che è dovere del legislatore ordinario assicurare un livello minimo standard di garanzie.

Standard minimo di garanzie che ha preso forma e spessore tramite l’operazione della Consulta , la quale ha indicato, in modo sempre più puntuale, i profili di tutela cd. irrinunciabili.

E’, così, emersa la necessità di procedere ad un contemperamento degli interessi costituzionali contrapposti – da un lato la segretezza delle comunicazioni e dall’altro l’esigenza di repressione penale, considerando che devono, sempre, sussistere concrete e gravi esigenze di giustizia .

Or dunque, la sussistenza di fondati motivi di ritenere che il mezzo istruttorio, in concreto, consenta di acquisire utili elementi investigativi determinandone a priori la durata della limitazione della segretezza, senza mai dimenticare dell’onere di assicurare la legittimità del provvedimento che tale limitazione autorizza.
Infine, devono essere assicurate la segretezza dei risultati probatori, sia la corretta e valida utilizzazione, ovvero ponendo l’attenzione esclusivamente alla parte di materiale rilevante e pertinente all’imputazione, alle acquisizioni istruttorie ottenute, ottenendo e assicurando la precisa e specifica identificazione dei soggetti conversanti, ponendo l’accento sui luoghi e sui lassi temporali della comunicazione intercettata.

Diversamente dalla libertà personale e dall’inviolabilità del domicilio, recte dagli articoli 13 e 14, l’art. 15 della Costituzione non prevede poteri di limitazione della libertà di comunicazione, neppure provvisori o temporanei, frutto di una scelta consapevole e ponderata del Costituente .

Scelta del tutto innovativa, basti pensare che il codice di procedura penale del 1913, come noto, consentiva agli ufficiali di polizia giudiziaria, nell’esercizio delle proprie funzioni servizio, di «accedere agli uffici telefonici per intercettare o impedire comunicazioni, od assumerne cognizione» (art. 170 comma 3 c.p.p. 1913).

Identico, o comunque molto simile, il testo originario del codice di rito del 1930 stabiliva che gli ufficiali di polizia giudiziaria, «per i fini del loro servizio», potevano accedere agli uffici o impianti telefonici di pubblico servizio «per trasmettere o intercettare o impedire comunicazioni, prenderne cognizione o assumere informazioni» (art. 226 comma 3 c.p.p. 1930).

Vi è però da dire, che le limitazioni alla libertà di comunicazione possono essere esperite con maggiore facilità rispetto a restrizioni della libertà personale e domiciliare, ciò giustificato dalla minore rilevanza pubblica rispetto ai citati artt. 13 e 14 –, ma va anche precisato che, dette limitazioni possono comportare compressioni della sfera giuridica di soggetti estranei, basti pensare al mittente o destinatario, a seconda dei casi, quali soggetti ignari del tutto della vicenda che giustifica l’interferenza pubblica.

Per queste ragioni in dottrina si è esclusa la fondatezza della teoria che porta ad un’interpretazione estensiva dell’art. 15, comma 2, Cost. creata al fine di equiparare tale disposizione a quella di cui all’art. 13 Cost..

A conferma di ciò, l’art. 15 Cost. pone a salvaguardia della libertà e segretezza delle comunicazioni una duplice riserva, di legge e di giurisdizione .

In ordine alla prima essa è assoluta, ovvero la Costituzione affida unicamente alla legge il compito di disciplinare la materia, imponendo così al legislatore di stabilire i «casi» nei quali libertà e segretezza delle comunicazioni possono essere limitate, con l’onere di definire gli scopi della misura limitativa.

L’incompatibilità del predetto istituto con la norma fondamentale del nostro ordinamento giuridico sta nel fatto, secondo molti, che il codice di rito, nel consentire le intercettazioni, non apponga alcun rigoroso limite, né oggettivo né soggettivo.

Sotto il primo profilo, infatti, il codice di procedura penale non costruisce un’adeguata struttura di tale strumento istruttorio, limitandosi solo a descrivere lo stesso, in termini di extrema ratio, cui ricorrere unicamente laddove altri mezzi di ricerca della prova non abbiano prodotto effetti. Ma a rendere tutto ancor più pericoloso è senz’altro, il consentire senza alcuna cautela le captazioni a reati di particolare gravità, consentendole anche con riferimento a crimini di modesta rilevanza ed allarme sociale.

La normativa in esame non impone alcun esame circa proporzionalità tra sacrificio richiesto della segretezza delle comunicazioni e le necessarie esigenze di repressione, non prescrivendo in nessun modo al giudice di stare attenti a cagionare la minore lesione possibile del bene costituzionalmente protetto, al contrario sembra che il legislatore abbia lasciato un importante margine di discrezionalità alla figura del giudice.

Quanto alla riserva di giurisdizione, preme evidenziare come i giudici costituzionali abbiano affermato la necessità che l’atto dell’autorità giudiziaria sia sorretto da adeguata e specifica motivazione, idonea a dimostrare la concreta sussistenza di esigenze istruttorie. A tal proposito, la Consulta ha, con una serie di pronunce a partire dagli anni ’70, precisato che «nel nostro sistema, la compressione del diritto alla riservatezza delle comunicazioni telefoniche […] si attua sotto il diretto controllo del giudice, il quale nelle proprie valutazioni deve tendere al contemperamento dei due interessi costituzionali protetti, onde impedire che il diritto alla riservatezza […] venga ad essere sproporzionatamente sacrificato dalla necessità di garantire una efficace repressione degli illeciti penali».

Inoltre, in dottrina, si è sottolineato che il testo letterale della norma costituzionale, nella parte in cui parla genericamente di «autorità giudiziaria», debba ritenersi, in modo pacifico, che solo l’organo giurisdizionale sia abilitato a limitare libertà e segretezza delle comunicazioni.

3.1. La tutela del domicilio

La Costituzione italiana, entrata in vigore il 1° gennaio del 1948, inserisce nell’art. 14 Cost. l’inviolabilità del domicilio, introducendolo al primo comma. L’inviolabilità configura il diritto di ciascuno a godere di una sfera di autonomia privata, protetta da qualsiasi interferenze da parte di altri soggetti.

Ma cosa vuol dire domicilio ?

Il dettato costituzionale, non fornisce una definizione di domicilio, nella prassi, sempre più spesso lo si definisce come un luogo fondamentale per l’individuo, nel quale egli conduce la propria vita privata, dunque si è cercato di delimitare un ambiente protetto, nel quale l’individuo possa esprimersi e sviluppare la sua identità, protetto dalle interferenze esterne.

La stessa Costituzione nel secondo comma, dell’art. 14, afferma che il diritto all’inviolabilità del domicilio può essere limitato – tramite atti tassativamente indicati quali: le perquisizioni, le ispezioni e i sequestri, precisando però che ciò è possibile – solo «nei casi e nei modi stabiliti dalla legge», con atto motivato dell’autorità giudiziaria; introducendo così una riserva assoluta di legge ed una riserva di giurisdizione.

Proprio come si era già detto con riferimento alla libertà di segretezza delle comunicazioni. Dunque solo la legge può stabilire quando, come e per quali ragioni la libertà di domicilio possa essere sacrificata; e solo l’autorità giudiziaria può decidere di sottoporre l’individuo a tale sacrificio, con l’emanazione di un provvedimento motivato.

Dato il rinvio operato dal secondo comma dell’art. 14 alle garanzie costituzionali della libertà personale, si conferiscono, in casi eccezionali di necessità ed urgenza, all’autorità di pubblica sicurezza poteri importanti, come l’adozione di provvedimenti provvisori limitativi dell’inviolabilità del domicilio, che devono essere successivamente comunicati, entro quarantotto ore, all’autorità giudiziaria, per l’eventuale convalida, da parte di questa, nelle seguenti quarantotto ore.

Infine, al terzo comma dell’art. 14 Cost. il legislatore costituente ha inserito una riserva di legge rinforzata, rinviando a leggi speciali in materia di accertamenti ed ispezioni per casi particolari che riguardano la sicurezza, la sanità e la fiscalità. La mancata indicazione dei mezzi di perquisizioni e sequestri, secondo alcuni essi sarebbero da escludere, secondo altri l’elenco non avrebbe carattere tassativo.

Poiché le intercettazioni non sono menzionate nel secondo comma dell’art. 14 Cost., la Corte costituzionale, in passato, aveva escluso che le intercettazioni ambientali potessero attuarsi anche attraverso la limitazione della libertà domiciliare. Successivamente, però poi, la stessa Corte ha considerato che l’art. 14 comma 2 Cost. un elenco tassativo , rilevando che, al momento della redazione della Costituzione, non esistevano strumenti tali da lasciar anche solo immaginare possibili limitazioni della libertà domiciliare.

4. La tutela sovranazionale: normativa europea e la Convenzione dei diritti dell’uomo e le garanzie minime

Il diritto alla vita privata ha negli anni acquisito fondamentale rilevanza, tanto da essere riconosciuto e tutelato in numerosi accordi di diritto internazionale . L’art. 8 C.e.d.u. garantisce ad ognuno il «diritto al rispetto della sua vita privata e familiare, del suo domicilio e della sua corrispondenza»; affermando a chiare lettere che in tale sfera non ci può essere alcuna ingerenza o interferenza, se non prevista dalla legge, dunque essa è dotata di riserva di legge convenzionale.

La vita privata dell’individuo è stata oggetto negli anni di un’interpretazione evolutiva da parte della Corte e.d.u., che ha definito come la sfera nella quale ogni persona deve realizzare il proprio sviluppo e la propria personalità, e dunque, in altre parole al fine di garantire questo diritto è necessario vietare qualsivoglia ingerenza, come ad esempio il divieto di procedere a perquisizioni domiciliari, fuori dei casi riconducibili all’art. 8, paragrafo 2 Convenzione dei diritti dell’Uomo.

Questo dettato normativo rafforza e mira ad imporre ulteriori vincoli al legislatore ordinario. Si può, quindi, dire che l’esigenza di stabilire un punto di equilibrio, armonia tra la tutela della riservatezza e l’utilizzo delle intercettazioni affonda le sue radici nella Costituzione, come si è già detto, ma anche nella C.e.d.u. e nelle pronunce della Corte di Strasburgo.

L’affermazione del diritto alla riservatezza, e dunque il diritto del soggetto di non subire ingerenze pubbliche è stata maggiormente sentita con l’entrata in vigore della Convenzione europea del 1950, che dedica un intero articolo, recte, l’art. 8 al diritto alla riservatezza . Il diritto alla riservatezza garantito dall’art. 8 si trasforma nel diritto a non subire intercettazioni illegittime. La Corte di Strasburgo, in virtù di un principio consolidato secondo il quale l’intercettazione di conversazioni, e-mail e comunicazioni via internet, l’acquisizione dei dati esterni alle comunicazioni, la sorveglianza strategica e la sorveglianza via GPS, costituiscono ingerenze nel diritto al rispetto della vita privata e della corrispondenza, richiede espressamente che le norme che regolano le intercettazioni siano sufficientemente chiare, dettagliate nel loro contenuto e facilmente accessibili e conoscibili: i privati devono essere in grado di capire i casi in cui un’intercettazione possa essere disposta e le modalità di esecuzione.

La Corte e.d.u., al pari della Consulta ha stabilito una serie di requisiti minimi indefettibili, ovvero, essenziali per ritenere legittima, lecita, valida l’intercettazione, ossia compatibile con la necessaria e concreta protezione della privacy.

Invita il legislatore ad occuparsi, con tutta la diligenza, accortezza ed attenzione del caso, alla previsione normativa di una intercettazione, descrivendo minuziosamente le persone sottoponibili a intercettazione; definendo la natura dei reati che possono dar luogo a tale strumento; predeterminando la fissazione di un termine massimo per la durata delle intercettazioni; individuando le modalità di redazione dei verbali; ancora delineando tutte le necessarie precauzioni relative sia alla trasmissione integrale delle registrazioni e sia alle circostanze di eventuale cancellazione o distruzione delle bobine; ed infine non per importanza perimetrare le garanzie per la tutela della privacy, quantomeno degli interlocutori casualmente intercettati, ovvero, estranei alla vicenda oggetto di indagine.

La Corte di Strasburgo, ha elaborato, dunque, una serie di precetti e vincoli per il legislatore interno, ovvero far sì che l’organo che dispone le intercettazioni debba essere indipendente; prevedendo un rigoroso e rigido controllo giudiziario, o di altro organo indipendente, sull’attività di autorizzazione. In altre parole elabora dei veri e propri parametri di legittimità delle ingerenze derivanti dalle intercettazioni le quali sono legittime solo se giustificate in base ai parametri indicati nell’ articolo 8 § 2 CEDU, cioè la legalità, la legittimità dell’obiettivo perseguito, la necessità e la proporzionalità

Sfogliando il codice di rito ci si rende immediatamente conto che l’articolo 267 c.p.p. rispetta il principio dell’equo processo, fornendo adeguate garanzie circa il controllo giurisdizionale e l’obbligo di motivazione. Il legislatore italiano, non ha tenuto conto, però degli altri corollari, delle istruzioni inviate dai giudici di Strasburgo, ponendo in essere così, una disciplina che non soddisfa tutti i requisiti stabiliti. Volendo approfondire il tema, è palese che la disciplina processuale non indica quali sono le categorie di persone da sottoporre ad intercettazione, stabilendo solo requisiti di carattere oggettivo quali i gravi indizi di reato e l’assoluta indispensabilità dell’intercettazione.

Pertanto, tutti, anche i soggetti non sottoposti a procedimento penale, possono essere coinvolti in una intercettazione, con una eclatante violazione della loro privacy.

La tutela della riservatezza viene menzionata per la prima volta nella Carta di Nizza dell’Unione Europea, conosciuta come la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, ove all’articolo 7, stabilisce che «ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e delle sue comunicazioni». Questi diritti, che sono i medesimi previsti dall’art. 8 C.e.d.u., sono strettamente connessi con quelli riconosciuti dal successivo articolo della Carta.

Infatti l’art. 8 della Carta di Nizza tutela i dati di carattere personale; e qualsiasi non corretto trattamento di questi rappresenta un’invasione nella sfera della vita privata.

Tale diritto riceve tutela anche nell’articolo 16 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea e nell’articolo 17 del Patto internazionale sui diritti civili e politici. In particolare, quest’ultimo stabilisce: «nessuno può essere sottoposto ad interferenze arbitrarie od illegittime nella sua vita privata, nella sua famiglia, nella sua casa o nella sua corrispondenza, né a illegittime offese al suo onore e alla sua reputazione».

Il diritto internazionale non solo riconosce spazio e tutela al diritto alla riservatezza, ma afferma anche l’importanza e la necessità di attuare un complesso dei sistemi di controllo idoneo ed efficace, che sia adeguato ai complicati flussi di comunicazione degli utenti dei servizi di telecomunicazione all’interno di uno Stato, giungendo addirittura a parlare di attuare un filtro tramite motori di ricerca, attività svolta per fini di prevenzione del terrorismo, dando applicazione alla sorveglianza strategica a condizione tutto sia regolato nel dettaglio e nello svolgimento e infine nell’uso dei dati raccolta.


Salvis Juribus – Rivista di informazione giuridica
Direttore responsabile Avv. Giacomo Romano
Listed in ROAD, con patrocinio UNESCO
Copyrights © 2015 - ISSN 2464-9775
Ufficio Redazione: redazione@salvisjuribus.it
Ufficio Risorse Umane: recruitment@salvisjuribus.it
Ufficio Commerciale: info@salvisjuribus.it
***
Metti una stella e seguici anche su Google News
The following two tabs change content below.

avv. Consiglia Cefaliello

Articoli inerenti