Le riforme della prescrizione in ambito penale, una normativa in divenire

Le riforme della prescrizione in ambito penale, una normativa in divenire

Il nostro ordinamento giuridico al fine di garantire la certezza del diritto ha ideato l’istituto della prescrizione. Esso esprime l’incidenza dello scorrere del tempo sulle vicende giuridiche. Tale istituto può operare sia come causa di estinzione del reato se, decorso un certo lasso di tempo, non interviene una sentenza definitiva sia come causa di estinzione della pena se la stessa rimane ineseguita a seguito di un giudizio ormai concluso.

La prescrizione della pena, nello specifico, è la rinuncia dello Stato a far valere la propria pretesa punitiva e comporta un’estinzione della punibilità in concreto.

In virtù delle novità normative che si sono succedute negli ultimi anni, la prescrizione assume oggi come mai prima una rilevanza centrale nei giudizi penali.

Negli ultimi diciotto anni si sono succeduti quattro importanti interventi di riforma: l’originario impianto del 1930 è stato una prima volta modificato con L. 251/2005 (ex Cirelli). Questa legge ha inciso significativamente sull’istituto modificando le modalità di calcolo dei tempi di prescrizione, abbandonando il sistema a scaglioni del Codice Rocco, si introducevano tempi di prescrizione differenziati in base alla pena edittale prevista dal codice per ciascun reato e veniva introdotta anche la possibilità di allungare i tempi in caso di recidiva o in presenza di dichiarazione di abitualità o professionalità nel reato.

Più recentemente, con L. 103/2017 (Riforma Orlando) il legislatore è intervenuto nei rapporti tra vicenda estintiva e processo: affermando che il corso della prescrizione si sospendeva anche a seguito della condanna di primo e secondo grado, così da ottenere un allungamento dei termini di prescrizione e favorire il raggiungimento di una decisione nel merito.

La L. 3/2019 (Riforma Bonafede) ha abrogato le disposizioni sulla sospensione introdotte poco più di un anno prima e ha profondamente innovato la disciplina prevedendo un blocco della prescrizione dopo la sentenza di primo grado anche se di assoluzione o dopo il decreto penale di condanna. La stessa legge ha modificato il calcolo della prescrizione in caso di reato continuato ove il termine di decorrenza diveniva il giorno in cui è cessata la continuazione. Le novità introdotte nel 2019 sono entrate in vigore dal primo gennaio 2020, pertanto, le novità legislative si applicano solamente ai reati commessi dopo la loro entrata in vigore mentre per i reati commessi anteriormente a tale data rimane operante la normativa previgente.

Tuttavia, la dottrina ha segnalato evidenti problematiche che non possono vedere tale ultima riforma quale punto fermo della nuova disciplina dell’istituto. La dottrina ha creduto che “limitatamente ai fatti commessi dopo l’entrata in vigore della l. n. 3/2019 e prima dell’entrata in vigore delle disposizioni relative alla prescrizione del reato, si può forse quanto meno porre in dubbio la possibilità di invocare il principio di cui all’art. 2, c. 4, c.p., che si fonda sull’esigenza di garantire la prevedibilità della legge penale più sfavorevole” esprimendo il timore che taluni, accompagnati dalla consapevolezza dell’entrata in vigore di una legge più severa, abbiano calcolato di commettere determinati reati in via anticipata augurandosi di poter essere prosciolti negli eventuali e successivi giudizi di impugnazione. Il quadro normativo si presentava già nel 2019 fluido e in divenire.

Da ultimo, in attuazione della Riforma Cartabia del processo penale sono stati effettuati degli interventi in materia di cause di sospensione, che, peraltro, possono incidere in maniera significativa nel tentativo di allungamento dei termini processuali.

La sospensione della prescrizione determina un congelamento temporaneo del termine di prescrizione, che smette di decorrere dal momento in cui si verificano determinati fatti, e in seguito, riprende a decorrere nel momento in cui tali fatti cessano. Con la precedente riforma Bonafede la prescrizione rimaneva sospesa sino al passaggio in giudicato della sentenza che definiva il processo e cessava di decorrere in maniera definitiva con la pronuncia del decreto di condanna o con l’assoluzione in primo grado. Ora, viene abrogato quanto disposto nel 2019: la sentenza di primo grado sospendeva la prescrizione sino alla conclusione del processo.

Inoltre, viene introdotta la c.d. cessazione della prescrizione che realizza da un punto di vista pratico lo stesso effetto, ossia: dopo la sentenza di primo grado – sia di condanna sia di assoluzione- (ma non dopo decreto penale di condanna) il corso della prescrizione cessa definitivamente. Viene, in definitiva, abbandonato l’atteggiamento di una sospensione sine die.

Nulla è stato intaccato circa l’interruzione della prescrizione: istituto in base al quale si azzera la decorrenza dei termini riavvolgendo in un certo senso il nastro dei termini da zero.

In seguito alla Riforma Cartabia anche l’improcedibilità ha subito delle modifiche interessanti. In particolare, è stata introdotta una nuova causa nell’art. 344-bis c.p.p. per evitare il rischio, che intervenuta la sentenza di primo grado e pertanto, una volta cessato il corso della prescrizione, l’imputato possa rimanere intrappolato nei gradi successivi per troppo tempo.

I giudizi di Appello e Cassazione devono concludersi entro tempistiche prestabilite a pena dell’improcedibilità dell’azione penale e, più praticamente, la chiusura del processo. I tempi stabiliti dal D.lgs. 250/2022 sono rispettivamente due anni decorrenti dal novantesimo giorno successivo alla scadenza dei termini di deposito della sentenza nel grado precedente, e un anno, con identica decorrenza.

L’improcedibilità può essere rinunciata dall’imputato ma ciò non si applica a tutti i reati, per esempio rimangono esclusi quelli la cui pena-base prevede l’ergastolo.

Poiché le novità anzidette avranno rilevanti ripercussioni sul piano pratico, è in vigore un regime transitorio sino al dicembre 2024 affinché le Corti riescano ad adeguarsi, il quale prevede che i termini sopra descritti siano aumentati di tre anni per l’appello e un anno per il ricorso per Cassazione. In caso di processi particolarmente complessi e delicati è possibile che i termini di cui sopra possano essere prorogati di un anno per il primo e sei mesi per il secondo. Possono essere disposte secondo o successive proroghe ma soltanto per i reati più gravi (mafia, terrorismo, eversione, taluni reati sessuali…).

I termini, invece, possono essere sospesi in casi particolari, come: rinnovazione dell’istruttoria in appello o ricerche dell’imputato. La sospensione viene disposta dal giudice procedente il quale diviene arbitro dei tempi di estinzione del processo. Tale decisione è, in ogni caso, ricorribile per Cassazione e la S.C. deciderà senza la presenza dei difensori delle parti, nelle more il procedimento seguirà il suo corso.

La giustizia penale, ancora una volta, viene gestita tessendo e disfacendo il tessuto normativo con una rapidità che rende tali interventi improvvidi se non dannosi, soprattutto per gli operatori del diritto. L’instabilità di un istituto centrale nelle dinamiche processuali rappresenta un problema fonte di grande disorientamento per tutti coloro che vi si approcciano sia teoricamente sia nella prassi.


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Silvia Mallamaci

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