L’evoluzione e le varie sottocategorie del danno terminale

L’evoluzione e le varie sottocategorie del danno terminale

Sommario: 1. Premessa – 2. Il concetto racchiuso nell’espressione ‘apprezzabile lasso di tempo’- 3. Risarcibilità del danno, iure hereditatis e iure proprio

 

1. Premessa

Per danno terminale si intende quel danno derivante dalle lesioni mortali riportate, liquidabile iure proprio alla vittima del fatto illecito, sempre che la morte avvenga dopo un apprezzabile lasso di tempo[1]. Questa categoria di danno come le relative sottocategorie – danno biologico terminale e danno da lucida agonia – derivano da una lunga ed minuziosa elaborazione giurisprudenziale. La stessa[2], infatti, ha portato ad escludere la risarcibilità del danno agli eredi del de cuius, deceduto immediatamente o in un brevissimo lasso di tempo a seguito dell’evento, perché si ritiene che la morte del soggetto giuridico, nello stesso momento in cui sorgerebbe il diritto risarcitorio, ne bloccherebbe la nascita in capo allo stesso e di conseguenza anche in capo agli eredi; ma si può sempre ricorrere al c.d. danno terminale o da lucida agonia, il quale legittimerebbe una richiesta di risarcimento danni a fronte della sofferenza derivante dalla consapevolezza dell’imminente morte, negli ultimi giorni di vita[3]. Dunque, mentre il danno tanatologico è adibito a tutelare il bene vita[4] – non salute – e non fa sorgere direttamente un diritto al risarcimento trasferibile agli eredi, quest’ultimo potrebbe sorgere sulla base sia della figura del danno terminale[5], quando la morte è avvenuta dopo un apprezzabile lasso di tempo tale da rendere concreta la consapevolezza di dover morire, ma anche eventualmente, sulla base del danno biologico terminale e del danno da catastrofe, ovvero quando l’evento lesivo genera, nel tempo antistante la morte, un’inabilità totale o una grave sofferenza psichica.

Il tema del risarcimento di queste tipologie di danno è ancora dibattuto in dottrina e non presenta unanimità neanche nella giurisprudenza di merito, ragion per cui per rendere meno difficoltoso l’approccio a tale materia e a porre fine al periodo di anarchia decisionale dei giudici di merito, interviene l’Osservatorio del Tribunale di Milano[6], nel 2018, elaborando delle tabelle risarcitorie del danno terminale, per rendere uniforme l’operato dei giudici nazionali.

Si rende comunque noto che dall’analisi di alcune relazioni elaborate in occasione della XIII Assemblea Nazionale degli Osservatori sulla Giustizia Civile[7] emerge che i problemi e i dubbi da sciogliere sono ancora molti, soprattutto in relazione all’allegazione delle prove, alle modalità di liquidazioni dei danni e di personalizzazione del danno, soprattutto per quanto riguarda il danno da premorienza e da morte.

2. Il concetto racchiuso nell’espressione ‘apprezzabile lasso di tempo’

Ricollegandoci concetto di danno terminale summenzionato, si può notare che non essendoci alcun parametro certo per la sua valutazione, si creano inevitabilmente delle difformità nell’ambito della giurisprudenza di merito. La S.C. si è limitata ad affermare quando poteva riconoscersi un risarcimento, fornendo il parametro ‘dell’apprezzabile lasso di tempo’ in cui il soggetto è stato cosciente della sua morte imminente a seguito dell’evento determinante. Tale parametro però non è risultato particolarmente utile in termini pratici in quanto indefinito dal punto di vista materiale[8], anche se la Cassazione[9] ha statuito che il risarcimento danni deve essere riconosciuto anche alla luce del dettato costituzionale (ex. art. 2 Cost.), in quanto, dopo aver accertato l’esistenza di tale lasso di tempo di coscienza (anche se si dovesse trattare di poche ore) della propria morte imminente, nel rispetto del diritto alla dignità della persona, gli eredi hanno diritto al riconoscimento di una somma a titolo di danno non patrimoniale.

Lo scopo di tale intervento era in primis, quello di chiarire che in caso di morte immediata non si creano affatto i presupposti di un danno biologico e in secundis di fare chiarezza sulla terminologia utilizzata, infatti, la S. C: precisa che “- le espressioni “danno terminale”, “danno tanatologico”, “danno catastrofale” non corrispondono ad alcuna categoria giuridica, ma possono avere al massimo un valore descrittivo, e neanche preciso;

– il danno da invalidità temporanea patito da chi sopravviva quodam tempore ad una lesione personale mortale è un danno biologico, da accertare con gli ordinari criteri della medicina legale, e da liquidare avendo riguardo alle specificità del caso concreto;

– la formido mortis patita da chi, cosciente e consapevole, sopravviva quodam tempore ad una lesione personale mortale, è un danno non patrimoniale, da accertare con gli ordinari mezzi di prova, e da liquidare in via equitativa avendo riguardo alle specificità del caso concreto.[10]

Per molto tempo, appunto, si era fatta una gran confusione tra tutte queste forme di danno di creazione giurisprudenziale, infatti, “per il cd. danno tanatologico, indicato in termini di danno morale terminale o da lucida agonia o catastrofale o catastrofico (Cass. Sez. Un. 11/11/2008 n. 26772; Cass. Sez. Un. 11/11/2008 n. 26773), subito dalla vittima, assume rilievo il criterio dell’intensità della sofferenza provata (Cass. 20/8/2015 n. 16993; Cass. 8/4/2010 n. 8360; Cass. 23/2/2005 n. 3766; Cass. 1/12/2003 n. 18305), a prescindere dall’apprezzabile intervallo di tempo tra lesioni e decesso della vittima.

Nella diversa ipotesi di morte cagionata dalla lesione, quando (…) tra le lesioni colpose e la morte intercorra un “apprezzabile lasso di tempo” (…), viene ritenuto risarcibile il danno biologico terminale (Cass. 28/8/2007 n. 18163), e “per il tempo di permanenza in vita” (Cass. 16/5/2003 n. 7632) in quanto “sempre esistente”, per effetto della “percezione”, anche – non cosciente”, della gravissima lesione dell’integrità personale della vittima nella fase terminale della sua vita (Cass. 28/8/2007, n. 18163) ed il diritto di credito al relativo risarcimento viene ritenuto quindi trasmissibile jure hereditatis (Cass. 23/2/2004 n. 3549; Cass. 01/2/2003, n. 18305; Cass. 16/6/2003 n. 9620; Cass. 14/3/2003 n. 3728; Cass. 2/4/2001 n. 4783; Cass. 10/2/1999 n. 1131; Cass. 29/9/1995 n. 10271).

É stato altresì affermato che il danno biologico terminale, quale pregiudizio della salute, anche se temporaneo è massimo nella sua entità ed intensità (Cass. 23/2/2004 n. 3549) in quanto conduce a morte un soggetto in un sia pure limitato ma apprezzabile lasso di tempo (Cass. 23/2/2005, n. 3766)”[11].

Per dovere di completezza, il danno biologico terminale – definito dalla stessa giurisprudenza di legittimità come sottocategoria del danno terminale e ammesso solo in assenza di decesso immediato – è stato ufficialmente riconosciuto grazie alle tabelle dell’Osservatorio del Tribunale di Milano, di cui si accennava in premessa.

Con tale documento venivano fornite le linee guida per le liquidazioni del danno non patrimoniale derivante dalla lesione del bene salute definito da premorienza, per la liquidazione del danno terminale, per la quantificazione del risarcimento derivante da diffamazione a mezzo stampa e ex art. 96, c.3, c.p.c.; il tutto con lo scopo di dare un indirizzo unitario a tali valutazioni in via equitativa, evitando squilibri ed eccessive divergenze. Dunque, in questo modo sono statti prefissati una serie di criteri, brevemente riassunti come segue:

– Unitarietà e onnicomprensività: lo scopo è principalmente quello di garantire un’omogeneità valutativa a livello nazionale ma anche e soprattutto evitare duplicazioni risarcitorie dato che il genus danno terminale contiene al suo interno anche le fattispecie di danno biologico terminale e danno catastrofale;

– Coscienza: il danno terminale può essere riconosciuto e dunque risarcito solo dopo aver provato che il soggetto aveva realizzato la sua imminente morte a seguito dell’evento lesivo, in grado di andare a risarcire la sofferenza provata nell’avvertire coscientemente l’ineluttabile approssimarsi della propria fine[12];

– Durata limitata: facendo propria la posizione della giurisprudenza prevalente, si afferma che il tempo che deve intercorrere tra l’evento lesivo e la morte deve essere tale da consentire al soggetto di realizzare che il suo decesso sarà imminente;

– Intensità decrescente, personalizzazione e decorrenza: come risulta dagli studi di medicina legale, il danno terminale si riduce con il passare del tempo per cui nelle tabelle di ci si discute è riportato un calcolo percentuale decrescente, ferma la possibilità di personalizzare detti valori dopo una serie di giorni, in base alla situazione del caso concreto.

3. Risarcibilità del danno, iure hereditatis e iure proprio

In presenza di tali tipologie di danno, vi è un ulteriore distinzione da fare al momento della qualificazione del danno risarcibile. È possibile distinguere tra:

– danni risarcibili iure hereditatis; riguardano il danneggiato dall’evento lesivo che ne ha poi cagionato la morte e può trasmettersi tramite successione agli eredi. Questa categoria è stata oggetto di non poche difficoltà interpretative e diatribe dottrinali. Si presupponeva che avendo il risarcimento una funzione riparatoria, con la morte del danneggiato veniva meno anche la fonte legittimante del risarcimento, non trasferibile iure successionis per va dell’estinzione intervenuta, ma la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che tranne nei casi di morte istantanea[13], è riconoscibile un diritto al risarcimento trasmissibile agli eredi, nello specifico, quando trascorre un lasso di tempo sufficiente a permettere un consolidamento del danno subito antecedentemente al decesso, in tal caso il danneggiato ha diritto al risarcimento del danno biologico e lo stesso, si trasmette in favore degli eredi. La S. C. però, è intervenuta recentemente a chiarire i limiti di tale risarcibilità, affermando che il danno biologico trasmissibile agli eredi, consistente nei postumi invalidanti che hanno caratterizzato la durata concreta del periodo di vita del danneggiato dall’evento lesivo fino alla morte[14].

– danni risarcibili iure proprio agli eredi: sono quei danni cagionati direttamente alle c.d. vittime secondarie per la loro vicinanza al danneggiato principale, si parla, infatti, di danni riflessi o indiretti. Per quanto riguarda il tema che ci occupa del danno tanatologico, quando non sussiste l’apprezzabile lasso di tempo richiesto per rendere viva la percezione dell’imminente morte nel danneggiato principale, la S.C. ha escluso la risarcibilità del danno, per estinzione del diritto derivante dal decesso istantaneo – o quasi – del titolare del diritto. Questa circostanza, però, legittima gli eredi a richiedere il risarcimento del danno non patrimoniale derivante dalla sofferenza causata della perdita del congiunto.


[1] Cass. sent. n.1530/2015
[2] SS. UU., sent. 15350/2015
[3] Cass., sent. n. 26727/2018
[4] Ed è definibile come la morte di una persona, causata dall’altrui fatto illecito, quando il momento del decesso corrisponde a quello all’azione dannosa (sempre in presenza di nesso di causalità tra evento e danno). Tale categoria di danno, detto anche danno da perdita della vita, consistente dunque nella lesione di un bene giuridicamente protetto – vita e non salute – di rango primario, la cui tutela è azionabile a prescindere dalla materiale durata dell’infermità dell’individuo.
[5] Ex multis, Cass., sent. n. 20915/2016; Cass., sent. n. 15395/2016; Cass. Sent. n. 13198/2015; Cass. Sent. n. 23183/2014
[6] Osservatorio sulla Giustizia civile del Tribunale di Milano, 14.03.2018 ha approvato le nuove “Tabelle per la liquidazione del danno non patrimoniale derivante da lesione all’integrità psicofisica e della perdita – grave lesione del rapporto parentale e i relativi criteri” (aggiornati al 2018, tenendo conto degli indici Istat).
[7] XIII Assemblea Nazionale degli Osservatori sulla Giustizia Civile – Reggio Emilia 8-10 Giugno 2018 – LE REGOLE DEL DIRITTO TRA AUTONOMI PRIVATA, ADR E PROCESSO – Gruppo 2: Prassi condivise su liquidazione, oneri di allegazione e prova in tema di danno alla persona
[8] Fissato convenzionalmente in massimo cento giorni dall’Osservatorio del Trib. di Milano nel 2018.
[9] Cass., sent. n. 26727/2018
[10] Cass. ord. n. 32372/2018
[11] Così: Cass. sent. n. 6691/2018
[12] Cfr., Cass., 16993/2015; Cass. 8360/2010; Cass. 3766/2005; Cass. 18305/2003.
[13] Cass., sent. n. 14259/2011
[14] Cass., sent. n. 22451/2017

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