L’evoluzione giurisprudenziale del dolo eventuale. Il caso ThyssenKrupp

L’evoluzione giurisprudenziale del dolo eventuale. Il caso ThyssenKrupp

L’art. 43 c.p. riconosce nel dolo, nella preterintenzione e nella colpa i criteri di imputazione soggettiva del reato, distinguendoli, rispettivamente, in ragione della previsione e volizione del fatto criminoso da parte dell’agente, della causazione di un evento più grave di quello voluto e della mancanza dell’elemento volitivo dell’evento, in quanto derivante da negligenza, imprudenza, imperizia ovvero ad inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline.

Dalla lettura della norma si evince, dunque, come l’imputazione dolosa – che chiaramente implica una maggiore rimproverabilità della condotta da parte dell’ordinamento – consta del duplice coefficiente rappresentativo e volitivo, intesi, rispettivamente, come conoscenza effettiva di tutti gli elementi rilevanti del fatto concreto e come risoluzione o decisione di realizzarli, a pena di esclusione della punibilità a titolo di dolo. Non a caso, la disposizione di cui all’art. 47 c.p. espressamente sancisce come l’errore sul fatto, derivante da un’alterata percezione sensoriale o da un’erronea interpretazione di una norma giuridica o sociale, escluda la punibilità, salvo che il fatto sia preveduto dalla legge come delitto colposo.

L’individuazione degli strumenti di accertamento dell’elemento psicologico del reato ha, da sempre, suscitato ampi dibattiti dottrinali e giurisprudenziali, in ragione, soprattutto, delle difficoltà pratiche di ricostruire meccanismi soggettivi che attengono ad una sfera tipicamente “emotiva”.

In particolare, ciò che ha maggiormente interessato il mondo giuridico è stata la necessaria individuazione della linea di discrimine tra le figure del cd. dolo eventuale e della cd. colpa cosciente o colpa con previsione dell’evento.

Il dolo cd. eventuale o di terzo grado o indiretto costituisce l’ultimo stadio di intensità del dolo, che si affianca alle ulteriori figure classificatorie del dolo intenzionale (caratterizzato dalla volontà del soggetto attivo di realizzare l’evento criminoso, in cui la rappresentazione e la volizione del fatto di reato sono indirizzate all’integrazione di tutti gli elementi costituitivi della fattispecie penale) e del dolo diretto (in cui l’agente si rappresenta, con certezza od alta probabilità, la verificazione dell’evento cui la condotta è finalizzata).

Nell’opinione tradizionale, l’istituto del dolo eventuale viene ricondotto all’ipotesi in cui il soggetto attivo non persegua la realizzazione del fatto tipico (come nel dolo intenzionale) né si rappresenti come certa tale realizzazione (come nel dolo diretto), ma accetti il rischio del verificarsi dell’evento in ragione dei vantaggi potenzialmente derivanti dalla condotta. In altri termini, pur di non rinunciare all’azione, “mette in conto” – come seriamente possibile – l’esistenza dei presupposti della condotta ovvero il verificarsi dell’evento come conseguenza di quest’ultima.

Così delineata, la teoria dell’accettazione del rischio consente anche di distinguere la responsabilità dolosa dalla responsabilità per colpa nella sua forma aggravata: infatti, come anticipato, la figura del dolo eventuale rappresenta il confine con l’elemento soggettivo della colpa con previsione dell’evento o cd. colpa cosciente.

I due criteri di imputazione della responsabilità condividono la circostanza della previsione dell’evento, con la differenza che, mentre nel dolo eventuale l’evento stesso è accettato nella sua possibile verificazione (“agisco ad ogni costo”), nella colpa cosciente, l’agente, seppur rappresentandosi l’evento stesso, ritiene per superficialità, per leggerezza o perché sopravvaluta le proprie capacità – appunto, per colpa – che lo stesso non si verificherà nel caso concreto. Infatti, il soggetto che agisce in colpa cosciente confida nella propria abilità di evitarlo ovvero nell’intervento di fattori esterni ed ulteriori che impediscano il verificarsi di conseguenze dannose.

Dei rapporti tra dolo eventuale e colpa cosciente, nella prospettiva della teoria dell’accettazione del rischio, si è, costantemente, occupata la giurisprudenza (sia di legittimità che di merito), con particolare attenzione alle vicende di morte o lesioni conseguenti al contagio del virus da HIV derivante da rapporti sessuali non protetti ed alla casistica in materia di circolazione stradale.

La Corte di Cassazione, aderendo alla teoria di accettazione del rischio, ha, infatti, stabilito che “il criterio distintivo di gran lunga prevalente si fonda sul cosiddetto criterio di accettazione del rischio; si sarebbe quindi in presenza di un dolo eventuale, quando l’agente, pur non volendo l’evento, accetta il rischio che si verifichi come risultato della sua condotta, comportandosi anche a costo di determinarlo, mentre risponderebbe a titolo di colpa aggravata – colpa cosciente – l’agente che, pur rappresentandosi l’evento come possibile risultato della propria condotta, agisca nella ragionevole speranza che esso non si verifichi” (Cass. Pen., n. 44712/2008), ovvero, più specificamente, “agisca confidando, erroneamente, sulla propria capacità di controllare l’azione; di talchè non può, in nessun modo, ritenersi che l’evento sia stato voluto dal soggetto agente” (Cass. Pen., n. 13083/2009).

A tali conclusioni è giunta anche la dottrina maggioritaria, la quale, individuando l’accettazione del rischio come comun denominatore del dolo eventuale e della colpa cosciente, ha precisato come ciò che diverga sia la fisionomia di tale accettazione: nel caso della colpa cosciente, il rischio è stato accettato per imprudenza, negligenza o imperizia, mentre dà luogo ad imputazione a titolo di dolo, seppur eventuale, l’accettazione del rischio a seguito di un bilanciamento, ad opera del soggetto agente, tra gli interessi perseguiti con la condotta e quelli, per così dire, “sacrificabili” dalla condotta stessa.

Il caso ThyssenKrupp

La posizione assunta dalla giurisprudenza e dalla dottrina circa i rapporti tra dolo eventuale e colpa cosciente, interpretati alla luce della teoria dell’accettazione del rischio, subisce un ridimensionamento ad opera delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, a seguito della nota tragedia nella società Thyssenkrupp.

La vicenda giudiziaria ha avuto origine dal fatto storico dell’incendio verificatosi all’interno degli stabilimenti di acciaieria di Torino della società multinazionale Thyssenkrupp, nel quale persero la vita sette operai dipendenti.

Dalle risultanze probatorie del giudizio di merito, è emerso come la causa del disastro fosse causalmente riconducibile alla cattiva manutenzione e gestione degli impianti e delle tubazioni, nonché alla carenza di adeguata pulizia degli stessi, che aveva determinato il fenomeno del cd. flash fire (confermato anche dagli esiti peritali nel corso di procedimento). Alcuni testimoni hanno riferito anche di un pregresso episodio incendiario nel reparto di laminazione adibito a lavorazioni effettuati con olio di raffreddamento, già oggetto di un separato procedimento penale.

E’ stato dimostrato come la degradazione del luogo di lavoro avesse costituito una quasi inevitabile conseguenza di specifiche scelte aziendali, operate in ragione di un imminente trasferimento (reso pubblico dalla Thyssen Krupp AST in data 7 giugno 2007) degli impianti di Torino negli stabilimenti di Terni, a favore del quale sarebbero state impiegate tutte le risorse disponibili. Si legge, infatti, nella sentenza di primo grado che “qui interessa la ricostruzione – storico-temporale – della decisione di trasferire la produzione da Torino a Terni, chiudendo lo stabilimento di Torino: si deve ritenere infatti che proprio il rinvio, negli anni, della già assunta decisione abbia comportato la indicata carenza di investimenti e, più in generale, di attenzione dei dirigenti verso lo stabilimento di Torino, causando lo stato di degrado sviluppatosi negli ultimi anni di esercizio, con un’accelerazione dalla primavera del 2007 (subito prima e subito dopo l’annuncio ufficiale della decisa “dismissione”)”.

A ciò si aggiunga l’accertata omessa predisposizione di cautele destinate a prevenire disastri o infortuni sul lavoro, tanto che gli stessi dipendenti erano sforniti di abbigliamento ignifugo e di guanti di protezione e privi di adeguata preparazione a fronteggiare eventuali incidenti.

In tale prospettiva, la Corte d’Assise di Torino, con sentenza del 14.11.2011, ha condannato l’amministratore delegato di ThyssenKrupp Terni S.p.Aper  alla pena di anni 16 e mesi 6 di reclusione per i delitti di omicidio volontario plurimo, incendio doloso e omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro aggravata dall’evento, unificati dal vincolo della continuazione, ai sensi degli artt. 81 cpv, 575, 423 e 437, comma 2 c.p.; nei confronti degli altri cinque coimputati (tra dirigenti ed amministratori), il giudice di primo grado ha riconosciuto una responsabilità penale di tipo colposo, condannandoli per le speculari fattispecie di natura colposa aggravate dalla previsione dell’evento ex artt. 589, commi 1, 2 e 3, 449 in relazione all’art. 423 e 437, comma 2 c.p.

La pronuncia di primo grado della Corte d’Assise costituisce espressione dell’orientamento tradizionale, che identifica, nella teoria di accettazione del rischio, lo strumento di accertamento del dolo eventuale.

Ed infatti, viene precisato che “la giurisprudenza di legittimità individua il fondamento del dolo indiretto o eventuale nella rappresentazione e nell’accettazione, da parte dell’agente, della concreta possibilità, intesa in termini di elevata probabilità, di realizzazione dell’evento accessorio allo scopo seguito in via primaria. Il soggetto pone in essere un’azione accettando il rischio del verificarsi dell’evento, che nella rappresentazione psichica non è direttamente voluto, ma appare probabile. In alti termini, l’agente, pur non avendo avuto di mira quel determinato accadimento, ha tuttavia agito anche a costo che questo si realizzasse, sicché lo stesso non può non considerarsi riferibile alla determinazione volitiva (Sez. Un. 12/10/ 1993, n. 784; Sez. Un. 15/12/1992; Sez. Un. 12/10/1993, n. 748; Sez. Un. 14/2/1996, n. 3571; Sez. I, 12/11/1997, n. 6358; Sez. I, 11/2/1998, n. 8052; Sez. I, 20/11/1998, n. 13544; Sez. V, 17/1/2005, n. 6768; Sez. VI, 26/10/2006, n. 1367; sez. I, 24/5/2007, n. 27620; Sez. I, 29/1/2008, n. 12954).Si versa, invece, nella forma di colpa definita ‘cosciente’, aggravata dall’avere agito nonostante la previsione dell’evento (art. 61 n. 3 c.p.), qualora l’agente, nel porre in essere la condotta nonostante la rappresentazione dell’evento, ne abbia escluso la possibilità di realizzazione, non volendo né accettando il rischio che quel risultato si verifichi, nella convinzione, o nella ragionevole speranza, di poterlo evitare per abilità personale o per intervento di altri fattori”.

Così opinando, è quindi giunta a riconoscere, in capo all’amministratore delegato, la sussistenza del dolo eventuale, essendo stata dimostrata la riconducibilità dei fatti alle omissioni di quest’ultimo, in ragione della piena consapevolezza dei disagi avvertiti dai dipendenti, delle condizioni in cui gli stessi versavano e della totale carenza di cautele all’uopo necessarie.

Come anticipato, il sistema – fino a quel momento pacifico – di accertamento del dolo eventuale ed il contestuale criterio interpretativo di distinzione dello stesso dalla colpa cosciente, viene messo in discussione nella sentenza di secondo grado.

La Corte d’Assise d’Appello di Torino, nel grande stupore dell’opinione pubblica, riqualifica i fatti addebitati all’amministratore delegato in termini di responsabilità colposa, con ogni conseguenza in ordine al trattamento sanzionatorio.

In particolare, il secondo giudice censura la sentenza di primo grado nella parte in cui ha attribuito all’imputato una responsabilità dolosa, senza una ponderata valutazione del momento volitivo, ossia degli effettivi obiettivi che lo stesso intendeva perseguire “ad ogni costo”: Suggerisce la Corte d’Appello come, in realtà, sarebbe stata necessaria una ponderazione degli interessi concretamente da soddisfare da parte dell’amministratore e quelli da sacrificare nel raggiungimento dello scopo, aggiungendo che, laddove questa indagine fosse stata svolta, avrebbe integrato una responsabilità di tipo prettamente colposo.

A sostegno di una simile conclusione, la Corte fornisce una più corretta interpretazione della figura del dolo eventuale, ritenendo insufficiente, al fine del suo accertamento, la mera consapevolezza, in capo all’agente, del rischio di verificazione dell’evento.

Pertanto, ritiene come non possa essere la previsione dell’evento a differenziare i due istituti del dolo eventuale e della colpa cosciente, dovendosi indagare sull’esistenza o meno della volizione: in tale ottica, la previsione dell’evento si identifica unicamente come strumento offerto al Giudice per accertarla.

Infatti, si precisa espressamente come al Giudice sia attribuito il compito di verificare, nel caso concreto, e dunque alla luce di tutti gli elementi probatori rilevanti, se l’agente, rappresentandosi l’eventualità di determinare l’evento, non avrebbe agito diversamente anche nella certezza di causarlo. Verificare cioè se egli avrebbe comunque perseverato nella sua condotta.

Valorizzando, quindi, il momento volitivo del dolo – comunque richiesto dall’art. 43 c.p., anche se trattasi della forma più lieve di dolo eventuale – la Corte ha ritenuto di dover equiparare, dal punto di vista dell’elemento soggettivo, la posizione dell’amministratore delegato a quella degli altri imputati.

Si assiste al definitivo arresto della vicenda da parte delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (sentenza n. 38343/2014), le quali, confermando le conclusioni addotte dalla Corte d’Assise d’Appello di Torino, aggiungono diverse precisazioni.

Nello specifico, le Sezioni Unite ritengono come, nel dolo (seppur eventuale), non possa mancare la puntuale, chiara conoscenza di tutti gli elementi del fatto storico propri del modello legale descritto dalla norma incriminatrice, così che l’evento debba essere descritto in modo caratterizzante e come tale debba essere oggetto, di chiara, lucida rappresentazione. In altri termini, nel dolo eventuale, ciò che l’agente accetta non si identifica nel rischio di verificazione dell’evento, nella situazione di pericolo, ma nell’evento stesso, previsto e “messo in conto” in tutti i suoi elementi costitutivi.

E’, quindi, l’adesione allo specifico evento che assurge a presupposto cognitivo di configurazione dell’atteggiamento di scelta d’azione antigiuridica, tipica di tale forma d’imputazione soggettiva, l’accertamento della quale è principalmente subordinato agli esiti di un giudizio controfattuale, mediante cui è possibile ritenere che l’agente non si sarebbe astenuto dal compiere il fatto neanche laddove avesse avuto la certezza della verificazione dell’evento non voluto.

A tale “rivisitata” fisionomia del dolo eventuale si è conformata anche la giurisprudenza successiva (oggi divenuta costante e consolidata), che, nelle più varie fattispecie, ha interpretato la natura della responsabilità penale dell’imputato proprio in ossequio ai dettami delle Sezioni Unite del 2014.


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