L’illegittimità delle immagini di persone in manette: l’ammonimento da parte del Garante della Privacy

L’illegittimità delle immagini di persone in manette: l’ammonimento da parte del Garante della Privacy

In data 25 ottobre 2019 su un sito internet riconducibile ad un noto gruppo editoriale, venivano diffuse immagini ritraenti due soggetti che, posti in stato di fermo in relazione ad un fatto di cronaca avvenuto il giorno antecedente a quello della diffusione, apparivano ripresi in evidente stato di costrizione fisica (nello specifico, manette ai polsi).

Alla medesima data, l’Autorità Garante della Privacy disponeva in via d’urgenza nei confronti del gruppo editoriale, nonché titolare, la misura della limitazione provvisoria del trattamento riferita ad ogni ulteriore diffusione, anche on-line, delle immagini aventi le caratteristiche sopra individuate o di altre eventuali immagini analoghe riconducibili al medesimo titolare, in quanto prive di adeguate misure volte a circoscrivere la visibilità di dettagli non essenziali da reputarsi lesivi della dignità dei soggetti ripresi.

Detto provvedimento veniva poi ratificato dall’Autorità in data 31.10.2019.

In data 25 febbraio 2020, attraverso una nota, l’Autorità comunicava al titolare, sulla base delle risultanze emerse e in assenza di ogni risposta da parte di quest’ultimo, l’avvio del procedimento per l’eventuale adozione di provvedimenti correttivi e sanzionatori per la diffusione dei soggetti ripresi in evidente stato di costrizione fisica, contestando, vieppiù, l’invio il mancato invio di note da parte del titolare a seguito del provvedimento di limitazione provvisoria.

In data 27 maggio 2020, per tutta risposta, il titolare, chiedendo di essere ascoltato dall’Autorità, rappresentava, in primis, che la mancata risposta alla comunicazione del 25 ottobre 2019, era da ricondursi ad un errore interno involontario e accidentale; in secondo luogo, essendosi accorto dell’errore, in data 25.2.2020 aveva provveduto a rimuovere le immagini definite comunque corrette in quanto oggetto di una procedura di pixellatura volta ad impedire la visione delle manette.

Ad ulteriore difesa, il titolare sosteneva la vasta risonanza dell’episodio anche a livello nazionale, ove le immagini avevano formato oggetto di una diffusione tramite video pubblicato dall’Arma dei Carabinieri e comunque, pur ritraendo l’arresto dei due giovani accusati, non presentavano elementi visivi di violenza o particolare drammaticità tali da poter costituire una lesione alla dignità dei soggetti ritratti o ledere la sensibilità del lettore.

Pertanto, la scelta del titolare del trattamento di procedere alla pubblicazione delle immagini risulterebbe giustificata dalle prevalenti ragioni di interesse pubblico connesse con la peculiarità della vicenda in esame e pertanto rispettosa dei principi di correttezza e liceità previsti dalla normativa sulla privacy.

Tanto premesso, durante l’audizione svoltasi il 30 luglio 2020, il gruppo editoriale chiedeva l’archiviazione del procedimento attivato a proprio carico, ritenendo non sussistenti, nel caso in specie, gli estremi di una violazione della disciplina rilevante in materia di protezione dei dati personali.

Nonostante quanto sopra sostenuto, l’Autorità riteneva di non modificare le valutazioni espresse in via preliminare nella comunicazione del 25 ottobre 2019, sulla base delle seguenti normative:

– Per quanto attiene il Codice della Privacy, l’art. 137, comma 3, prevede che in caso di diffusione o di comunicazione di dati personali per finalità giornalistiche, il diritto di cronaca deve essere contenuto entro il limite dell’essenzialità dell’informazione riguardo ai fatti di interesse pubblico;

– In relazione al codice di procedura penale, l’art. 144, comma 6-bis, vieta espressamente la pubblicazione dell’immagine di persona privata della libertà personale ripresa mentre si trovava sottoposta all’uso di manette ai polsi: la pubblicazione è consentita solo se la persona interessata presta il proprio consenso.

– Infine, in merito alle regole contenute nel codice deontologico dei giornalisti, l’art. 8 impone al giornalista di non fornire notizie, né pubblicare immagini che possano ledere la dignità della persona, salvo il limite delle informazioni c.d. essenziali: difatti, si sarebbe potuta considerare essenziale la pubblicazione di una foto che ritraesse l’arresto in manette, qualora fosse stato necessario documentare la commissione di abusi nell’arresto, circostanza, questa, che nel caso in specie non era accaduta.

Su tale ultimo aspetto, emerge quanto disposto dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 7261/2008 che si era occupata proprio del rapporto tra interesse pubblico all’informazione e rispetto dei diritti della persona sottoposta ad arresto, in relazione alla pubblicazione su un quotidiano della foto di una persona ritratta durante il suo arresto.

Il Supremo collegio, nella succitata sentenza, aveva subordinato la legittimità della pubblicazione al rispetto del limite dell’essenzialità per illustrare il contenuto della notizia e alla adozione di tutte le cautele necessarie alla salvaguardia della dignità della persona, come previsto dall’art. 8 del codice deontologico dei giornalisti.

Facendo applicazione delle prefate normative nonché della pronuncia della Cassazione, il Garante disponeva nei confronti del gruppo editoriale, a cui faceva capo il sito internet, il divieto di ulteriore trattamento delle immagini oggetto del presente procedimento o di altre immagini analoghe ad esso riconducibili, in quanto prive di misure adeguate al fine di escludere la visibilità di dettagli non essenziali da reputarsi lesivi della dignità dei soggetti ripresi, quali lo stato di costrizione (manette ai polsi) in cui essi si trovavano, eccettuata la mera conservazioni per eventuali fini giudiziari, oltre a disporre l’invio del provvedimento al Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Giornalisti.

L’Autorità ordinava poi il pagamento dalla somma di € 20.000,00 da parte del titolare a titolo di sanzione amministrativa pecuniaria, oltre ad un’ingiunzione di pagamento ulteriori € 20.000,00 in caso di mancata definizione della controversia.


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