L’omissione di cure al cane malato costituisce reato?

L’omissione di cure al cane malato costituisce reato?

La Suprema Corte di Cassazione, nella recentissima sentenza n. 22579 del 23 maggio 2019, esamina le possibili ripercussioni penali dell’incuria dell’animale domestico, gravemente malato. Nella fattispecie, un uomo di 42 anni negava le cure veterinarie necessarie alla propria cagnolina, nonostante fosse in pessime condizioni di salute. Difatti, veniva ritrovata dagli operatori del canile in stato di abbandono e sofferenza, dovuto a “vari tumori mammari di grosse dimensioni e ulcerati – dermatite in varie zone del corpo – calli da decubito e artrosi agli arti posteriori ed anteriori”.

Secondo la Corte di Appello di Bologna, il comportamento dell’uomo, cagionando terribili sofferenze al cane, integra il reato di maltrattamento di animali, e, in riforma della sentenza di primo grado, lo condanna al pagamento di € 10.000,00 di multa.

Tale fattispecie criminosa, inizialmente disciplinata come contravvenzione ai sensi dell’articolo 727 del codice penale, con la legge n. 189/2004 diviene un delitto, previsto e punito dall’articolo 544 ter c.p., al fine di garantire, con un inasprimento del trattamento sanzionatorio, una maggiore tutela del benessere e della salute degli animali. Risponde di maltrattamento chiunque realizzi una delle condotte tassativamente enucleate dalla predetta norma: abbiamo, da un lato, la sottoposizione a sevizie, fatiche insopportabili per le caratteristiche etologiche dell’animale e la somministrazione di sostanze stupefacenti o vietate (cosiddetti “reati di mera condotta”); dall’altro, la sottoposizione a trattamenti che procurano un danno alla salute degli animali e la produzione, per crudeltà o senza necessità, di una lesione (o meglio “reati d’evento”). Per quanto attiene all’elemento soggettivo, il delitto in questione si configura come un reato a dolo generico, se la condotta lesiva dell’integrità dell’animale sia tenuta senza necessità, e a dolo specifico, qualora essa sia tenuta per crudeltà (Cass., Pen., sentenza n. 38789/15; Cass., Pen., sentenza n. 26368/11; Cass., Pen., sentenza n. 24734/10; Cass., Pen., sentenza n. 44822/07).

Proprio la sussistenza dei presupposti tipici del reato di maltrattamento viene posta in discussione dalla difesa dell’uomo, che ricorre in Cassazione, lamentando violazione di legge e contraddittorietà della motivazione della sentenza di secondo grado. Mancherebbe, nella fattispecie, l’elemento psicologico doloso, ossia la coscienza e volontà di cagionare al cane una lesione senza alcuna necessità. Il “cattivo” padrone, in effetti, si è limitato unicamente all’omissione di cure all’animale, una semplice “trascuratezza” che potrebbe rappresentare, tuttalpiù, una colpa, tant’è che, a sua difesa, la perizia del veterinario dimostra che il cane fosse ben nutrito. Anche la configurabilità dell’elemento oggettivo del reato in questione è di per sé censurabile, dal momento che la condotta omissiva dell’uomo non ha cagionato alcuna lesione all’animale.

La Cassazione, tuttavia, ritiene che tali argomentazioni giuridiche siano del tutto infondate. Come già evidenziato dalla Corte di Appello, il totale disinteresse dell’imputato per le condizioni di salute del cane costituisce un comportamento doloso, seppur di tipo eventuale, in quanto la condizione dell’animale era oggettivamente riscontrabile. Il ricorrente, in effetti, con la sua condotta omissiva, ha accettato il rischio dell’aggravarsi della patologia, tanto da rendere doveroso un immediato intervento chirurgico.

Per lesione, nel reato in questione, deve intendersi un’apprezzabile diminuzione dell’originaria integrità dell’animale che, pur non risolvendosi in un vero e proprio processo patologico e non determinando una menomazione funzionale, sia comunque diretta conseguenza di una condotta volontaria commissiva ed omissiva (Cass. Pen., sentenza n. 32837 del 27 giugno 2013). Dunque, è evidente che, per aversi un maltrattamento, non è necessario cagionare una malattia all’animale, ma è sufficiente, semplicemente, esporlo a  sofferenze fisiche. Se è pur vero che la massa tumorale non è stata cagionata dalla condotta del ricorrente, è altrettanto vero, però, che l’omissione di cure ne ha determinato il suo aggravarsi, comportando per l’animale un terribile supplizio.

Considerato che il protrarsi di una malattia già preesistente, con il suo aggravamento, configura le lesioni di cui all’art. 582 c.p. (Cass. Pen., sentenza n. 22156 del 26 maggio 2016), la Cassazione arriva a sostenere che anche il dolore patito per l’accentuarsi di una patologia, non adeguatamente curata, rientri nel novero delle lesioni rilevanti ex art. 544 ter del codice penale.

In sostanza, viene sancita una nuova massima di diritto, secondo cui:

«Configura la lesione rilevante per il delitto di maltrattamento di animali, art. 544 ter, in relazione all’art. 582, cod. pen., l’omessa cura di una malattia che determina il protrarsi della patologia con un significativo aggravamento fonte di sofferenze e di un’apprezzabile compromissione dell’integrità dell’animale».

Ancora una volta, la giurisprudenza mira ad assicurare il rispetto e la cura degli animali, considerati non più una “res” dell’uomo, bensì quali esseri viventi capaci di provare emozioni e sentimenti. Non sempre, però, chi possiede un amico così speciale riesce a comprenderne l’importanza: il senso di supremazia, talvolta, acceca l’essere umano al punto tale da indurlo a compiere delle vere e proprie atrocità nei confronti di tutte quelle creature più deboli, che non appartengono alla sua specie. Infliggere dolore per il semplice gusto di farlo è veramente inaccettabile e sarebbe doveroso avere maggior riguardo per la vita di tutti gli esseri viventi. Come sosteneva Charles Darwin, la compassione e l’empatia per il più piccolo degli animali è una delle più nobili virtù che un uomo possa ricevere in dono.


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