Maltrattamenti e abusi sessuali avverso donne incinte. La nuova decisione della Cassazione

Maltrattamenti e abusi sessuali avverso donne incinte. La nuova decisione della Cassazione

Il presente contributo intende analizzare  una recente sentenza della Cassazione penale, in particolare la sent. nr. 12806/2023 con cui i giudici sono tornati a pronunciarsi sul reato di maltrattamenti in famiglia e di violenza sessuale commessi nei confronti di donne in stato di gravidanza.

Prima di analizzare la vicenda a riguardo, appare opportuno soffermarsi sull’analisi dei reati di maltrattamenti in famiglia e  di violenza sessuale.

In particolare il reato di maltrattamenti in famiglia è previsto e punito dall’art.572 c.p. Il bene giuridico tutelato consiste nella salvaguardia del legame giuridico che intercorre fra persone appartenenti alla medesima famiglia con conseguente tutela psico-fisica del patrimonio morale, della libertà, del decoro del soggetto passivo del reato.

Trattasi di un reato proprio in quanto può essere commesso solo da una persona della famiglia avverso il coniuge, il convivente o una persona sottoposta alla sua autorità o a lui affidata per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia o per l’esercizio di una professione o di un’arte.

Quanto all’elemento oggettivo si ritiene che per la configurazione del reato il maltrattamento ossia l’atto lesivo avverso  la persona (fisico o morale) debba essere reiterato ossia debba protrarsi nel tempo, ed è proprio in relazione alla reiterazione dei singoli atti che ci si pone il problema di individuare la natura giuridica di tale reato, che secondo la Cass. è quella di reato necessariamente abituale in quanto <<i fatti lesivi dell’integrità fisica o psichica del soggetto passivo devono integrare nel loro complesso una condotta di sopraffazione sistematica e programmata tale da rendere la convivenza particolarmente dolorosa>>.

Quanto all’elemento soggettivo si ritiene che ai fini della configurabilità del delitto in questione debba sussistere un dolo generico ossia la consapevolezza e la volontà dello agente di infliggere una serie di sofferenze alla vittima del reato mediante una pluralità di episodi di aggressione. Questo reato è procedibile d’ufficio e con l’entrata in vigore del Codice Rosso L.19/2019 nr. 69 sono state inasprite le pene specie se il reato è commesso nei confronti di una donna incinta, alla presenza di un minore o avverso una persona disabile.

In riferimento al reato previsto e punito dall’ art.609 bis c.p. ossia la violenza sessuale va precisato che esso è un reato comune perché può essere commesso  da qualsiasi soggetto; il bene giuridico tutelato è la libertà sessuale, l’ elemento oggettivo ossia la condotta punita può essere duplice, infatti è punibile sia la violenza per costrizione che si realizza impiegando violenza, minaccia o abuso di autorità avverso la persona offesa; tanto la violenza per induzione che si realizza quando si abusa delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa al momento del fatto.

L’elemento soggettivo richiesto ai fini della configurabilità del reato è il dolo generico. Il reato si consuma nel momento in cui si verifica l’atto sessuale, che è definito come quell’atto che <<coinvolge la corporeità sessuale della persona offesa e per la cui sussistenza non rileva il fine per cui è compiuto>>. Il reato è procedibile a querela di parte e la pena è diminuita fino a 2/3 nei casi di minore gravità, è aumentata se il fatto è commesso avverso soggetti minori di età; con uso di armi o di sostanze alcoliche, stupefacenti o narcotiche, da persona travisata o che simuli la qualità di pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio; nei confronti di una donna in stato di gravidanza.

Fatte queste premesse, si precisa che la questione su cui sono stati chiamati a pronunciarsi i giudici di piazza Cavour aveva ad oggetto la richiesta di  condanna che una donna avanzava avverso il marito per aver quest’ ultimo maltrattato la stessa e abusato di lei, costringendola quindi a vivere in casa in un clima di pesante sopraffazione.

Le decisioni del tribunale di primo grado e d’appello avevano condannato l’uomo per i delitti previsti e puniti dall’ art. 572 c.p. e 609 bis c.p.; tuttavia il difensore dell’imputato aveva presentato ricorso in Cassazione per i seguenti motivi:

– con il primo motivo di ricorso il ricorrente lamentava la mancata acquisizione di prove documentali che dimostrassero la sussistenza delle lesioni a seguito del maltrattamento;

– con il secondo motivo di ricorso il ricorrente, in riferimento ai maltrattamenti, riteneva che essi non si fossero verificati, ma che sarebbero stati inventati dalla persona offesa la quale non accettava che il marito avesse richiesto una separazione personale;

– con il terzo motivo di ricorso il ricorrente, in riferimento all’abuso sessuale, riteneva che fossero stati ritenuti sussistenti tali comportamenti abusivi tenuto conto solo del racconto di alcuni episodi di molestia incongrui e non dimostrati da nessun referto medico;

– con il quarto motivo di ricorso il ricorrente riteneva che non fosse stata riconosciuta l’ipotesi di minore gravità di cui all’ ultimo comma dell’art.609 bis e quindi una riduzione della pena pari a 2/3;

– con il quinto motivo di ricorso il ricorrente precisava che non gli sarebbero state applicate le circostanze attenuanti generiche dato che era stata la moglie a violare la misura cautelare del divieto di avvicinamento allo stesso.

Il ricorso presentato dal ricorrente per la Cassazione è stato dichiarato infondato, in quanto l’abuso sessuale e i maltrattamenti avverso una donna in stato di gravidanza sono puniti con una pena più severa, sicché il ricorrente è stato condannato a 6 anni e 6 mesi di reclusione.


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