Metodi di Tortura negli interrogatori: conoscerli per evitarli

Metodi di Tortura negli interrogatori: conoscerli per evitarli

Sommario: 1. Cos’è la tortura – 2. L’uso della tortura: cenni storici – 3. Tecniche di tortura negli interrogatori moderni – 4. Riferimenti legislativi moderni – 5. Il ruolo di Amnesty International – 6. Conclusioni

 

1. Cos’è la tortura

Definire il concetto di tortura è importante per l’inizio di questo articolo. Possiamo definire la tortura in tre ambiti di applicazione della stessa:

– Ambito psichico: coercizione morale che ha lo scopo di infliggere sofferenze utili per ricavare informazioni od estorcere confessioni;

– Ambito fisico: sottoporre a strumenti che arrecano dolore, lesioni o in generale, sofferenza al soggetto;

– Ambito giudiziario: sottoporre la persona a pena corporale di eccezionale brutalità, con sevizie e sofferenze crudeli al fine di ottemperare al “giudizio di condanna” espresso da un tribunale.

La tortura quindi, può essere universalmente riconosciuta come una condizione di coercizione fisica, psichica o giuridica, in cui un gruppo di soggetti pratica, mediante strumenti adibiti allo scopo, dei comportamenti finalizzati ad arrecare sofferenza, ansia, dolore o comunque, alterare il normale equilibrio omeostatico dell’organismo per ottenere informazioni.

2. L’uso della tortura: cenni storici

L’utilizzo della tortura in ambito giudiziario, viene fatta risalire al 1252 (pieno Medioevo), quando papa Innocenzo IV promulgò la bolla Ad extirpanda. Da questo momento, la tortura venne utilizzata largamente e senza distinzioni, contro “eretici”, “streghe”, “posseduti dal demonio” o comunque, in generale, contro tutti quelli che si opponevano all’Autorità, sia essa laica che religiosa.

Tuttavia, strano a dirsi, esisteva una rigorosa procedura per applicare la tortura in ambito giuridico. L’applicazione infatti, dipendeva da vari enti o figure, come l’inquisitore stesso, il suo superiore il Vescovo, oppure il consiglio dei consultori provinciali. Una volta che veniva sentenziata l’utilizzo della tortura, era prevista anche una forma di appello per il condannato al supplizio. Questo appello però, si definiva unicamente su basi discrezionali del tribunale oppure quando vi era presenza di disaccordo fra enti o figure (l’inquisitore favorevole e il consiglio sfavorevole, ad esempio).

Per arrivare all’utilizzo vero e proprio, occorreva che vi fosse un chiaro quadro indiziario che, prima della pratica della tortura stessa, fosse già di per sé bastevole a raggiungere la colpevolezza del soggetto: la tortura quindi, era solo lo strumento utilizzato per estorcere la confessione. Se tutto ciò non era presente, la confessione poteva essere invalidata. Di fondo quindi, occorreva che l’inquisitore fosse assolutamente certo e convinto che il soggetto fosse un reo e che questi necessitava solo di essere torturato per giungere alla sua confessione.

La tortura veniva definita rigoroso esame, un eufemismo per rendere umano qualcosa che di fatto, non lo era. La tortura (camuffata da esame) era quindi necessaria perché il reo potesse trovare salvezza della propria anima mediante castigo e conversione senza dimenticarsi di confessare le proprie colpe.

Una volta che il reo avesse confessato, occorre giustificare la tortura. Tale giustificazione veniva fatta con clausole tipiche:

A. Pro veritatetortura inflitta per conoscere il fatto;

B. Pro ulteriore veritatetortura inflitta per conoscere il fatto più approfonditamente;

C. Super intentionetortura inflitta per conoscere l’intenzione secondo la quale il fatto è stato commesso.

Durante l’Illuminismo, la tortura venne apertamente criticata e cadde progressivamente in disuso. In Italia, Cesare Beccaria fu colui che ebbe il maggior peso per l’abolizione della tortura, insieme alle tesi di Manzoni e Verri.

3. Tecniche di tortura negli interrogatori moderni

Nonostante sia ufficialmente abolita in quasi tutti i 196 Paesi del mondo, nel 2014 sono stati commessi atti inequivocabili di tortura in almeno 155 Paesi; nei quattro quinti del Pianeta, i diritti umani vengono ripetutamente calpestati. Ciò però, non accade solo nei Paesi meno industrializzati o civilmente più evoluti. Difatti, anche in Paesi che vengono classificati come altamente meritevoli nel rispetto dei diritti umani e nel non praticare tortura, possono esservi comportamenti scorretti duranti gli interrogatori. Comportamenti che possono essere equiparati a tutti gli effetti alla tortura. Ne vediamo alcuni:

La tecnica della lampada: puntare una luce forte e calda sul viso dell’interrogato è paragonabile alla tortura. Difatti, la forte luce crea un disorientamento psichico mentre il caldo generato dalla corrente all’interno della lampadina, fa letteralmente evaporare l’acqua presente nelle cellule del viso del soggetto. Ciò produrrebbe sete e alterazione dell’equilibrio osmotico nel soggetto. La tecnica della lampada è finalizzata proprio a questo stato di alterazione più o meno accentuata, ed ha il chiaro scopo di ricavare informazioni utili all’Autorità, sfruttando una condizione di malessere nel soggetto. Difatti, al fine di ottenere un bicchiere d’acqua, il soggetto è disposto a confessare crimini mai fatti (o inventare indizi a carico di altri, mai esistiti) pur di far cessare l’interrogatorio e dissetarsi (o riprendersi dalla luce intensa);

La tecnica del condizionatore: un’altra tecnica che fa leva sugli stati fisici del corpo è quella del cosiddetto caldo/freddo. Consiste nell’esporre al caldo intenso o al freddo pungente il soggetto da interrogare. L’alterazione fisica che deriva dall’esposizione ad una temperatura superiore o inferiore al normale stato di benessere del soggetto, porta la persona stessa a soffrire intensamente e a confessare qualcosa che potrebbe non aver fatto, pur di abbandonare la stanza di interrogatori;

Tecnica della stanchezza: questa tecnica è il derivato diretto della tecnica della privazione del sonno. Il soggetto viene costantemente interrogato, trasportato da una stanza all’altra, lasciato solo ed obbligato a stare seduto (quindi renderlo insofferente ed annoiato) per poi essere nuovamente spostato da un posto all’altro. Lo scopo di questa tecnica è quella di esasperare e stancare mentalmente e fisicamente il soggetto, al fine di fargli confessare qualcosa pur di porre fine alla tarantella e poter essere quindi lasciato in pace e messo in grado di riposare;

Tecnica della minaccia velata: la tecnica si rifà al far capire, mediante giro di parole, metafore o ammiccamenti, che se il soggetto non confessa, a farne le spese potrebbero essere familiari, amici o conoscenti. Si obbliga la persona quindi, a confessare anche qualcosa che non ha fatto, pur di evitare sofferenze ai propri conoscenti. Una situazione tipica di questa tecnica è quella che sfrutta la diade madre-figlia. Ad esempio, una frase spesso utilizzata in questi contesti è: “Lei ha una figlia, vero….?” La domanda posta appare normale (quindi non viene percepita tortura) ma di fatto, mediante mimica corporale, tono della voce e ammiccamento, è una chiara minaccia rivolta alla donna interrogata;

La tecnica del diniego: questa tecnica viene utilizzata efficacemente verso persone sensibili alla vergogna. Per meglio comprenderla, supponiamo un’anziana signora (ritenuta unica testimone dell’accaduto ma che sostiene di non ricordare perché non vuole essere invischiata in delitti che non la riguardano) deve essere interrogata. Dinanzi la sua reticenza, gli inquirenti le negano di andare alla toilette al fine di esplicare i propri bisogni corporali. Ciò implica l’aggiunta di frasi quali: “uscirà da questo palazzo bagnata… una signora a modo come Lei, potrebbe essere oggetto di scherni…” La donna quindi, pur di sottrarsi alla gogna pubblica, tende a collaborare con gli inquirenti. La tecnica tuttavia, mediante qualche correttivo, potrebbe essere utilizzata anche verso bisogni fisici quali l’assunzione di droghe in soggetti tossicodipendenti, di nicotina in soggetti che fumano o di cibo ed acqua in soggetto affamati o assetati;

A queste tecniche, esistono alcune situazioni particolarmente teatrali che non costituiscono vera e propria tortura ma possono essere intesi come tranelli psicologici (più o meno legali) che possono far arrivare il soggetto a confessare. Ne vediamo due:

La farsa del Poliziotto buono e Poliziotto cattivo: questa tecnica viene rivolta prevalentemente verso soggetti che hanno poca dimestichezza con la giustizia. Infatti, contro un soggetto avvezzo agli ambienti polizieschi, ha poca o nessuna presa. La farsa consiste nel far credere al soggetto interrogato che il poliziotto cattivo è in grado di poter far cose inverosimili (come fargli avere il massimo della pena, buttar via le chiavi, tenerlo in carcere all’infinito o quantomeno, fino a che non confessa o non imbastisce il caso) di propria iniziativa e con una tale brutalità che, per come vengono raccontate, sembrano verosimili all’interrogato. Il ruolo del poliziotto buono invece, è quello di stemperare gli animi, provando pietà per l’interrogato e porsi leggermente dalla sua parte, al fine di evitargli sofferenze inutili. Ad un certo punto della farsa (quando il soggetto interrogato inizia a stabilire un feeling fiduciario con il poliziotto buono), il poliziotto cattivo abbandona la stanza dell’interrogatorio, lasciando da soli il collega ed il soggetto. Qui entra in azione la parte finale del tranello, in cui il poliziotto buono si prodiga in consigli quali: “sei nei guai. Quello è cattivo veramente”, “è meglio se parli, che quello non ti fa veramente più uscire” oppure “quello si sta spazientendo e potrebbe arrivare a non crederti, qualora parlassi. Meglio se mi dici tutto a me, ti prometto che posso salvare la situazione”; a seguito di ciò, il poliziotto buono tende una mano al soggetto, promettendogli la salvezza in cambio di una immediata confessione (comunque prima del rientro del collega). Generalmente, l’interrogatorio non è registrato e termina con una confessione scritta.

La farsa del quadro definito: questa tecnica verte sulla pura menzogna, che tende ad esasperare la situazione a livelli elevati (ad esempio, da una rissa si passa alla morte dei soggetti; da un furto, si passa alla morte per infarto del padrone di casa etc). Si fa credere al soggetto di avere video, foto, una pluralità di testimoni affidabili o comunque materiale così compromettente, che è meglio per il soggetto se parla e racconta la sua versione dei fatti. In questo modo, il soggetto confessa pensando di salvarsi da una situazione veramente disperata.

4. Riferimenti normativi moderni

La Dichiarazione sulla protezione dalla tortura e da altra pena o trattamento crudele, inumano e degradante è stata adottata dall’ONU con la risoluzione 9 dicembre 1975 n. 3452 che successivamente, nel 1984, si è trasformata in Convenzione. All’articolo 1 infatti, la Convenzione presenta una descrizione di tortura particolareggiata, accettata anche da organizzazioni non governative (come Amnesty International).

Successivamente, il divieto di tortura è stato ricompreso nella Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e della libertà fondamentale del 4 novembre 1950.

La Costituzione della Repubblica Italiana afferma il principio contenuto nella Convenzione, ossia pone il divieto di sottoporre a torture o pene inumani o degradanti i soggetti i cittadini (e non cittadini) che si trovano sul Territorio Nazionale.

5. Il ruolo di Amnesty International

Un ruolo molto attivo nel contrasto alla tortura è stato svolto da Amnesty International, un’organizzazione non governativa attiva nella promozione dei diritti umani. Il suo commento, del 1985, in merito alla risoluzione ONU del 1975 fu: “per la prima volta è stata ammessa a far parte della proibizione internazionale contro la tortura l’idea del causare serie sofferenze mentali”. Un commento che esprime piena soddisfazione per il lavoro dell’ONU e quindi, di tutti quegli Stati che hanno ratificato la Convenzione.

L’organizzazione ha distinto alcune pre-condizioni sociali che potrebbero far scaturire comportamenti di tortura sporadico o persistente ai danni di cittadini:

– una situazione presentata alla collettività come emergenziale, pertanto con la promulgazione di leggi speciali oppure eccezionali;

– la presenza di regimi totalitari, forti e con la tendenza ad annichilire i diritti dei consociati, oltre a reprimere il dissenso interno;

– la presenza di regimi deboli che cercano di mantenere posizioni di potere.

L’organizzazione ha poi proceduto ad una prima classificazione dei comportamenti di tortura:

– tortura fisica: con lo scopo di arrecare dolore fisico;

– tortura psicologica: il cui scopo è quello di amplificare eccessivamente stati d’animo come ansia, paura, solitudine e disperazione;

– tortura farmacologica: con lo scopo di distruggere o debilitare il fisico di una persona mediante l’uso di farmaci.

6. Conclusioni

Oggigiorno, l’Italia è un Paese che fino al 2017 aveva un gap normativo che non puniva direttamente i comportamenti di tortura. Difatti, sino al 2017, si tendeva ad accusare un Pubblico Ufficiale di lesioni, minacce e percosse (tre reati distinti e differenti) ogni qualvolta si accertava un fatto che poteva rientrare nella previsione di tortura.

Con l’articolo 1 della legge 110 del 2017, si è proceduto a colmare questa lacuna normativa andando ad inserire due articoli:

– articolo 613bis: il precetto punisce con la reclusione da 4 a 10 anni chiunque pratichi torture mediante comportamenti che vengono classificati come violenze o minacce gravi oppure agendo con crudeltà e che generano l’insorgenza di acute sofferenze fisiche oppure un trauma psichico (purchè verificabile) nel soggetto sottoposto a custodia cautelare (o comunque in condizioni di sorveglianza e cura). Inoltre, occorre che il fatto venga commesso con più comportamenti reiterati o con un trattamento inumano e degradante;

– articolo 613ter: il precetto punisce l’istigazione alla tortura.

Appare quindi un discreto monito di civiltà, da parte dell’Italia, aver introdotto una fattispecie di reato che sia in linea con la Convenzione sottoscritta dall’ONU, a tutela del cittadino sottoposto alla potestà, vigilanza e custodia dello Stato per mezzo della Forza Pubblica. Seppure l’Italia sia un Paese che vanta una storia di Forze dell’Ordine corrette e leali, il gap normativo andava colmato e la legge 110 del 2017 è stata la soluzione più accreditata per raggiungere lo scopo giuridico imposto dal diritto internazionale prima e dalla Costituzione italiana poi.

 

 

 

 


Bibliografia
Amnesty International: Tortura, Torino, 1985, Gruppo Abele;
I diritti Umani;
C. BECCARIA, Dei delitti e delle Pene, Newton Edizioni, Roma, 2012
V. VOLTERRA, Psichiatria forense, criminologia ed etica psichiatrica, Edra Edizioni, 2017 Milano

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Massimiliano dr Conte

Laurea in scienze e tecniche psicologiche, conseguita nel 2008; Laurea magistrale in psicologia, conseguita nel 2019; Esperto in psicodiagnostica clinica e forense; Facilitatore in Mindfulness; Musicoterapeuta ed arteterapeuta; Criminal Profiler; Pubblicato due libri: Come e perchè amiamo; Enciclopedia Essenziale ed Illustrata delle Parafilie Sessuali.

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