Natura del contratto atipico fiduciario alla luce delle Sezioni Unite n. 6459/2020

Natura del contratto atipico fiduciario alla luce delle Sezioni Unite n. 6459/2020

La sentenza delle Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione n°6459 è di straordinaria portata innovatrice; la sua massima è la seguente: “La dichiarazione unilaterale scritta dal fiduciario, ricognitiva dell’intestazione fiduciaria dell’immobile e promissiva del suo ritrasferimento al fiduciante, non costituisce autonoma fonte di obbligazione, ma, rappresentando una promessa di pagamento, ha soltanto effetto confermativo del preesistente rapporto nascente dal patto fiduciario, realizzando, ai sensi dell’art. 1888 c.c., una astrazione processuale della causa, con conseguente esonero a favore del fiduciante, destinatario della “contra se pronuntiatio”, dell’onere della prova del rapporto fondamentale, che si presume fino a prova contraria.”[1]

Per il Supremo Consesso, dunque, il patto fiduciario avente ad oggetto il trasferimento di un immobile non deve essere stipulato per iscritto, per cui, una volta che è stato provato in giudizio la sua esistenza può essere accolta la domanda ex articolo 2932 c.c.

I giudici di legittimità, oltre che per la sua non vincolatività alla forma scritta ad substantiam, così come sosteneva la tesi maggioritaria che, pur ammettendo la stipulazione di questo pactum fiduciae, propendeva per la forma scritta in base al combinato disposto dell’articolo 1350 c.c. e 1403 c.c., fanno luce anche sulla natura di questo istituto.

L’ammissibilità del negozio fiduciario non era riconosciuta da tutta la dottrina in quanto si riteneva che esso contrastasse con il principio di tipicità dei diritti reali, perché i patrimoni separati non erano visti di buon occhio dal Legislatore e da dottrina e giurisprudenza in quanto elusivi dei diritti dei creditori.

Invece dati a favore dell’ammissibilità del patto fiduciario erano la presenza della fiducia sin dal diritto romano e, nell’epoca contemporanea, l’apertura a questo istituto da parte degli ordinamenti europei.

Il diritto romano conosceva la fiducia cum creditore che aveva uno scopo di garanzia e la fiducia cum amico con mero scopo conservativo.

Caratteristica della fiducia romanistica era la sua dinamicità, in quanto prevedeva il trasferimento del bene da fiduciante al fiduciario.

Differente da quella romanistica, la fiducia di matrice germanica, prevista espressamente nel codice civile tedesco è caratterizzata dalla sua staticità in quanto consente la stipulazione del patto fiduciario anche in assenza del trasferimento del bene.

In tal caso si ha uno sdoppiamento della figura soggettiva, si differenzia la parte formale da quella sostanziale del negozio, ossia il fiduciante trasmette al fiduciario la mera legittimazione ad agire ma non l’oggetto del contratto; tale operazione è generalmente inammissibile nel nostro ordinamento, una deroga è prevista, invece, per gli intermediari finanziari che sono legittimati, ex lege, ad agire in nome proprio ma per conto del cliente.

Come già anticipato, quindi, la dottrina tradizionale non riteneva conforme questo istituto ai principi dell’ordinamento. I fautori di questa tesi negazionista ritenevano che, in base al principio ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit, se il legislatore avesse voluto far entrare nel nostro ordinamento il patto fiduciario lo avrebbe espressamente regolato, così come ha disciplinato la simulazione, istituto affine al primo.

Pur essendo molto simili, tuttavia, mentre la simulazione è una ipotesi di interposizione fittizia di persona, il negozio fiduciario con patto di trasferimento a terzi, invece, è una ipotesi di interposizione reale di persona; mentre nel primo caso gli effetti dell’accordo traslativo non sono realmente voluti, nel secondo caso si.

Dunque, per la tesi contrapposta, questa simmetria tra simulazione e pactum fiduciae, l’essere stato disciplinato ed il non esserlo non poteva essere un sintomo di netta chiusura dell’ordinamento verso tale istituto, in quanto, sostanzialmente, simulazione e fiducia avevano una ratio differente.

Altro motivo per il quale si riteneva inammissibile il pactum fiduciae era che il nostro ordinamento è fondato sul principio della responsabilità patrimoniale del debitore[2] secondo cui il debitore risponde dei propri crediti con tutti i suoi beni presenti e futuri.

In un secondo momento, invece, iniziò a prendere piede la tesi positiva ed all’interno di questo filone si sono formate due tesi circa la natura giuridica del negozio fiduciario, una unitaria (GAZZONI) e l’altra pluralista. (CARNEVALE).

Il contratto unitario sarebbe caratterizzato dalla causa fiduciae ed oggetto del contratto sarebbe una ipotesi di proprietà limitata agli obblighi di gestione impartiti dal fiduciante; per la seconda teoria si avrebbe un collegamento negoziale tra un negozio ad effetti reali ed uno ad effetti obbligatori. Il primo avrebbe efficacia erga omnes e sarebbe trascrivibile, il secondo invece solo inter partes e riguarderebbe gli obblighi assunti dal fiduciario.

Infatti secondo gli studiosi, il negozio fiduciario, come quello diretto, “consente il raggiungimento di una finalità pratica ulteriore e diversa rispetto a quella propria dello schema causale utilizzato”[3].

Le S.U. in esame ricordano che la giurisprudenza civile ha ricondotto il negozio fiduciario al negozio indiretto in quanto con il negozio fiduciario si utilizza un negozio tipico, voluto, per realizzare uno scopo pratico, diverso da quello tipico e che corrisponde, sostanzialmente, alla funzione di un negozio diverso.

Un’altra puntualizzazione operata dalla sentenza 6459/2020 attiene alla causa. Per la tesi monista, la causa, ovviamente sarò anche essa unitaria, e cioè comprende entrambi gli effetti, quello reale e quello obbligatorio; meglio, l’effetto obbligatorio sarebbe elemento giustificatore di quello reale, Tizio trasferisce un bene a Caio affinché questi lo gestisca, per poi ritrasferirlo a Tizio stesso.

Invece la tesi pluralista ritiene che il collegamento negoziale produce una causa complessa.

Nella sentenza, poi, viene ricordata, una teoria minoritaria secondo la quale la fiducia non sarebbe la causa, ma un tipico esempio di motivo essenziale.

Ebbene, dopo aver acclamato a gran voce che il fenomeno fiduciario non può essere inquadrato in un istituto ma deve essere considerato una “casistica”[4], le Sezioni Unite si soffermano sulla forma che deve assumere la fiducia stessa.

Come è noto, lo studio della forma ha subito, assai di recente, possiamo dire con l’introduzione del Codice del consumo, una evoluzione sensazionale, divenendo un vero e proprio strumento di protezione della parte debole nei contratti “asimmetrici”.

Il principio regolatore dell’ordinamento è la libertà delle forme, per tale motivo, l’eccezione, e non la regola, sono le previsioni di forme vincolate; in ambito contrattuale, per la forma, è necessario tener presente il combinato disposto degli articoli 1325 e 1350 c.c.

Tuttavia le Sezioni Unite sostenendo che il contratto fiduciario, contratto atipico, possa essere qualificato come un’ipotesi di mandato senza rappresentanza, lo ritengono ammissibile nella sua forma orale in quanto, quello che deve seguire la forma scritta ad substantiam è il negozio traslativo produttore di effetti reali (che può essere trascritto) ma non il pactum con efficacia inter partes che, pertanto, non deve avere la forma scritta ad substantiam.

Le Sezioni Unite arrivano a questa soluzione partendo dalla teoria formalistica che distingue tra contratti a forma forte e contratti a forma debole e sostenendo che le regole sulla forma sono applicabili analogicamente; pertanto, sostiene la Cassazione, sarà possibile applicare ai contratti atipici la forma ad substantiam quando questo somigli di più ad un contratto tipico a struttura forte e viceversa.

Conclude il Supremo Consesso per l’ammissibilità della tutela in forma specifica ex articolo 2932 c.c. per ottenere il ritrasferimento del bene oggetto del pactum accessorio reso in forma orale, la cui sussistenza è stata accertata in giudizio.

 

 

 


[1] Giustizia civile, Massimario 2020 – De Jure Giuffrè editore
[2] Articolo 2740 c.c.: “Il debitore risponde dell’adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri.
Le limitazioni della responsabilità non sono ammesse se non nei casi stabiliti dalla legge”
[3] Rocco Galli “nuovo corso di diritto civile” – Cedam editrice, pag. 790
[4] S.U. 6459/2020

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