Nuove frontiere applicative per gli atti persecutori: stalking “condominiale”, “occupazionale” e “giudiziario”

Nuove frontiere applicative per gli atti persecutori: stalking “condominiale”, “occupazionale” e “giudiziario”

Sommario: 1. La fattispecie di atti persecutori e il suo aspetto multiforme – 2. Lo stalking condominiale3. Lo stalking occupazionale e il mobbing. Due fenomeni sovrapponibili? – 4. Lo stalking giudiziario5. Conclusioni

 

1. La fattispecie di atti persecutori e il suo aspetto multiforme

La fattispecie di atti persecutori (introdotta dal d.l. 23.02.2009, n. 11, convertito in l. 23.04.2009, n. 38) costituisce un reato abituale a forma libera che tipizza il fenomeno criminale dello “stalking[1], segnatamente individuato dalla dottrina criminologica di common law in una serie di comportamenti assillanti e invasivi della vita altrui, dai connotati aggressivi e molesti, che si traducono in forme di intrusione relazionali ai danni di una vittima prescelta[2].

Dalla lettura della relazione illustrativa al disegno di legge, recante “Misure contro gli atti persecutori”, emergono le ragioni di politica criminale che hanno spinto il Legislatore all’introduzione della fattispecie in esame, la cui ratio risiede nella necessità di punire un fenomeno relazionale, tanto malsano quanto complesso, che si instaura tra un “cacciatore” e una “preda”, dai connotati fortemente morbosi e prevaricanti. In tale ottica, il disposto di cui all’art. 612 bis c.p. deve essere interpretato come una norma di chiusura del sistema, finalizzata a colmare taluni vuoti normativi e ad offrire tutela – anche in via anticipata attraverso il ricorso alla misura cautelare – a condotte i cui connotati posseggono un quid pluris che oltrepassa il piano delle minacce o delle molestie già sanzionate dal codice.

La dimensione offensiva della condotta – sintomatica dell’effettiva necessità di elevare lo stalking a specifica ed autonoma fattispecie di reato – si apprezza ancor di più ove si consideri che spesso la ricerca esasperata di un contatto con la vittima ad opera del reo sfocia in tragiche escalation che potrebbero condurre alla perpetrazione di più gravi illeciti quali lesioni, violenze sessuali e finanche omicidi.

Il tratto caratterizzante la disposizione de qua, inevitabilmente connesso tanto alle difficoltà di tipizzazione legislativa delle caratteristiche criminologiche del fenomeno quanto alla tecnica normativa utilizzata per la descrizione del fatto tipico, è rappresentato dalla presenza di un’apprezzabile flessibilità applicativa della stessa, al punto da essere stata più volte oggetto di censure sotto il profilo dell’indeterminatezza[3].

A dispetto delle critiche mosse nei confronti della formulazione della norma, la Corte Costituzionale ne ha ritenuto la conformità all’art. 25, co.2, Cost.: il principio di tassatività non esclude l’ammissibilità di formule elastiche, purché attraverso l’interpretazione integrata, sistemica e teleologica del precetto, si pervenga all’individuazione di un significato chiaro, intellegibile e preciso dell’enunciato[4]. L’impossibilità di elencare analiticamente tutte le situazioni astrattamente idonee a comportare l’inosservanza della disposizione giustifica l’utilizzo di una tecnica normativa esemplificativa «che riceva adeguata luce dalla finalità dell’incriminazione e dal quadro normativo su cui essa si innesta»[5].

Sicché, alla luce del dictum della pronunzia in parola, gli atti persecutori costituiscono una specificazione delle condotte di minaccia o molestia il cui asserito deficit di tassatività – lamentato soprattutto dalla dottrina – viene superato, a detta della Corte, dalla sussistenza di due requisiti idonei a delineare esaurientemente la fattispecie incriminatrice: da un lato, la scansione ripetuta delle condotte e, dall’altro, la loro idoneità a cagionare le tre conseguenze/evento tassativamente previste dal Legislatore (grave e perdurante stato di ansia o di paura, timore per l’incolumità propria, di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero cambiamento delle abitudini di vita)[6].

Così ragionando, atti compiuti in successione seriale – persino sprovvisti di intrinseci profili di penale rilevanza – a seguito di una valutazione ex post possono acquisire un diverso disvalore giuridico e una caratura penalmente sanzionabile qualora riconducibili ad una delle tre categorie di eventi descritti dalla norma[7].

Infine, nel solco della pronunzia testé citata la Corte Costituzionale giunge a fornire un’ulteriore coordinata per l’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 612 bis c.p.: la stessa sentenza rimanda al «diritto vivente» e al significativo processo di tipizzazione giurisprudenziale della norma, che assume un importante ruolo interpretativo nella concretizzazione ermeneutica della disposizione[8].

All’interno di questo ampio spazio interpretativo riconosciuto al giudice, la Corte di Cassazione ha declinato in modo differente la disposizione di cui all’art. 612 bis c.p. – attribuendole delle “etichette” correlate a specifiche “ambientazioni” tese a sottolineare la varietà degli spazi fenomenologici in cui la fattispecie può manifestarsi[9] – ammettendo, al contempo, la punibilità di diverse figure di stalking mutuate dagli studi empirico-sociologici: “condominiale”, “occupazionale” e finanche quello “giudiziario”.

2. Lo stalking condominiale

Il condominio diviene ormai sovente un locus commissi delicti, un luogo fisico ove la forzata vicinanza tra le persone nonché l’inevitabile condivisione di spazi comuni – unitamente ad una sempre più vasta casistica di diversità razziali, sociali, economiche e culturali dei nuclei umani che vivono all’interno del condominio – trasmodano spesso in condotte penalmente rilevanti che costituiscono la causa di alterazioni psicologiche tanto consistenti da mettere in crisi l’integrità psico-fisica di chi lo abita[10].

Nell’ambito dei rapporti di vicinato, gli animi esacerbati da rancori pregressi o le innumerevoli incomprensioni e intolleranze costituiscono la causa dell’insorgenza di conflitti tra condomini, a seguito dei quali scaturiscono condotte persecutorie capaci di determinare nelle vittime stati d’ansia o di paura che sfociano in condizionamenti psicologici e cambiamenti delle abitudini di vita di non poco conto.

Prendendo atto di tale imperverso fenomeno, la Suprema Corte ha per la prima volta ammesso la riconducibilità nell’alveo del disposto di cui all’art. 612 bis c.p. delle condotte di minaccia e molestie ripetute in danno di diversi condomini al punto da arrecare a quest’ultimi forti stati di ansia[11].

Il vero punctum dolens, pertanto, consiste nello stabilire quando possa dirsi oltrepassato il piano delle minacce e delle molestie, al contempo potendosi accedere alla diversa e più grave fattispecie degli atti persecutori[12]. Per rispondere all’interrogativo sembra potersi affermare che le sistematiche vessazioni e i continui soprusi commessi ad opera di un condomino devono essere inquadrati in un più profondo disegno persecutorio, in seno al quale i singoli atti di aggressione – con un climax ascendente che può anche essere ricondotto ad una pluralità di atti tipici quali molestie, minacce, lesioni, violenze private – devono essere idonei a cagionare uno stravolgimento psichico della vittima ovvero un mutamento della propria quotidianità[13].

Nell’ambito dei rapporti di vicinato, il reato di cui all’art. 612 bis c.p. è in grado di apportare una preziosa tutela per l’integrità psichica di tutti coloro che subiscono un turbamento alla propria tranquillità domestica e sono costretti ad alterare il proprio modus vivendi a fronte delle vessazioni poste in essere da alcuni vicini (ad es. concretizzatesi in scherni, insulti, immissioni di gas o rumori oltremodo molesti, minacce), fornendo alle vittime uno strumento – soprattutto in termini cautelari[14] – di protezione preventiva e anticipata rispetto alla verifica processuale della responsabilità penale.

Del resto, prima del riconoscimento ad opera della giurisprudenza dello stalking condominiale quale forma di atti persecutori sanzionabili ex art. 612 bis c.p., le contravvenzioni di minaccia o molestia possedevano una carica deterrente molto relativa in ragione della loro portata sanzionatoria molto blanda; a seguito delle pronunzie della Suprema Corte, invece, si è preso atto della maggiore pregnanza che la fattispecie di cui all’art. 612 bis c.p. possiede nella tutela delle vittime, capace di valorizzare la reale incidenza dell’effetto delle condotte delittuose nella vita delle medesime e di sanzionare adeguatamente reati che possono avere una portata devastante[15].

Sicché, il carattere reiterato delle condotte di minaccia o molestia[16] in uno con la causazione dell’evento tipizzato dalla norma, consentono di ritenere assorbite le ipotesi contravvenzionali nella fattispecie di atti persecutori (trovandoci innanzi al paradigma del reato complesso di cui all’art. 84 c.p.). Ed invero, com’è noto deve essere escluso il concorso di reati tutte le volte in cui la legge considera come elementi costitutivi (o come circostanze aggravanti) di un fatto illecito disposizioni che, autonomamente considerate, costituirebbero reato[17].

Diverso il rapporto tra gli atti persecutori e la violenza privata: mentre la prima influisce sull’emotività della vittima ed è finalizzata, secondo l’impostazione più persuasiva[18], a tutelare la tranquillità psichica della persona offesa, la seconda si sostanzia nel costringere la persona offesa a fare, non fare, tollerare od omettere qualcosa, sicché il bene giuridico tutelato dalla norma sarà più propriamente la libertà morale o di autodeterminazione della vittima[19]. La differenza tra le fattispecie si apprezza, altresì, con riguardo all’elemento soggettivo: se il reato di violenza privata è connotato dal dolo specifico, lo stalking è punibile a titolo di dolo generico.

Per tali ragioni, un esatto e più ponderato raffronto delle due disposizioni consente di ritenere corretta l’impostazione tesa a riconoscere la configurabilità del concorso di reati (eventualmente avvinti dal vincolo della continuazione di cui all’art. 81 cpv c.p.) tra la fattispecie di stalking da un lato e quella di violenza privata dall’altro[20].

3. Lo stalking occupazionale e il mobbing. Due fenomeni sovrapponibili?

Con l’espressione stalking occupazionale si vuole far riferimento ad una forma di attività persecutoria esercitata nella vita privata della vittima, ma la cui motivazione proviene dall’ambiente di lavoro. In altri termini, la fase di persecuzione nasce per ragioni lavorative, non si manifesta sul posto di lavoro e viene piuttosto esternata nel rapporto interpersonale instaurato tra reo e vittima (si pensi al caso del sottoposto che vorrebbe vendicarsi del superiore ma, non potendo farlo all’interno del contesto lavorativo, agisce nella vita privata).

Il fenomeno dello stalking occupazionale ha posto più volte criticità con riguardo alla diversa, ma affine, figura del mobbing e alle lacune e alle criticità che tutt’oggi affliggono quest’ultima.

Occorre premettere che il mobbing (dall’inglese “to mob”: attaccare, assalire) si sostanzia in tutte le situazioni di esclusione, emarginazione e finanche aggressione del lavoratore da parte di colleghi e superiori, tali da causare stress e disagio nel soggetto passivo e finalizzate ad escludere la vittima dal gruppo di lavoro[21]. A tal riguardo la dottrina prima e la giurisprudenza dopo hanno elaborato due tipologie di mobbing: quello verticale, che si configura tutte le volte in cui le vessazioni provengono dal capo nei confronti del sottoposto; quello orizzontale, che si perfeziona allorquando il comportamento ostile proviene da colleghi “di pari grado”[22].

Ciò posto, il vulnus che irrimediabilmente inficia il fenomeno del mobbing è costituito dalla totale assenza, in materia penalistica, di una figura incriminatrice ad hoc deputata a contrastarlo.

Tradizionalmente la giurisprudenza aveva tentato di colmare il vuoto normativo facendo ricorso alla fattispecie di maltrattamenti di cui all’art. 572 c.p., tra i quali rientrano quelli commessi contro una persona soggetta all’autorità dell’agente[23]. Il rapporto intersoggettivo che si instaura tra datore di lavoro e sottoposto – per il tramite dei profili direttivi e/o disciplinari – risultava perfettamente inquadrabile nel rapporto di “autorità” richiesto dalla norma.

Purtuttavia, la Corte di Cassazione ha limitato la portata applicativa dell’art. 572 c.p., circoscrivendo la relazione tra datore di lavoro e subordinato esclusivamente nell’ambito dei rapporti di natura para-familiare, caratterizzati da legami intensi ed abituali tra i soggetti e, di converso, dalla fiducia risposta dal soggetto più debole nei confronti di colui che ricopre la posizione di supremazia[24].

In altri termini, enfatizzando il rapporto interpersonale che connota la fattispecie di cui all’art. 572 c.p., la Corte di Cassazione ha escluso l’applicabilità dell’illecito nell’ambito dei rapporti di lavoro e, conseguentemente, la sua idoneità a reprimere le condotte di mobbing.

Di conseguenza, si era tentato di arginare il fenomeno ricorrendo alla figura della violenza privata di cui all’art. 610 c.p.: il tentativo è tuttavia risultato vano atteso che le condotte mobbizzanti potrebbero anche consistere in atti perfettamente legittimi, non contrari alle norme dell’ordinamento (come richiede la fattispecie di violenza privata); inoltre, anche sul piano soggettivo il dolo richiesto dall’art. 610 c.p., improntato ad una coercizione morale della libertà della vittima, non coglierebbe a sufficienza le dinamiche di isolamento e di mortificazione professionale del lavoratore[25].

Ebbene, stando così le cose si sono avvicendate diverse pronunzie che hanno ricondotto il fenomeno del mobbing allo stalking occupazionale di cui all’art. 612 bis c.p. Più in particolare, i comportamenti vessatori che conducono all’emarginazione lavorativa, le discriminazioni ingiustificate, le penalizzazioni retributive ovvero il costringimento ad attività dequalificanti, costituirebbero delle molestie/minacce idonee a cagionare uno degli eventi previsti dall’art. 612 bis c.p. e, pertanto, punibili quali atti persecutori.

All’indomani delle pronunzie in parola, non pochi Autori hanno fortemente criticato una tale ricostruzione interpretativa – da molti tacciata come rientrante tra quelle operazioni segnatamente volte a colmare le lacune e le inerzie del Legislatore – per il vero sostanziatasi in una violazione occulta del divieto di analogia più che in una, ammissibile, interpretazione estensiva.

Sul punto devono considerarsi le differenze che sussistono tra lo stalking (anche “occupazionale”) e il mobbing. Nel primo caso – indipendentemente dal locus ove sorgono le motivazioni persecutorie (rectius: luogo di lavoro nel caso dello stalking occupazionale) – gli atti di “stalkeraggio” sono posti in essere nella vita privata e si connotano per l’ossessiva ricerca di un contatto intrusivo con la vittima ad opera del reo. Nel caso del mobbing, invece, gli atti di vessazione sono perpetrati esclusivamente sul posto di lavoro e assumono una finalità totalmente opposta rispetto agli atti persecutori: il mobber ha l’obiettivo di rendere ostile l’ambiente di lavoro alla vittima allo scopo di porre fine al rapporto di lavoro che lega il superiore/collega alla persona offesa.

In altri termini, se lo stalking rappresenta una degenerazione delle relazioni personali, che avvitandosi in un’ossessiva escalation persecutoria può degenerare in atti intrusivi ben più gravi, viceversa il mobbing si estrinseca in una degenerazione del rapporto di lavoro il cui scopo non è l’ossessivo avvicinamento del reo alla vittima quanto, piuttosto, la sostanziale espulsione del lavoratore dalla sua occupazione[26].

Sicché, anche in punto di elemento soggettivo possono apprezzarsi notevoli differenze: mentre lo stalking presuppone il dolo generico, nella condotta del mobber è necessario che egli agisca con il dolo specifico di arrecare nocumento al lavoratore (animus nocendi) ovvero di escluderlo del tutto dal luogo di lavoro (animus expellendi).

Per tale ragione, qualora la condotta “mobbizzante” si esaurisca esclusivamente nel contesto lavorativo – non esplicandosi minimamente nella vita privata della persona offesa – essa non potrà mai essere ricondotta allo stalking occupazionale di cu all’art. 612 bis c.p.

In conclusione, non v’è dubbio che l’assenza di una fattispecie deputata a punire il mobbing faccia parte di quell’insieme di lacune inaccettabili e gravi che inevitabilmente inficiano il sistema giuridico.

Purtuttavia, si dimentica troppo spesso che la prassi ormai frequente nella giurisprudenza, segnatamente volta a colmare le inerzie legislative, rischia di risolversi in operazioni analogiche assolutamente vietate in materia penale. Da ciò discende l’obbligo di selezionare accuratamente le condotte di mobbing che possono trovare tutela nella fattispecie degli atti persecutori[27].

Lo stalking costituisce un fenomeno ben più ampio e grave delle vessazioni circoscritte all’ambito lavorativo, sicché la sovrapponibilità del mobbing alla disposizione di cui all’art. 612 bis c.p. è possibile soltanto allorquando la “mirata reiterazione di plurimi atteggiamenti, convergenti nell’esprimere ostilità verso la vittima e preordinati a mortificare e a isolare il dipendente nell’ambiente di lavoro[28] – per come definito dalla giurisprudenza civile – sia idonea a cagionare uno stato di prostrazione psicologica riconducibile ad uno dei tre eventi tassativamente previsti dal Legislatore all’art. 612 bis c.p.

4. Lo stalking giudiziario

L’apprezzabile flessibilità applicativa della fattispecie di atti persecutori ha condotto alla creazione della figura dello stalking giudiziario, che si sostanzia nel reiterato ricorso ad azioni legali in sede civile, penale o amministrativa al solo scopo di porre il destinatario in uno stato di angoscia o di prostrazione tale da cagionare l’evento di cui all’art. 612 bis c.p.

Di talché, la Corte di Cassazione[29] ha di recente ammesso, per la prima volta, la sussumibilità nell’alveo del disposto di cui all’art. 612 bis c.p. degli atti persecutori perpetrati attraverso un uso distorto dello strumento giudiziario per fini vessatori[30].

In tutti questi casi il ricorso all’Autorità Giudiziaria è emblematico dell’utilizzo abusivo e deformato del diritto, in quanto le azioni asseritamente intraprese per far valere la tutela dei propri diritti e/o interessi legittimi altro non sarebbero che degli strumenti molesti e persecutori pienamente riconducibili alla fattispecie delittuosa di cui all’art. 612 bis c.p.

La condotta si risolve in una immotivata, continua e diabolica aggressione giudiziaria, giustiziale ovvero istituzionale[31], costituita per l’appunto da incessanti ed estenuanti denunce e azioni che – sebbene prima facie lecite e corrette – risultano piuttosto assolutamente infondate, pretestuose nonché sintomatiche dell’intento molesto e vessatorio che muove la condotta illecita dell’agente.

In altri termini, attraverso una fantomatica domanda di legalità il reo chiede di far valere – per il tramite di innumerevoli atti persecutori che assumono la forma di denunzie/querele, richieste risarcitorie ovvero ricorsi amministrativi – pretese palesemente destituite di ogni fondamento.

Non v’è chi non veda quanto possa essere complesso – soprattutto in punto di accertamento probatorio – dover dimostrare che nel caso di specie il reo non possa invocare l’esimente dell’esercizio di un diritto di cui all’art. 51 c.p., quale è quello volto a garantire che ciascun cittadino possa rivolgersi agli Organi della Giustizia per chiedere tutela e denunciare un fatto illecito.

A ben vedere, l’estensione applicativa degli atti persecutori al settore giudiziario si rinviene nella volontà di reagire in maniera severa nei confronti di chi, strumentalizzando il sistema della giustizia, intende perseguire unicamente l’obiettivo di recare un ingiusto nocumento nei confronti di soggetti in realtà del tutto estranei alle accuse avanzate in loro danno al solo fine di porre la vittima in uno stato di preoccupazione, timore, angoscia e ansia[32].

Al fine di tracciarne i confini, Autorevole Dottrina prima e la giurisprudenza dopo[33] hanno chiarito come la disposizione de qua possa dirsi integrata, in primo luogo, allorquando sussista l’infondatezza dell’iniziativa giudiziaria intrapresa per far valere la presunta tutela di diritti e/o interessi legittimi asseritamente lesi (versandosi in caso contrario nell’ipotesi del legittimo esercizio di un diritto, in applicazione dell’esimente di cui all’art. 51 c.p., di chi ricorre alle vie legali per contrastare un fatto ingiusto); in secondo luogo, è necessario che l’azione intrapresa – del tutto infondata sotto il profilo del fatto denunciato – sia meramente pretestuosa nonché sintomatica dell’esclusiva volontà dell’agente di nuocere alla serenità della persona offesa, poiché è proprio in questa strumentalità che si ravvisa l’animus nocendi del reo.

In altri termini, la reiterazione di iniziative volte ad attivare un procedimento giurisdizionale ai danni di un soggetto – del tutto sprovviste dei presupposti necessari per l’attivazione nonché infondate nel merito – costituisce una peculiare ipotesi di molestie con finalità persecutorie riconducibili al disposto di cui all’art. 612 bis c.p.

Infine, preme sottolineare che nel caso dello stalking giudiziario, l’assoluta strumentalità delle azioni intraprese – in seno alle quali vengono più volte asserite illegittimità non corrispondenti al vero – è idonea a recare nocumento non soltanto al privato, ma anche alla macchina giudiziaria, distogliendola dai suoi obiettivi e ledendo, al contempo, il perseguimento dell’interesse pubblico al corretto funzionamento della giustizia[34].

5. Conclusioni

Le difficoltà connesse alla tipizzazione legislativa del fenomeno dello stalking hanno finito per demandare al giudice il compito di sciogliere i nodi esegetici e di delineare, nel caso concreto, l’effettiva portata punitiva della fattispecie incriminatrice.

L’ampio spazio interpretativo riconosciuto dalla Corte Costituzionale con riguardo all’art. 612 bis c.p. ha condotto la giurisprudenza ad estendere il perimetro applicativo degli atti persecutori ad ambiti – quali sono, a titolo meramente esemplificativo, quello condominiale, occupazionale, giudiziario – probabilmente neppure presi in considerazioni dal Legislatore della riforma del 2009.

Come è stato efficacemente sottolineato[35], rimettere alla prassi il compito di ricostruire e circoscrivere l’area della condotta penalmente rilevante, seppur attraverso una “interpretazione integrata, sistemica e teleologica”, significa riconoscere implicitamente i limiti di tali fattispecie incriminatrice proprio sul piano dell’intellegibilità del comando.

Il ruolo attribuito all’elaborazione giurisprudenziale – ormai sempre troppo spesso investita dell’onere di colmare le lacune della legislazione – lascia in vita non poche perplessità sul corretto rispetto del principio di tassatitività/determinatezza e, di conseguenza, del principio di legalità convenzionalmente e costituzionalmente riconosciuto.

Le diverse “etichette” con cui viene declinato il fenomeno dello stalking (“condominiale”, “occupazionale”, “giudiziario”), non sono altro che il frutto dell’operato del magistero penale e della sua discrezionalità nella valutazione in ordine alla sussunzione del caso concreto nella fattispecie incriminatrice di riferimento.

In altri termini, esse dimostrano cosa accade tutte le volte in cui la positivizzazione di un illecito lascia al diritto vivente ampi spazi di manovra e costituiscono il terreno fertile per ripensare alla validità e alle inevitabili conseguenze che derivano dal dogma secondo cui l’apparato giudiziario sia chiamato a dare risposta a tutto.

Non v’è chi non veda come i principi cardine della materia penale, quali il principio di legalità, di tassatività, offensività e finanche quello di colpevolezza, sono irrimediabilmente destinati ad entrare in crisi tutte le volte in cui il fenomeno che si vorrebbe incriminare viene delineato dal Legislatore con estrema vaghezza. Resta, purtroppo, un dato certo: in tutti questi casi il cittadino non potrà mai sapere in anticipo quali comportamenti costituiscono reato ovvero quale sia la specifica sfera di efficacia di un illecito, con evidenti ripercussioni sia sul piano processuale che in punto di funzione rieducativa della pena.

 

 

 

 

 


[1] Dall’inglese “to stalk”, termine mutuato dal linguaggio della caccia, la cui traduzione in italiano non risulta semplice: si è costretti a fare ricorso a locuzioni quali fare gli appostamenti, inseguire, braccare e, in senso più lato, disturbare, assillare, perseguitare. Così, G. FIANDACA – E. MUSCO, Diritto Penale, Parte speciale, vol. II, Tomo I, I delitti contro la persona, ed. 5, Zanichelli, Bologna, 2020, 226.
[2] E. FINCH, Stalking the Perfect Stalking Law: An Evaluation of the Efficacy of The Protection from Harrassment Act 1997, in Crim. Law Rev., 2002, 704.
[3] S. VINCIGUERRA, Sugli atti persecutori un ddl non all’altezza delle intenzioni, in Italia Oggi, 12.02.2009, 14; E. LO MONTE, Una nuova figura criminosa: lo ‘stalking’ (art. 612 bis c.p.). Ovvero un altro, inutile, ‘guazzabuglio normativo’, in Ind. Pen., 2010, 479; G. LOSAPPIO, Vincoli di realtà e vizi di tipo nel nuovo delitto di “Atti persecutori”.“Stalking the Stalking”, in Dir. Pen. Proc., 2010, 871. In estrema sintesi, le obiezioni mosse nei confronti dell’art. 612 bis c.p. concernono tutt’oggi: 1) il suo collegamento a stati mentali psichici, ancorati ai sentimenti e alle reazioni emotive delle vittime, di difficile accertamento empirico; 2) l’utilizzo indefinito e generico del concetto “relazione affettiva”; 3) la complessità/sottrazione dell’accertamento probatorio di ciascuno dei tre eventi tipizzati dalla norma; 4) la mancata indicazione del numero di condotte indispensabili ad integrare i cd. “atti persecutori”; 5) il silenzio sul minimum della condotta intrusiva temporalmente necessaria e sufficiente per integrare la persecuzione penalmente rilevante. Per un approfondimento sul tema si veda M. TELESCA, Gli atti persecutori superano l’esame di costituzionalità: osservazioni sui confini dello stalking dopo la pronuncia numero 172/2014 della Consulta, in Giurisprudenza penale, 11.01.2015.
[4] Corte Cost., 11.06.2014, n. 172, in seno alla quale, in adesione a quanto già espresso dalla Corte di Cassazione (Cass. Pen., Sez. V, 13.06.2012, n. 36767), si afferma che «l’inclusione nella formula descrittiva dell’illecito di espressioni sommarie di vocaboli polisensi, ovvero di clausole generali o concetti elastici, non comporta un vulnus del parametro costituzionale evocato, quando la descrizione complessiva del fatto incriminato consenta comunque al giudice… di stabilire il significato di tale elemento mediante un’operazione interpretativa non esorbitante dall’ordinario compito a lui affidato».
[5] Corte Cost., nn. 302/2004 e 5/2004.
[6] Purtuttavia, a seguito della pronunzia in parola Autorevole dottrina ha fatto salve le perplessità riscontrate: sia la condotta che gli eventi posseggono un forte tasso di indeterminatezza atteso che, lungi dal connaturarsi in senso naturalistico, risultano “soggettivizzati”, in quanto strettamente connessi agli effetti provocati sulla salute della vittima dalle condotte incriminate, con conseguente difficoltà per il giudice di determinare il risultato fenomenologicamente separabile dall’azione e a questa legata in base ad un nesso di causalità. Così, M. MACRI’, Modifiche alla disciplina delle circostanze aggravanti dell’omicidio e del nuovo delitto di “Atti persecutori”, in Dir. Pen. Proc., 2009, 825. Nello stesso senso, F. RESTA, Il decreto-legge in materia di sicurezza e contrasto alla violenza sessuale, in Giur. Mer, 2009, 897.
[7] M. MACRI’, Stalking: la tipizzazione della condotta è sufficiente a soddisfare il principio di determinatezza, in Responsabilità Civile e Previdenza, nota a Corte Costituzionale, 11.06.2014, n. 172, fasc. 5, 2014, 1547.
[8] In disparte il fatto che l’art. 612 bis c.p. utilizza come riferimento lo schema dei reati di minacce e molestie, sicché la Corte Costituzionale – al fine di riempire di significato la fattispecie degli atti persecutori – richiama, altresì, gli orientamenti giurisprudenziali formatisi con riguardo alle due condotte tipiche.
[9] S. APA, Rilevanza penale delle condotte di mobbing e configurabilità dello stalking in ambito lavorativo, in Ilgiuslavorista.it, 15.03.2021, nota a Cass. Pen., Sez. V, 14.09.2020, n. 31273.
[10] G. FRUGONI, Stalking in condominio, in Ilpenalista.it, 18.04.2018, nota a Tribunale Bari, Sez. I, 2.10.2017, n. 2703.
[11] Cass. Pen., Sez. V, 7.04.2011, n. 20895, in cui la Corte ha, altresì, affermato il principio per cui gli atti molesti non devono necessariamente essere rivolti contro la stessa persona in quanto «la minaccia rivolta ad una persona può coinvolgerne altre o comunque costituirne molestia… Si pensi al caso di colui che minacci d’abitudine qualsiasi persona attenda ogni mattino nel luogo solito un mezzo di trasporto per recarsi al lavoro. La minaccia in tal caso assorbe bensì la molestia nei confronti della persona cui è rivolta, ma non la molestia arrecata alle persone presenti» Per un commento “a caldo” della sentenza si veda M. RINALDI, Tolleranza zero per le molestie nel condominio, in www.altalex.com. Nello stesso senso, Cass. Pen., Sez. V, 15.05.2013, n. 39933, che ha ricondotto nello stalking condominiale le condotte di minaccia e molestia ripetute indistintamente ai danni di tutti i soggetti di uno stesso condominio.
[12] Di diverso avviso C. PARODI, Stalking e tutela penale. Le novità introdotte nel sistema giuridico dalla L.38/2009, Giuffrè, Milano, 2009, in cui l’Autore ritiene che la fattispecie di stalking costituisce una «tipizzazione più apparente che reale, in quanto sia le molestie che le minacce possono presentarsi nelle forme più disparate; forme che in concreto non potevano essere descritte dal legislatore, che ha concentrato la propria attenzione sulle conseguenze di tali condotte».
[13] A titolo meramente esemplificativo si consideri Cass. Pen., Sez. I, 14.02.2013, n. 11988, concernente un’ipotesi di molestie reiterate consistenti nel ripetuto gettito d’acqua, di foglie, di rami e di altri materiali di scarto da parte di una coppia di coniugi sopra l’ingresso del panificio sottostante la loro abitazione con lo scopo di sminuirne l’immagine, il decoro e l’igiene. Ancora, Cass. Pen., Sez. V, 15.05.2013, n. 39933, in cui è stato ritenuto colpevole del reato chi, con condotte persecutorie consistenti nell’insozzare con rifiuti di ogni genere e quasi quotidianamente l’abitazione e il cortile della persona offesa, infondeva nella medesima uno stato d’ansia e il fondato pericolo per la sua incolumità al punto da costringerla a trasferirsi altrove per alcuni periodi e a rinunciare ad intrattenere relazioni sociali presso la propria abitazione.
[14] Si pensi al divieto (ex art. 282 ter c.p.p.) prescritto all’imputato di non avvicinarsi ai luoghi abitualmente frequentati dalla persona offesa ovvero a quelli frequentati dai prossimi congiunti della persona offesa o da persone con questa conviventi o comunque legate da relazione affettiva (così, Tribunale di Padova, Ufficio G.I.P., ordinanza 15.02.2013, n. 1222) ovvero al divieto di dimora nel comune di residenza della vittima (così, Cass. Pen., Sez. V, 15.05.2013, n. 39933). Si consideri, altresì, che in alternativa alla querela o in via preventiva, la persona offesa può rivolgersi al questore al fine di chiedere l’ammonimento dello stalker (art. 8 del d.l. 11/2009) così da evitare il procedimento penale e dissuadere in ambito amministrativo il reo dalla condotta posta in essere.
[15] M. MACRI’, Stalking condominiale: progressiva tipizzazione giurisprudenziale di un reato a forma libera, in Responsabilità Civile e Previdenza, fasc. 1, 2014, 124, nota a Cass. Pen., Sez. V, 15.05.2013, n. 39933.
[16] Purtuttavia, preme sul punto segnalare come la Corte di Cassazione (cfr. Cass. Pen., Sez. V, 13.06.2012, n. 36737) ritenga ormai sufficienti anche due soli episodi di minaccia o molestia per integrare il reato di atti persecutori, così sminuendo del tutto il requisito della “reiterazione” dei comportamenti tipici.
[17] A. PULVIRENTI, Note problematiche su alcuni profili procedimentali del delitto di “atti persecutori” (stalking), in Dir. Fam. Pers., 2011, 951.
[18] Così, F. ANTOLISEI, Manuale di diritto penale, Parte speciale, vol. 1, Giuffrè, Milano, 2016, 149; G. FIANDACA – E. MUSCO, Diritto Penale, Parte speciale, op. cit., 188; F. VIGANO’, Sub art. 612, in E. DOLCINI – G.L. MARINUCCI, Codice penale commentato, II ed., Ipsoa, 2006, 4292.
[19] C. MINNELLA, Stalking condominiale: la versione camaleontica del delitto di atti persecutori, in www.altalex.com, nota a Cass. Pen., Sez. V, 26.09.2013, n. 39933, 6.
[20] Cass. Pen., Sez. V, 7.04.2011, n. 20985, che aveva parzialmente confermato – escludendo il vincolo della continuazione tra reati – la decisione del Tribunale di Torino con la quale era stato condannato l’imputato sia per il reato di violenza privata che per quello di atti persecutori in quanto responsabile di vari episodi di violenza e minaccia tenuti ai danni di alcune condomine di uno stabile.
[21] La Corte Costituzionale, con sentenza n. 359/2003, ha definito il mobbing come «il fenomeno consistente in una serie di atti o comportamenti vessatori, protratti nel tempo, posti in essere nei confronti di un lavoratore da parte dei componenti del gruppo di lavoro in cui è inserito o dal suo capo, caratterizzati da un intento di persecuzione ed emarginazione finalizzato all’obiettivo primario di escludere la vittima dal gruppo», sottolineando come le condotte possano «estrinsecarsi sia in atti giuridici veri e propri sia in semplici comportamenti materiali aventi in ogni caso, gli uni e gli altri, la duplice peculiarità di poter essere, se esaminati singolarmente, anche leciti, legittimi o irrilevanti dal punto di vista giuridico, e tuttavia di acquisire comunque rilievo quali elementi della complessiva condotta caratterizzata nel suo insieme dall’effetto e talvolta, secondo alcuni, dallo scopo di persecuzione e di emarginazione».
[22] A. BELSITO, Lo strano fenomeno del mobbing, Cacucci, Foggia, 2012, 53.
[23] Cass. Pen., Sez. VI, 22.01.2001, n. 10090.
[24] Da ultimo, Cass. Pen., Sez. VI, 13.02.2018, n. 14754. Nello stesso senso, Cass. Pen., Sez. VI, 28.03.2013, n. 28603; Cass. Pen., Sez. VI, 05.03.2014, n. 13088; Cass. Pen, Sez. VI, 28.09.2016, n. 51591; Cass. Pen., Sez. VI, 01.06.2016, n. 26766.
[25] G. PISANI, Il mobbing come stalking: prospettive e limiti, in Diritto Penale Contemporaneo, nota a Tribunale di Taranto, 7.04.2014, n. 176.
[26] P. DI FRESCO, Mobbing e atti persecutori: un’equazione ammissibile?, in Ilpenalista.it, 11.12.2020, nota a Cass. Pen., Sez. V, 14.09.2020, n. 31272.
[27] Sul punto cfr. Cass. Pen., Sez. V, 14.09.2020, n. 31273. Nel caso di specie il Tribunale del Riesame di Torino aveva applicato la misura degli arresti domiciliari per il reato di cui all’art. 612 bis c.p. nei confronti dell’amministratore delegato di una società, accusato di aver sottoposto a plurime condotte persecutorie un dipendente. Nonostante la condotta non avesse interessato la vita privata della persona offesa (così come richiede lo stalking occupazionale), ma si fosse esaurita nell’ambito del rapporto di lavoro, la Corte di Cassazione ha ritenuto configurabile il reato di atti persecutori di cui all’art. 612 bis c.p.
[28] Cass. Pen., Sez. V, 09.11.2020, n. 31273.
[29] Cass. Pen., Sez. V, 21.09.2017 n. 50438.
[30] La Corte di Cassazione, nel denegare fondamento alle censure mosse dal ricorrente (che disconosceva la configurabilità dell’art. 612 bis c.p., affermata in sede cautelare, dal Tribunale del Riesame), pur evidenziando che le condotte vessatorie allo stesso addebitate non fossero soltanto di natura giudiziaria, riconosceva al contempo la natura persecutoria e potenzialmente integrante l’ipotesi di reato contestata precisando che «appare pacifica la connotazione sistematica delle condotte persecutorie che connota la fattispecie incriminatrice di cui all’art. 612 bis c.p., la cui sussistenza, nella valutazione di gravità indiziaria, non è stata affermata soltanto sulla proposizione reiterata di denunce ed esposti (il c.d. “stalking giudiziario” contestato dal ricorrente) – la cui concreta valutazione va rimessa all’apprezzamento del giudice di merito concernente i profili fattuali della vicenda – bensì su condotte persecutorie ben più pregnanti». Cfr. sul punto L. MONACO, Quando il ricorso alla giustizia diventa vessatorio e, quindi, illegale? La questione “stalking giudiziario”, in www.zerottonove.it., 2019.
[31] Per “stalking istituzionale” si intende quella particolare forma di atti persecutori diretti a molestare le diverse istituzioni dello Stato. Si pensi alle ipotesi sempre più frequenti di cittadini che, soprattutto per ragioni meramente politiche, intraprendono una vera e propria campagna diretta contro una certa carica istituzionale o contro la “macchina amministrativa” che egli rappresenta, ricorrendo ad azioni legali per lamentare pretestuose illegittimità al solo fine di incrinare il prestigio dell’istituzione stessa e ponendola in uno stato di continua angoscia e timore.
[32] In tali casi la fattispecie di atti persecutori sarebbe peraltro destinata a concorrere con il delitto di calunnia di cui all’art. 368 c.p.
[33] Corte d’Appello di Firenze, Sez. II, 14.05.2018, n. 1057.
[34] Si pensi anche ai significativi sforzi – nonché ai cospicui costi e tempi – compiuti dall’Autorità Giudiziaria per accertare la fondatezza o meno delle reiterate criticità rilevate dal soggetto agente.
[35] M. TELESCA, Gli atti persecutori superano l’esame di costituzionalità, op. cit., 8.

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Avv. Claudia Zannelli

Avv. Claudia Zannelli, abilitata all’esercizio della professione forense e iscritta nell’Albo degli Avvocati presso il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Palermo. Cultore nelle discipline di Diritto penale (parte generale e parte speciale) e di Diritto penale dell’economia presso Università “LUMSA”, Dipartimento di Giurisprudenza di Palermo.

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