Nuove frontiere della bioetica, chiese e pluralismo confessionale europeo

Nuove frontiere della bioetica, chiese e pluralismo confessionale europeo

Sommario: 1. Nuove frontiere del panorama bioetico tra diritto e morale – 2. Bioetica, biodiritto e il ruolo del giurista – 3. Questioni bioetiche e scelte morali – 4. L’esperienza cristiana nel contesto del pluralismo confessionale europeo – 5. La dignità della persona nel diritto comunitario – 6. Qualche spunto e prospettiva per una posizione cristiana condivisa

 

1. Nuove frontiere del panorama bioetico tra diritto e morale

Lo sviluppo della medicina e delle biotecnologie e l’evoluzione storica del diritto hanno dischiuso orizzonti problematici che non interessano soltanto la ristretta cerchia di quanti, muovendo da formazioni diverse, hanno eletto la bioetica a specifico campo di interesse. Medici, ministri di culto, teologi ed operatori del diritto, nella quotidianità del loro impegno, vengono chiamati ad affrontare questioni che non possono essere affidate alla soluzione esclusiva del legislatore. Negli ultimi decenni il problema della riflessione etica nel contesto bioetico e la ricerca di un progetto comune, che metta in relazione il diritto con la morale, è di grande attualità. La riflessione bioetica contemporanea si è configurata e va configurandosi all’interno di uno specifico orizzonte storico-culturale che, nelle parole del grande bioeticista americano Engelhardt, appare «caratterizzato da accentuato scetticismo, dalla confusione legata al tramonto di certe credenze e al persistere di altre, dal pluralismo delle visioni morali e dalla presenza di sfide che non possono essere disattese (H. T. ENGELHARDT Jr., Manuale di bioetica, trad. it. Il Saggiatore, Milano, 1999, p. 38)». A questo pluralismo delle concezioni morali e religiose corrisponde un più ampio e articolato pluralismo delle visioni del mondo che conferisce all’attuale stadio della modernità un livello altissimo di complessità. Pluralismo e complessità si accompagnano, in realtà, ad altri antinomie della modernità: legge e sua imperatività e morale individuale, individuo e collettività, nazione e globalizzazione. Ed ancora, l’assenza di criteri e norme che possono unificare le società, come indicate dalla “liquidità” delle stesse, impone di trovare parametri, o, almeno, elementi unificanti e non particolari, che possano affrontare le nuove questioni aperte dai progressi della scienza, di fronte ai temi sempre nuovi della vita e della morte. Una riflessione bioetica che punti a dirimere questioni riguardanti alcune delle dimensioni più problematiche e peculiari della vita umana, quali il nascere, il morire, la salute e la malattia, in contesti profondamente medicalizzati, è chiamata, quindi, ad uno sforzo ermeneutico finalizzato alla comprensione complessiva delle diverse problematiche ed all’elaborazione di modelli, capaci di articolarsi lungo gli assi direzionali dei nuovi assetti contestuali, evitando incaute forzature o impropri riadattamenti. La riflessione morale in bioetica, in estrema sintesi, non può non tenere conto del generale processo di “privatizzazione della coscienze” in atto oramai da molti anni nelle società avanzate e frutto della centralità assegnata al soggettivismo che conduce, portato agli estremi, a cancellare qualsiasi paradigma di riferimento. Il mondo della ricerca si intreccia, quindi, con il fattore costituito dal processo di privatizzazione della coscienza, come risultato di «una nuova mentalità post-moderna dove il singolo individuo, sconvolgendo gli schemi antropologici tradizionali, stabilisce il fine da raggiungere e si avvale di tutti gli strumenti che permettono di raggiungerlo in modo efficace ed efficiente  (M. ARAMINI, Bioetica e Religioni, Paoline Editoriale Libri, Milano 2007 – p.31)»,  quindi senza riferimenti a criteri o a verità oggettive a cui tradizionalmente si attingeva e da cui venivano posti limiti, oggi valicati.

2. Bioetica, biodiritto e il ruolo del giurista

A partire dagli anni Ottanta del secolo scorso si è andata progressivamente costituendo – se non una nuova disciplina – un autonomo ambito d’indagine, quello del “ biodiritto ”, distinto tanto dalla bioetica generale, quanto dall’etica medica e dalle singole branche giuridiche. Nel cammino percorso dagli esordi fino a oggi, il biodiritto è andato via via ampliando e arricchendo il proprio raggio di competenza – di pari passo con l’esplosione delle nuove questioni legate allo sviluppo della bioetica – e ciò ha contribuito alla progressiva individuazione di sotto-settori biogiuridici: dai profili generali della relazione medico-paziente, al trattamento del malato psichiatrico, ai temi della fecondazione assistita e della tutela dell’embrione, alla maternità surrogata, e ancora alle decisioni di fine vita. Molti di questi temi hanno immediati risvolti di carattere penalistico, dal momento che pongono in causa la possibile responsabilità del personale sanitario, o comunque sono oggetto di regolamentazioni legislative che utilizzano largamente lo strumento del diritto penale. Così, recentemente, si è cominciato a parlare anche di un “biodiritto penale” quale specifico campo d’indagine attinente alle problematiche nascenti dall’incontro fra riflessione giuspenalistica e questioni bioetiche. Considerando il multiculturalismo con i suoi rischi di differenziazione e di conflittualità, e chiarita la necessità di un rapporto intercorrente tra bioetica e diritto, è opportuno chiedersi, a questo punto, in che termini è scientificamente legittimato a occuparsi di bioetica il giurista, in quanto tale;  «giurista alle prese con l’arduo compito di esplicare la sua specifica funzione in un settore così delicato ed eticamente sensibile (S. BERLINGO’, Bioetica, biodiritto e il contributo scientificamente legittimato, en juriste, dell’ecclesiasticista  in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, Rivista telematica www.statoechiese.it, n. 25/2015 ,  p. 1 ss.)». Infatti, se appare fondata la tesi della necessaria integrazione delle due sfere dell’umana esperienza (etica e diritto), pur nel rispetto della reciproca autonomia, un vincolo preciso presidia l’operare del giurista: quello di non prevaricare alcuna delle opzioni morali esistenti in seno alla comunità ma porsi, viceversa, al servizio del loro coordinamento.  In quest’ottica il contributo del giurista, che metta scrupolosamente e coerentemente a frutto il proprio peculiare bagaglio di esperienze e competenze, può essere utile ai fini di giovare a una fruttuosa e costruttiva convivenza di posizioni di partenza così distanti.

3. Questioni bioetiche e scelte morali

E’ inevitabile una riflessione circa le ragioni e le implicazioni di una regolazione giuridica della bioetica preoccupata di muoversi tra le diverse strade della morale. Da una parte, potremmo segnalare la posizione di una corrente che guarda con favore al diritto come ad uno strumento per affermare una particolare visione morale, la morale che gli uomini devono solo riconoscere  come orizzonte di fini e di valori rispetto ai quali, nonostante le professioni di apertura al confronto e al dialogo, non può esservi spazio per il dissenso o per atteggiamenti diversi dall’accettazione.  Dall’altra, la posizione di chi considera il diritto strumento di compatibilità e di coesistenza di diverse visioni morali, la morale come orizzonte in cui individui portatori di valori, di fini, di principi spesso divergenti giungono, pacificamente, all’individuazione delle linee d’azione da adottare nelle diverse circostanze, grazie al riconoscimento che, con l’unico limite del danno agli altri, ogni individuo adulto e consapevole ha diritto di vivere secondo le proprie convinzioni e i propri principi morali. Scarpelli, tra i fondatori della scuola analitica italiana di filosofia del diritto assieme a Norberto Bobbio, così rappresentava il dilemma che si pone tra l’etica e il diritto con «la scelta etica di dettar  norme e stabilire valori per tutti oppure la scelta etica di lasciare a ciascuno la ricerca della propria strada, sul presupposto che la scelta altrui valga, per chi la fa, non meno della scelta da me fatta per me stesso (U. SCARPELLI, La bioetica. Alla ricerca dei principi IN Biblioteca della libertà, Centro Einaudi, Anno XXII, n. 99, ottobre -dicembre 1987, p. 20)». La preferenza accordata alla seconda corrente fa tutt’uno con la convinzione “laica” e non “laicista” che quella della tolleranza, o forse meglio, del rispetto delle convinzioni morali degli individui, sia la sola strada percorribile per garantire la realizzazione di qualunque sistema di valori, dei sistemi di valori in cui si sostanziano le etiche laiche ma anche dei sistemi di valori propri delle confessioni religiose.

4. L’esperienza cristiana nel contesto del pluralismo confessionale europeo

Un analisi del rapporto tra i principi delle diverse aree confessionali e la ricerca di un progetto comune di  “tolleranza/rispetto delle singole convinzioni” come auspicato da Scarpelli, si rende interessante e più che mai necessario. Un dibattito produttivo è stato promosso dalle confessioni cristiane che operano in Europa nei diversi ambiti e che trovano un riconoscimento della loro funzione, non solo per il ruolo religioso ma anche per le esperienze di cui sono portatrici e che arricchiscono il quadro sociale complessivo. Le confessioni cristiane offrono spunti utili in materia, nel tentativo di rispondere all’esigenza collettiva di una visione unificante del senso autentico della vita umana. La vita umana è un concetto cardine della bioetica. In questo senso, la domanda su “che cos’è la vita umana” è la domanda prima ed ultima della bioetica. Si potrebbe affermare quindi che «l’etica in quanto disposizione interiore e virtù del sanitario ha profonde radici religiose e trae da esse forti impulsi (G.M. PIZZUTI (a cura di), Pluralismo etico e normativa della bioetica, Quaderni di bioetica, Editrice Ermes, Potenza 1992, p. 19)». La bioetica non può prescindere da un discorso metaetico sulla vita né da una filosofia della vita, perché la vita è la soluzione di ogni questionario bioetico. La vita è ciò che struttura l’epistemologia bioetica secondo una “ricerca di senso”: senza la vita e gli insegnamenti confessionali in materia, l’argomentare della bioetica è senza ragione, senza finalità, senza dimensioni. La vita, infatti, per i Cristiani è misura di ogni dimensione e di ogni percorso bioetico; è il criterio e la legittimazione stessa della bioetica come ricerca scientifica. La bioetica ha come oggetto, come legittimità e come metodo la vita; e, pertanto, è scienza della vita, sulla vita e per la vita.

5. La dignità della persona nel diritto comunitario

Analizzando il pensiero sulla dignità umana, abbracciata dal Cristianesimo, è importante segnalare la costante attenzione da parte del diritto comunitario. Passo importante sulla “Dignità della persona” è stato compiuto dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, approvata dal Parlamento europeo nel 2000 e riconosciuta dal Trattato di Lisbona del 2007. Questo testo dedica alla dignità umana un capitolo apposito (CAPO I, art. 1 -5) e la considera come una categoria specifica comprendente un gruppo di diritti (quali il diritto alla vita, all’integrità personale, a non essere torturati o soggetti a trattamenti disumani o degradanti, a non essere ridotti in schiavitù o sottomessi a condizioni servili, ecc.). Si evidenzia così una questione molto importante per il modo d’intendere la dignità umana e il suo rapporto con la bioetica: la dignità umana è un valore trascendente che viene storicamente concretizzato sulla base dello sviluppo del senso morale e delle emergenti minacce alla specie umana? È una supercategoria che comprende in sé tutti i diritti umani? Oppure è un’espressione riassuntiva per indicare un particolare gruppo di diritti? Nel primo caso la dignità non è propriamente un diritto ma un valore universale e che rinvia al trascendentale che fonda e consente di mantenere aperta la lista dei diritti e la loro indivisibilità. Nel secondo caso, come afferma Viola, è la sintesi di tutti i diritti, che non sono concepiti come slegati fra loro ma appartenenti a una globalità, sicché la violazione dell’uno non permette il pieno rispetto di tutti gli altri (F. VIOLA, Dalla natura ai diritti. I luoghi dell’etica contemporanea, Laterza, Roma-Bari 1997, pp. 274-276 ). Nel terzo caso è un complesso di diritti particolari legati alla qualità della vita, al rispetto dell’autonomia privata, alla non discriminazione sociale e al trattamento umanitario. Questo nucleo specifico di diritti ha un suo dinamismo interno che è diretto verso il traguardo – già anticipato da Cartesio – che la dignità umana debba consistere alla fin dei conti nello stare bene con se stessi. Si configura così: «un altro modo di formulare il concetto di dignità umana non più intesa come valore ontologico e neppure come valore di esclusiva scuola cristiana ma come percezione di benessere personale, da una parte, e come atteggiamento di rispetto per la condizione umana dall’altra (J. FEINBERG, Social Philosophy, Englewood Cliffs, N.J., 1973, pp. 93-94)». Si pensi a questi spunti di riflessione quando si distingue tra vita biologica e vita biografica oppure ci si interroga sulle condizioni “dignitose” di vita del malato terminale. Ma con ciò si ritorna ancora una volta al narcisismo sociale che soffoca il pensiero religioso, in quanto alla fin dei conti è pur sempre la società a stabilire a quali condizioni la vita umana sia “degna” di essere vissuta oppure, al contrario, quando ci si chiede se la società debba assecondare qualsiasi preferenza legata al benessere individuale, anche quando questa consiste in atti di disposizione del proprio corpo o di rinuncia ai propri diritti. È certamente implicito nel concetto di dignità umana l’esclusione di ogni manipolazione dell’essere umano. Infine, la considerazione della dignità umana alla stregua di un gruppo particolare di diritti sarebbe d’ostacolo al dialogo interculturale, che più agevolmente può trovare nel valore trascendentale della dignità umana un terreno comune rispetto al discorso sui diritti, che è necessariamente condizionato dalle particolari vicende storiche e culturali.

6. Qualche spunto e prospettiva per una posizione cristiana condivisa

Il tentativo di ricerca dei fondamenti bioetici per una posizione cristiana condivisa, passa attraverso un ambito specifico quello della “Bioetica ecumenica” che si pone come momento essenziale e vitale di questo progetto. L’ecumenismo, in quanto movimento che tende a riavvicinare fedeli della diverse Chiese – oltre ad identificarsi a pieno titolo tre le nuove frontiere e stimoli per questo campo di studio – può rappresentare un occasione unica per sfatare il tabù dell’impossibilità di un dialogo a 3 tra fede, diritto e scienza. La relazione tra bioetica ed ecumenismo, per fondersi in una realtà produttiva, ha bisogno di scoprire i fondamenti teologici di questo rapporto. Determinante è quel contributo da parte della teologia ecumenica nell’accogliere le istanze e le sfide che la bioetica in tutte le sue sfaccettature le propone di discutere e analizzare. Ma per cogliere questi fondamenti in proiezione ecumenica ci sono da analizzare prima di tutto i basilari criteri ermeneutici della questione della vita del cosmo e dell’uomo, espressi dalla tradizione occidentale e orientale, rivelati dalla storia della teologia. Con particolare attenzione al pluralismo delle visioni in materia di “dignità della persona” ed “indisponibilità della vita umana”, espressi in maniera sintetica e concisa dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea. In questo modo sarà possibile prospettare un’etica ecumenica della creazione e della vita umana che sappia giustificare le condizioni di possibilità del corretto atteggiamento verso il cosmo e l’uomo stesso, in quanto l’uomo è capace di rispettare le creature nella misura in cui porta nel proprio spirito un senso pieno della vita, altrimenti sarà portato a disprezzare se stesso e ciò che lo circonda, a non avere rispetto dell’ambiente in cui vive, del creato. Il futuro dell’uomo e della società intera, infatti, dipendono dalla promozione del vangelo della vita che  «non è esclusivamente per i credenti: è per tutti. […] il Vangelo della vita è per la città degli uomini. Agire a favore della vita è contribuire al rinnovamento della società mediante l’edificazione del bene comune. non è possibile, infatti, costruire il bene comune senza riconoscere e tutelare il diritto alla vita, su cui si fondano e si sviluppano tutti gli altri diritti inalienabili dell’essere umano (GIOVANNI PAOLO II, Lett. enc. Evangelium Vitae, 1995, n. 101 )» . È perciò sul rispetto del creato e della vita che si potrebbe ricercare un’intesa tra Chiese, in un’ottica di dialogo e condivisione, e di esperimento nella possibilità di trovare punti di incontro bioetici anche tra altre confessioni religiose e correnti di pensiero, affidando sempre al diritto lo strumento di sintesi e tutela di queste visioni.

 

 

 

 

 


Bibliografia
VIOLA, Dalla natura ai diritti. I luoghi dell’etica contemporanea, Laterza, Roma-Bari 1997
G.M. PIZZUTI (a cura di), Pluralismo etico e normativa della bioetica, Quaderni di bioetica, Editrice Ermes, Potenza 1992
GIOVANNI PAOLO II, Lett. Enc. Evangelium Vitae, 25 marzo 1995, LEV, Città del Vaticano 1995
T. ENGELHARDT Jr., Manuale di bioetica, trad. it. Il Saggiatore, Milano 1999
FEINBERG, Social Philosophy, Englewood Cliffs, N.J. 1973
ARAMINI, Bioetica e Religioni, Paoline Editoriale Libri, Milano 2007
BERLINGO’, Bioetica, biodiritto e il contributo scientificamente legittimato, en juriste, dell’ecclesiasticista IN Stato, Chiese e pluralismo confessionale, Rivista telematica www.statoechiese.it, n. 25/2015
SCARPELLI, La bioetica. Alla ricerca dei principi IN Biblioteca della libertà, Centro Einaudi, Anno XXII n. 99, ottobre – dicembre 1987

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