Nuovo profilo di incostituzionalità dell’art. 69, co. 4, c.p.: il divieto di prevalenza dell’attenuante della lieve entità del fatto nell’ipotesi di reato di sequestro di persona a scopo di estorsione

Nuovo profilo di incostituzionalità dell’art. 69, co. 4, c.p.: il divieto di prevalenza dell’attenuante della lieve entità del fatto nell’ipotesi di reato di sequestro di persona a scopo di estorsione

Corte Costituzionale, Sentenza n. 143/2021

Sommario: 1. Premessa – 2. La vicenda – 3. Il reato di sequestro di persona a scopo di estorsione e l’ipotesi attenuata del fatto di lieve entità – 4. Il contenuto dell’ordinanza di rimessione – 5. La motivazione della Consulta – 6. Conclusioni

 

1. Premessa

A pochi mesi di distanza dalla pronuncia n. 55 del 2021, la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 143 del 2021, è tornata sul tema dell’impossibilità di stabilire la prevalenza delle circostanze attenuanti nel caso in cui sia ritenuta integrata la recidiva reiterata ai sensi dell’art. 69 co. 4 c.p., sancendo l’incostituzionalità della norma nella parte in cui non consente di ritenere prevalente la circostanza della lieve entità del fatto, in caso di soggetto recidivo, nell’ipotesi di reato del sequestro di persona a scopo di estorsione ai sensi dell’art. 630 c.p.

Ancora una volta, pertanto, si assiste ad un intervento demolitivo della Consulta, nel tentativo di restituire legittimità costituzionale ad una norma che, dato il significativo numero di pronunce che hanno evidenziato altrettanti profili di incostituzionalità, necessita evidentemente di un intervento legislativo, volto a superare, salvo casi espressamente motivati, il divieto di prevalenza delle circostanze attenuanti in caso di contestata recidiva reiterata.

2. La vicenda

La pronuncia oggetto di trattazione trae origine dall’ordinanza del 08.09.2020 della Prima Sezione Penale della Corte di Cassazione, iscritta al n. 158 del Registro ordinanze del 2020, pubblicata in G.U. al n. 47, prima serie speciale del 2020, ed ha ad oggetto l’art. 69 co. 4 c.p., nella formulazione di cui all’art. 3 della Legge n. 251/2005, in riferimento agli artt. 3 e 27 Cost., nella parte in cui impone il divieto di prevalenza della circostanza attenuante del fatto di lieve entità sulla circostanza aggravante della recidiva di cui all’art. 99 co.4 c.p., nell’ipotesi di reato di sequestro di persona a scopo di estorsione.

Il fatto oggetto dell’ordinanza di rimessione è da inquadrare nell’ambito di una associazione per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti, i cui cinque componenti sono stati imputati del reato di sequestro di persona a scopo di estorsione, fattispecie delittuosa in riferimento alla quale è stata riconosciuta, in grado di appello, l’attenuante del fatto di lieve entità, in quanto il sequestro era stato operato per poche ore nei confronti di un associato, al fine di costringerlo a versare la somma di € 1.400,00, quale ricavato della vendita di una piccola quantità di stupefacente affidatagli, e di ottenere la restituzione di una pistola appartenente al sodalizio criminale, della quale si era impossessato.

Il Giudice di seconde cure ha inoltre provveduto a rimodulare la pena degli imputati, differenziandola in base alla contestazione o meno della circostanza aggravante di cui all’art. 99 co. 4 c.p. Ragion per cui è stata operata una significativa diminuzione della pena inflitta in primo grado a fronte del riconoscimento dell’attenuate di cui all’art. 311 c.p.[1] nella misura in cui essa è stata ritenuta prevalente rispetto all’aggravante del numero di concorrenti nel reato ai sensi dell’art. 112 co. 1, n. 1 c.p.[2]

Per quanto concerne invece gli imputati a cui è stata contestata la circostanza aggravante della recidiva reiterata, il Giudice di seconde cure non ha potuto far altro che riconoscere la circostanza attenuante in misura equivalente alla recidiva e alla contestata aggravante del numero di concorrenti, con la conseguenza di dover applicare una pena nei confronti di questi ultimi molto più elevata rispetto a quella dei coimputati.

3. Il reato di sequestro di persona a scopo di estorsione e l’ipotesi attenuata del fatto di lieve entità

Prima di procedere all’analisi della motivazione contenuta nell’ordinanza di remissione alla Corte Costituzionale, occorre ripercorrere le tappe legislative che hanno condotto all’attuale formulazione dell’art. 630 c.p. e all’introduzione dell’ipotesi attenuata in caso di lieve entità del fatto.

Il trattamento sanzionatorio comminato nell’ipotesi di sequestro di persona a scopo di estorsione è stato oggetto di numerosi interventi legislativi, i quali si sono resi necessari a causa del gran numero di sequestri di persona posti in essere negli anni ’70, con il fine di ottenere il riscatto per la liberazione. Interventi legislativi culminati in una nuova definizione dell’art. 630 c.p., intervenuta con l’art. 1 Legge n. 894/1980, la quale ha comportato un significativo mutamento della cornice edittale del reato da 25 a 30 anni di reclusione, inizialmente stabilita da 8 a 15 anni.

Il minimo della pena è stato pertanto quadruplicato rispetto al regime ante riforma, circostanza che, da un punto di vista pratico, comporta l’irrogazione di una pena più elevata rispetto a quella prevista per l’omicidio volontario, mentre il massimo della pena risulta raddoppiato e portato al limite estremo della pena detentiva ai sensi dell’art. 78 c.p.[3], ben oltre il limite massimo della reclusione stabilito in via generale dall’art. 23 c.p.[4] in 24 anni.

In precedenti pronunce, la Consulta, investita della questione di legittimità costituzionale dell’art. 630 c.p., non ha mancato di evidenziare come si tratti di una risposta sanzionatoria particolarmente aspra[5], la quale finisce per trovare applicazione anche in presenza di condotte di assai minore gravità rispetto a quelle che mirava a contrastare la normativa emergenziale, episodi che si pongono come dissimili sia sul piano criminologico sia del tasso di disvalore rispetto alle condotte che l’intervento legislativo mirava a scongiurare, trattandosi di fatti che non costituiscono un pericolo per la persona offesa né si inseriscono in un contesto associativo in cui vi è il ripetersi delle predette condotte.

È nell’ambito di tale contesto che deve essere collocata la circostanza attenuante della lieve entità del fatto di cui all’art. 311 c.p., circostanza inizialmente prevista solo nell’ipotesi di reato di sequestro di persona a scopo di terrorismo o di eversione ed estesa anche all’ipotesi di reato di sequestro di persona a scopo di estorsione a fronte della pronuncia della Consulta n. 68 del 2012, la quale ha dichiarato l’incostituzionalità parziale della normativa di cui all’art. 630 c.p. nella parte in cui non prevede che la pena da essa comminata è diminuita quando per la natura, la specie, i mezzi, le modalità o circostanze dell’azione, ovvero per la particolare tenuità del danno o del pericolo, il fatto risulti di lieve entità.

Nella medesima sentenza la Consulta ha avuto modo di evidenziare la ratio normativa sottesa alla circostanza attenuante in esame affermando che essa “consiste propriamente nel mitigare – in rapporto ai soli profili oggettivi del fatto (caratteristiche dell’azione criminosa, entità del danno o del pericolo) – una risposta punitiva improntata a eccezionale asprezza e che, proprio per questo, rischia di rivelarsi incapace di adattamento alla varietà delle situazioni concrete riconducibili al modello legale”.

Può pertanto affermarsi che la circostanza attenuante del fatto di lieve entità è una normativa essenziale al fine di riequilibrare il trattamento sanzionatorio comminato ai sensi dell’art. 630 c.p., in ragione del fatto che l’asprezza della risposta punitiva contenuta nell’art. 1 Legge n. 894/190 è rimasta in vigore anche una volta cessata la situazione emergenziale che ne ha resa necessaria l’introduzione.

4. Il contenuto dell’ordinanza di remissione

Partendo dalla ratio dell’attenuante del fatto di lieve entità di cui alla pronuncia della Consulta n. 68 del 2012, la Sezione remittente della Suprema Corte, individua un profilo di incostituzionalità della normativa censurata nella violazione del combinato disposto degli artt. 3 e 27 co. 3 Cost. ovvero del principio di proporzionalità della pena rispetto alla condotta contestata all’imputato, principio la cui violazione comporta di per sé il venir meno della finalità rieducativa della pena.

Analizzando la giurisprudenza costituzionale relativa ai profili di incostituzionalità dell’art. 69 co. 4 c.p., il remittente si sofferma in particolar modo sulla motivazione della pronuncia n. 251 del 2012, con cui la Consulta ha dichiarato incostituzionale il divieto di prevalenza della circostanza attenuante di cui all’art. 73 co. 5 D.P.R. n. 309/1990 in caso di recidiva reiterata, sulla base dell’assunto secondo cui tale divieto va ad equiparare da un punto di vista sanzionatorio le fattispecie di reato previste ai sensi dell’art. 73 co. 1 e 5, facendo venir meno le differenziazioni in punto offensività, con conseguente violazione del principio di uguaglianza e di proporzionalità della pena.

L’impossibilità di prevedere, nel giudizio di bilanciamento delle circostanze del reato, la prevalenza della circostanza attenuante, in caso di contestata recidiva reiterata, ha infatti come conseguenza immediata e diretta l’applicazione di una pena sproporzionata che fa venire meno il valore rieducativo della stessa.

Gli stessi profili di incostituzionalità sono rinvenibili anche nel caso della circostanza attenuante della lieve entità del fatto, nell’ipotesi di reato di sequestro di persona a scopo di estorsione, con conseguente violazione dei principi di cui agli artt. 3 e 27 Cost.

Considerazioni differenti sono state invece svolte dal Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato dall’Avvocatura dello Stato, con atto di costituzione in giudizio del 09.12.2020, il quale ha evidenziato l’infondatezza delle questioni sollevate sulla base dell’assunto secondo cui, essendo venuto meno il requisito dell’obbligatorietà dell’applicazione della recidiva reiterata[6], è il solo organo giudicante a dover valutare se, nel caso sottoposto al suo giudizio, vi sia o meno necessità di provvedere ad un aumento di pena, valutazione da compiere solo nel caso in cui il nuovo episodio delittuoso appaia significativo in relazione alla natura e alla commissione dei precedenti reati con riferimento ai parametri di cui agli artt. 133 c.p., a fronte dell’accentuata colpevolezza e della maggiore pericolosità del reo.

Dalle considerazioni che precedono deriverebbe pertanto il venir meno di qualsiasi forma di automatismo relativamente all’applicazione della recidiva reiterata, con conseguente venir meno dell’altrettanto automatico effetto preclusivo della suddetta aggravante.

L’Avvocatura dello Stato evidenzia inoltre come la ratio della normativa di cui all’art. 69 co. 4 c.p. sia da ravvisare nell’esigenza di assicurare una sanzione più rigorosa a fronte di una condotta che è espressione di un più intenso grado di pericolosità e lesività con conseguente aumento della pena comminata al reo, sulla base della gravità oggettiva e soggettiva della condotta.

Per le motivazioni che precedono, a detta dell’Avvocatura dello Stato non sarebbe pertanto ravvisabile alcuna forma di contrasto con il principio di uguaglianza e proporzionalità della pena, a fronte di una normativa dalla natura generalpreventiva.

5. La motivazione della Consulta

La Consulta ritiene fondata la questione di costituzionalità sollevata in relazione all’art. 69 co. 4 c.p. con riferimento agli artt. 3 e 27 Cost., evidenziando come, data l’asprezza del trattamento sanzionatorio comminato dall’art. 630 c.p., l’impossibilità di applicare in misura prevalente la diminuzione della pena prevista dall’attenuante della lieve entità del fatto, in caso di contestata recidiva reiterata, leda il principio di proporzionalità della pena, in quanto impedisce il necessario adeguamento della stessa al fatto di particolare tenuità.

Conseguenza immediata dell’applicazione di un trattamento sanzionatorio sproporzionato rispetto alla condotta oggetto di giudizio è quella di vanificare la funzione rieducativa della pena, oltre a comportare un’evidente lesione del principio di uguaglianza in ragione di un’ingiustificata risposta sanzionatoria, marcatamente diversa rispetto a quella comminata nei confronti dei correi.

Preso atto della natura e dell’asprezza del trattamento sanzionatorio comminato dall’art. 630 c.p., la Consulta evidenzia come dalla mancata possibilità di applicare la circostanza attenuante della lieve entità del fatto derivi il concreto rischio che venga applicata una risposta punitiva eccessivamente dura in presenza di condotte di assai minore gravità rispetto a quelle che mirava a contrastare la normativa emergenziale, con evidenti ripercussioni irrazionali sul sistema.

Nella fattispecie delittuosa così descritta finirebbero infatti per rientrare anche ipotesi di sequestri di breve durata o finalizzati ad ottenere dalla persona offesa una prestazione che l’esecutore ritiene essergli dovuta[7] oppure volti a conseguire un interesse di natura non patrimoniale[8].

Proprio la consapevolezza che nell’ipotesi di reato in esame possano rientrare anche fatti di minore gravità è ciò che ha spinto il Legislatore ad introdurre una circostanza attenuante ad hoc ai sensi dell’art. 3 co. 3 Legge n. 718/1985. Norma che, come affermato dalla Consulta, con la sentenza n. 68 del 2012, trova la sua ratio nella volontà di riequilibrare il sistema sanzionatorio di cui all’art. 630 c.p., connotato da una particolare asprezza derivante dal pericolo sociale, attualmente cessato, che la normativa stessa mirava a limitare.

La situazione si complica ulteriormente laddove, oltre alla circostanza attenuante della lieve entità del fatto, concorra l’aggravante della recidiva reiterata ai sensi dell’art. 99 co. 4 c.p., caso in cui il giudice di merito è condizionato dal divieto di prevalenza della circostanza attenuante rispetto alla recidiva contestata di cui all’art. 69 co. 4 c.p., essendo possibile il solo giudizio di equivalenza a far data dall’introduzione della Legge n. 251/2005.

A tal proposito occorre rilevare, come più volte evidenziato dalla giurisprudenza costituzionale, che deroghe al regime di bilanciamento delle circostanze eterogenee sono ammissibili soltanto se non “trasmodino nella manifesta irragionevolezza o nell’arbitrio[9] non potendo in alcun caso giungere “a determinare un’alterazione degli equilibri costituzionalmente imposti sulla strutturazione della responsabilità penale[10].

Tenuto conto di quanto precede, in più occasioni la Consulta ha ritenuto parzialmente incostituzionale l’art. 69 co. 4 c.p., restituendo al giudice di merito la possibilità di stabilire, nell’ambito dell’obbligatorio giudizio di bilanciamento, la prevalenza delle circostanze attenuanti rispetto alla contestata recidiva reiterata, in pronunce aventi ad oggetto attenuanti espressive di un minor disvalore della condotta dal punto di vista della sua portata offensiva ovvero connotate dalla minore gravità del fatto[11].

Nel caso di specie, pur essendo prevista una circostanza attenuante in presenza di una condotta di minore offensività nell’ipotesi di reato del sequestro di persona a scopo di estorsione, essa, a differenza di quanto avvenuto nei precedenti giudizi di legittimità costituzionale, non è una circostanza ad effetto speciale, con conseguente diminuzione della pena in misura superiore ad un terzo, ma bensì trattasi di una circostanza comune.

Tale ultimo aspetto risulta però superato, in virtù della più recente giurisprudenza costituzionale, nel cui ambito sono rinvenibili pronunce di illegittimità parziale dell’art. 69 co. 4 c.p. anche in presenza di circostanze comuni[12].

Il caso più recente è rappresentato dalla sentenza n. 55 del 2021, nel cui ambito la Consulta ha dichiarato l’incostituzionalità parziale dell’art. 69 co. 4 c.p. con riferimento all’ipotesi del concorso anomalo nel reato ai sensi dell’art. 116 co. 1 c.p., nell’ipotesi in cui il reato commesso risulti più grave rispetto a quello voluto da taluno dei concorrenti, in quanto fattispecie la cui ratio va ravvisata nella volontà di apportare un necessario riequilibrio del trattamento sanzionatorio.

Analoga necessità di provvedere al riequilibrio del trattamento sanzionatorio è ravvisabile nel caso in esame, in primo luogo, in virtù della ratio sottesa all’art. 630 c.p., normativa emergenziale dettata al fine di dare risposta a gravi situazioni di criminalità organizzata, ma di fatto utilizzata anche in situazioni di modesta entità.

L’attenuante della lieve entità del fatto, in secondo luogo, presenta delle particolarità sia perché inserita nell’art. 630 c.p., a fronte della sentenza di illegittimità costituzionale n. 68 del 2012, sia in quanto trova speciale giustificazione nelle caratteristiche oggettive della fattispecie incriminatrice e nella particolare cornice edittale della pena. Inoltre, trattasi di una circostanza che rileva sul piano dell’offensività in quanto presuppone una valutazione complessiva del fatto di reato, in rapporto tanto all’evento di per sé considerato quanto alla natura, specie, mezzi, modalità della condotta, entità del danno o del pericolo per il sequestrato, avuto riguardo alle modalità della privazione della libertà personale e alla portata dell’ingiusto profitto perseguito dall’autore della condotta estorsiva.

Ne consegue che prevedendo l’art. 69 co. 4 c.p. l’impossibilità di ritenere prevalente l’attenuante della lieve entità del fatto, nel caso in cui venga contestata la recidiva reiterata, esso vanifica la funzione mitigratrice della norma, effetto già rilevato dalla Consulta con la sentenza n.68 del 2012, i cui principi sono confluiti nella sentenza n. 55 del 2021, nell’ipotesi del concorso anomalo nel reato.

È solo con la previsione legislativa costituita dalla facoltà del giudice di applicare una diminuzione della pena in misura non eccedente un terzo che si determina un riequilibrio del trattamento sanzionatorio che diversamente apparirebbe eccessivamente rigido.

Diversamente un’”abnorme enfatizzazione” della recidiva[13], circostanza soggettiva che rappresenta un indice di rimproverabilità e pericolosità, vanificherebbe il principio di proporzionalità della pena rispetto all’offensività del fatto.

Inoltre, come affermato dalla sentenza della Consulta n. 205 del 2017, pur considerando che la recidiva reiterata è indice di colpevolezza e pericolosità, essi non sono elementi tali da assumere nel processo di individualizzazione della pena una rilevanza tale da renderli comparativamente prevalenti rispetto al fatto oggettivo.

Diversamente da quanto affermato, prevedendo l’art. 69 co. 4 c.p. il divieto assoluto di prevalenza della circostanza attenuante in caso di recidiva reiterata, tale normativa lede il principio di proporzionalità della pena, “con ciò frustando, irragionevolmente, gli effetti che l’attenuante mira ad attuare e compromettendone la necessaria funzione di riequilbrio sanzionatorio[14], facendo venir meno conseguentemente la funzione rieducativa della pena di cui all’art. 27 co. 3 c.p.

Risulta inoltre violato il principio di uguaglianza in senso materiale ai sensi dell’art. 3 Cost. in quanto la norma censurata vanifica la ratio della circostanza attenuante in esame, la quale mira a sanzionare in modo differente situazioni differenti sul piano dell’offensività della condotta.

Sulla base delle considerazioni che precedono deriva la dichiarazione di parziale incostituzionalità dell’art. 69 co. 4 c.p. nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza della lieve entità del fatto nell’ipotesi di reato di sequestro di persona a scopo di estorsione, nel caso in cui sia contestata la recidiva reiterata.

5. Conclusioni

La sentenza di cui in commento, pronunciata a pochi mesi di distanza dalla pronuncia n. 55 del 2021, pone in evidenza una falla del sistema di bilanciamento in caso di circostanze eterogenee, qualora sia ritenuta sussistente, a discrezione dell’organo giudicante, la recidiva reiterata. La numerosa giurisprudenza costituzionale in materia è infatti granitica nell’intenzione di restituire al sistema di bilanciamento delle circostanze dei canoni rispondenti ai principi di proporzionalità della pena e di uguaglianza, da intendersi quale risposta sanzionatoria adeguata ai differenti casi concreti sottoposti al giudizio del giudice.

Considerate pertanto le ormai numerose eccezioni presenti rispetto al regime di cui all’art. 69 co. 4 c.p., a fronte delle altrettanto numerose pronunce della Consulta intervenute sul tema, sarebbe opportuno procedere ad una riforma normativa tesa a rimuovere i profili di incostituzionalità del sistema della recidiva reiterata, eliminando l’attuale regime di restrizioni che impedisce all’organo giudicante di ritenere prevalenti eventuali circostanze attenuanti rispetto all’aggravante contestata, eventualità che consentirebbe di adeguare il sistema sanzionatorio alle esigenze del singolo fatto di reato, evitando lesioni del principio di proporzionalità della pena ed al contrario valorizzandone il rapporto con l’offensività del reato, al fine di non vanificare il valore rieducativo che deve improntare ogni trattamento sanzionatorio irrogato.

 

 

 

 

 

 


[1] Art. 311 c.p.: “Le pene comminate per i delitti preveduti da questo titolo sono diminuite quando per la natura, la specie, i mezzi, le modalità o circostanze dell’azione, ovvero per la particolare tenuità del danno o del pericolo, il fatto risulti di lieve entità”. Tale attenuante, a fronte della sentenza della Consulta n. 68 del 2012, risulta applicabile anche nel caso del reato di sequestro di persona a scopo di estorsione ai sensi dell’art. 630 c.p. Con la predetta sentenza la Consulta ha affermato l’incostituzionalità dell’art. 630 c.p. nella parte in cui non prevede l’applicazione al reato di sequestro di persona a scopo di estorsione dell’attenuante di cui all’art. 311 c.p., già applicabile all’ipotesi di reato di sequestro a scopo di terrorismo o eversione ai sensi dell’art. 289 bis c.p.
[2] L’art. 112, co. 1, n.1 stabilisce che la pena da infliggere per il reato commesso è aumentata “se il numero di persone, che sono concorse nel reato, è di cinque o più, salvo che la legge disponga altrimenti”.
[3] L’art. 78 c.p. prevede che “Nel caso di concorso di reati preveduto dall’articolo 73, la pena da applicare a norma dello stesso articolo non può essere superiore al quintuplo della più grave fra le pene concorrenti, né comunque eccedere: 1. Trenta anni per la reclusione; 2. Sei anni per l’arresto; 3. Euro 15.493 per la multa e euro 3.098 per l’ammenda, ovvero euro 64.557 per la multa e euro 12.911 per l’ammenda, se il giudice si vale della facoltà di aumento indicata nel capoverso dell’articolo 133 bis. Nel caso di concorso di reati preveduto dall’art. 74, la durata delle pene da applicare a norma dell’articolo stesso non può superare gli anni trenta. La parte della pena eccedente tale limite è detratta in ogni caso dall’arresto”.
[4] L’art. 23 c.p. prevede che: “La pena della reclusione si estende da quindici giorni a ventiquattro anni, ed è scontata in uno degli stabilimenti a ciò destinati, con l’obbligo del lavoro e con l’isolamento notturno. Il condannato alla reclusione, che ha scontato almeno un anno della pena, può essere ammesso al lavoro all’aperto.”.
[5] Corte Cost. n. 68/2012.
[6] Corte Cost. n. 145/2018 e n. 120/2017.
[7] Cass. S.U., n. 962/2004.
[8] Cass., Sez. V, n. 8352/2016.
[9] Corte Cost. n. 68/2012; n. 205/2017.
[10] Corte Cost. n. 251/2012; n. 73/2020.
[11] Così: la “lieve entità” nel delitto di produzione e traffico illecito di stupefacenti (Corte Cost. n. 251/2012); la “particolare tenuità” nel delitto di ricettazione (Corte Cost. n. 105/2014); la “minore gravità” nel delitto di violenza sessuale (Corte Cost. n. 106/2014); il “danno patrimoniale di speciale tenuità” nei delitti di bancarotta e ricorso abusivo al credito (Corte Cost. n. 205/2017).
[12] Questo può dirsi avvenuto con la sentenza n. 73/2020 in cui la pronuncia ha riguardato la diminuente del vizio parziale di mente di cui all’art. 89 c.p.
[13] Corte Cost. n. 251 del 2012.
[14] Corte Cost n. 55 del 2021.

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Avv. Maria Laura Pesando

Laureata in giurisprudenza, nel dicembre 2017, all'Università degli Studi di Torino, con tesi in Diritto Costituzionale dal titolo "Il contributo del pensiero liberale nella storia costituzionale italiana" con votazione 110/110 e Lode. Dopo la laurea ha svolto la pratica legale in ambito prevalentemente civile, oltre che penale e giuslavoristico, con abilitazione al patrocinio sostitutivo. Abilitata all'esercizio della professione forense nell'ottobre del 2020, svolge la professione di Avvocato presso il Foro di Torino. Dal maggio del 2016, ricopre la carica di Consigliere comunale presso il Comune di Mompantero (TO). E' autrice di articoli e note a sentenza su riviste giuridiche telematiche.

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