Onerosità, liberalità e gratuità: nozione e differenze

Onerosità, liberalità e gratuità: nozione e differenze

Principio di causalità. Prima di analizzare l’universo della gratuità, della onerosità, nonché della liberalità è necessario principiare dal principio di causalità negoziale, in forza del quale qualunque spostamento patrimoniale deve essere necessariamente giustificato. Nell’idea del legislatore, infatti, non possono esistere spostamenti patrimoniali senza causa, salvo le dovute eccezioni. Queste ultime possono individuarsi nelle ipotesi di astrattezza sostanziale, processuale, relativa e nelle ipotesi di negozi a causa variabile.

Di astrattezza sostanziale si parla nel caso dei titoli di credito e delle promesse unilaterali. Nei titoli di credito si prescinde totalmente dalla causa e ciò al fine di favorire la rapida ed efficace circolazione dei titoli di credito. In realtà in tal caso l’astrattezza non deriva dall’emissione del titolo ma dalla sua circolazione; infatti, non c’è dubbio che il rapporto sia causale tra creditore e primo prenditore. Anche nelle promesse unilaterali la causa non conta e ciò perché le uniche ammissibili son quelle previste dal legislatore, ragion per cui avviene in tal modo una compensazione legislativa.

Di astrattezza processuale si parla nei casi in cui si ha solamente una inversione dell’onere della prova. Sono le ipotesi di ricognizione del debito, ovvero della promessa di pagamento, nelle quali l’astrattezza ha riflessi solo sul processo e ha l’effetto di dispensare il soggetto dal provare il rapporto sottostante, realizzando in tal modo l’inversione dell’onere della prova. Ciò non toglie, ovviamente, la possibilità per il soggetto che in precedenza ha promesso di pagare o riconosciuto il suo debito la possibilità di provare l’inesistenza, l’invalidità o l’inefficacia del rapporto sottostante.

L’astrattezza è detta relativa nelle ipotesi in cui, in realtà, vi è solamente una rilevanza tardata della causa. Si pensi a quei negozi in cui l’esistenza di una valida causa non occorre al momento genetico dell’atto, ma lo diventa per il mantenimento degli effetti prodotti dallo stesso. È il caso del contratto autonomo di garanzia ovvero della delegazione pura.

I negozi a causa variabile, infine, i quali tuttavia solo da alcuni sono ricondotti nelle ipotesi di astrattezza, son quei negozi che sono causalmente orientati, ma hanno la particolarità di non avere una causa individuabile ex ante, poiché la stessa emerge solamente ex post. È il caso del contratto a favore di terzo ovvero dell’adempimento del terzo.

Anche se nelle ultime due ipotesi è dibattuto che possa trattarsi di astrattezza della causa, è evidente come l’elemento causale in questi casi sia l’unico criterio per distinguere i negozi tra loro e per capire se si tratta di un atto di liberalità, atto a titolo gratuito o a titolo oneroso. In particolar modo, dopo che si è accolta la nozione di causa in concreto, tale ragionamento ideato per i negozi a causa variabile può estendersi ad ogni tipo di contratto. Ne deriva che l’interprete dovrà sempre accertare la causa concreta di ogni negozio, anche tipico, per cui ogni negozio potrò poi, concretamente, avere la causa più disparata. In definitiva, può affermarsi che oggi la causa concreta rappresenta uno strumento di qualificazione del negozio stesso, ed è alla luce di questo che si potrà discernere tra la causa liberale ovvero quella gratuita.

L’onerosità. Il diritto dei contratti è sempre apparso improntata ad una logica onerosa, avendo quale obiettivo principale quello della regolamentazione del mercato. Ragion per cui ogni gratuità appare estranea alle logiche del mercato. Ciò posto può definirsi oneroso il contratto in cui alla diminuzione patrimoniale di una parte è collegata l’assunzione di un corrispondente vantaggio patrimoniale dell’altra parte. Si ha lo schema del sacrificio-vantaggio.

Principale categoria che rientra nell’alveo dei contratti onerosi è quella dei negozi di scambio, i quali rappresentano il segmento più significativo dei negozi onerosi. Essi si caratterizzano per l’esistenza del sinallagma, ovverosia di una reciprocità di vantaggi e sacrifici che si sintetizza nella struttura della prestazione-controprestazione; infatti in questi contratti sussiste in capo alle parti un sacrificio ed un vantaggio patrimoniale.

Ma questi non solo gli unici. Anche i negozi associativi rientrano nella categoria dei negozi a titolo oneroso, nei quali ogni associato concorre per la creazione ed il funzionamento di una struttura comune; anche qui è presente un sacrificio ed un vantaggio: il sacrificio è del socio ed il vantaggio sarà comune, cioè della società la quale, eventualmente, ridistribuirà gli introiti agli stessi soci. In questo caso pur non essendoci un rapporto sinallagmatico, perché non vi è una controprestazione che condiziona la prestazione del socio, è comunque presente lo schema del sacrificio-vantaggio che, quindi, può prescindere dal sinallagma.

Discussa è, invece, la fattispecie del contratto normativo con cui le parti stabiliscono le condizioni dei futuri contratti che stipuleranno tra loro. Per alcuni anche in tal caso sussiste lo schema del sacrificio-vantaggio, le parti stabilendo, infatti, le condizioni per i futuri contratti farebbero dei sacrifici per ottenere vantaggi.

Le liberalità. La logica sacrificio-vantaggio scompare negli atti a titolo di liberalità, nei quali l’interesse patrimoniale è assente. Parte della dottrina, in ragione dell’assenza dell’elemento che nei negozi a titolo oneroso rende evidente la ragione giustificativa, ha ritenuto che tali atti fossero privi di causa. Altra parte, al contrario, ha ritenuto che comunque esista una causa soggettiva evidenziando che: se la causa oggettiva è quella ratio giustificatrice cui si perviene senza che debba guardarsi alla volontà intima degli stessi, la causa soggettiva è, al contrario, la ragione giustificativa ravvisabile da elementi soggettivi che dipendono dalla volontà delle parti. Nella donazione, ad esempio, la causa non può essere indagata dal punto di vista oggettivo, perché questa risale alla volontà del donante. In quest’ottica l’aver previsto una forma forte, come quella dell’atto pubblico, compensa una causa debole in quanto difficilmente percepibile oggettivamente. Ciò è ormai pacifico anche in giurisprudenza, la quale ha evidenziato il rilievo causale dell’animus donandi. Dunque: la deroga al principio della libertà delle forme è giustificata dalla presenza di una causa debole, cioè soggettiva.

Occorre precisare che nonostante la donazione non esaurisca il genus degli atti di liberalità, ciò non toglie che è possibile individuare alcune caratteristiche comuni. In particolare essi presentano chi con più, chi con meno intensità: un elemento soggettivo: lo spirito di liberalità, cioè l’assenza di alcun interesse patrimoniale sotteso all’atto; un elemento oggettivo: il depauperamento attuale e concreto della parte che pone in essere l’atto di liberalità.

A seconda della gradazione con cui tali elementi si manifestano è possibile distinguere le liberalità donative e le liberalità non donative.

La categoria della liberalità donative viene esaurita dalla donazione, la quale si caratterizza per una serie di limitazioni all’autonomia negoziale delle parti che culmina della previsione della forma dell’atto pubblico a pena di nullità. La ratio delle limitazioni previste è rinvenibile nel voler rendere il donante quanto più consapevole dell’atto che sta ponendo in essere al fine di evitare che compia atti di prodigalità. Ratio che emerge da diverse disposizioni:

771 cc, per cui il donante può disporre solo di beni presenti nel proprio patrimonio, il cui scopo è rendere attuale lo spoglio;

775 cc, disciplinante la donazione fatta dall’incapace, prevede che la donazione possa essere annullata su istanza del donante senza dover provare la malafede del donatario, a differenza di quanto previsto per l’ipotesi generale dall’art. 428 cc;

778 cc, che dispone la nullità del mandato a donare;

787 cc che, derogando alla regola generale della irrilevanza dell’errore sui motivi, prevede che l’errore sul motivo che ha determinato il donante a porre in essere la donazione, può comportare l’invalidazione della stessa anche nella forma della nullità in caso di motivo illecito, caso nel quale non è necessario che il motivo sia comune ad entrambe le parti come previsto dall’art 1345;

782 cc, che prescrive la forma dell’atto pubblico ad substantiam.

Le liberalità non donative, anch’esse caratterizzate dall’animus e dal depauperamento del soggetto che la pone in essere, si distinguono per una minore intensità dell’animus donandi, ragion per cui la consapevolezza del donante non richiede una tanto stringente salvaguardia. Tale alveo comprende diverse ipotesi eterogenee che meritano un cenno.

In primo luogo, tra esse possono citarsi le donazioni indirette, chiamate anche liberalità atipiche e riconosciute dall’art. 809, che consistono in donazioni che vengono realizzate tramite uno schema contrattuale diverso dalla donazione; secondo la suprema corte essa è “caratterizzata dal fine perseguito, cioè la realizzazione di una liberalità, e non già dal mezzo, che potrà essere il più vario nei limiti consentiti e può essere costituito anche da più negozi tra loro collegati”. In tal caso non vige la necessità dell’atto pubblico e tale disparità di disciplina si giustifica da quanto precedentemente detto: nella donazione indiretta l’animus è maggiormente attenuato rispetto a quella diretta, infatti in tal caso non vi è più quella assolutezza dell’animus potendo tale tipologia di donazione assumere finalità ulteriori ed assorbenti rispetto a quella principale, come ad esempio una causa solvendi.

Nella vendita mista a donazione, nella quale l’alienante cede il bene per un corrispettivo inferiore al suo valore di mercato, l’intento dell’alienante è quello di realizzare nei confronti della controparte una parziale attribuzione gratuita. In tal caso si ha una operazione unitaria che ha la struttura della vendita ma nella quale rientra parzialmente anche la causa di liberalità. È alla luce dell’interesse patrimoniale che sorregge la vendita che, in tal caso, è possibile ritenere che si tratti di un negozio a forma libera. L’esistenza di un interesse patrimoniale giustifica una forma meno forte.

Anche i negozi unilaterali possono costituire liberalità indirette; infatti, l’art. 809 cc parla di “atti diversi dalle donazioni” ponendo in evidenza la differenza tra liberalità donative e non donative. Le prime, infatti, costituiscono dei contratti bilaterali e richiedono l’accettazione. In tal caso il problema che si pone è quello della forma che l’atto unilaterale, ad esempio la remissione del debito, deve rivestire. Anche in tal caso è rinvenibile una causa meno debole di quella relativa alla donazione, poiché la remissione del debito nonché i vari tipi di rinunce costituiscono atti che si innestano su pregressi rapporti giuridici, ragion per cui trattasi di atti che si innestano in pregressi rapporti giuridici. Ne deriva che colui che rimette il debito è sicuramente consapevole di ciò a cui sta rinunciando e quindi non si avverte la necessità della forma solenne che glielo evidenzi.

Ancora. Oltre ai negozi unilaterali ci si è anche chiesti se liberalità indirette possano derivare anche da meri atti materiali; si pensi all’atto con cui consapevolmente l’interessato non si attiva per interrompere il termine necessario per l’usucapione, questo può considerarsi una liberalità indiretta che deriva da atto materiale? In tal caso, trattandosi di atto materiale, non è richiesta alcuna forma specifica.

Gratuità. Il concetto di gratuità è, tra quelli visti fino ad ora, quello maggiormente complicato. Infatti, come abbiamo visto il concetto di onerosità può sintetizzarsi nello schema sacrificio patrimoniale-vantaggio patrimoniale, mentre quello di liberalità si pone al di fuori di tale logica di vantaggio/svantaggio sussistendo il “sacrificio” patrimoniale ma non il vantaggio.

Ciò posto, il concetto di gratuità lo si individua più agilmente delineandone le differenze rispetto a quello oneroso; tuttavia ciò non è sufficiente. Infatti, definire gratuito il negozio in cui non è presente lo schema sacrifcio-vantaggio non sarebbe sufficiente a distinguere il negozio gratuito da quello di liberalità. Distinzione, questa, che impone di scandagliare la natura degli interessi perseguiti con questi atti, infatti:

– nell’atto di liberalità c’è un sacrificio cui, però, non corrisponde alcun interesse economico del donante;

– nell’atto a titolo gratuito, invece, al sacrificio della parte corrisponde sempre un vantaggio, seppur non direttamente ed immediatamente patrimoniale.

Nel negozio gratuito, infatti, è presente un vantaggio economicamente apprezzabule ottenuto aliunde, cioè di un interesse latamente economico ove la componente economica non è tale da elevarlo a vantaggio materiale o empirico a vantaggio “patrimoniale”. Si pensi al musicista che si impegna gratuitamente a tenere un concerto in piazza duomo a Milano, quesiti non percepirà un compenso ma il suo interesse/vantaggio sarà quello di ottenere pubblicità. Ragion per cui nel negozio gratuito, da un lato si esclude l’elemento tipico del negozio oneroso costituito dal vantaggio patrimoniale, mentre dall’altro si esclude l’inesistenza di qualunque interesse economico, tipico dello spirito di liberalità che caratterizza le donazioni.

Poiché, dunque, sussiste un interesse latamente economico la causa non sarà debole per cui in tal caso non sarà richiesta la forma solenne dell’atto pubblico ad substantiam; anche perché, stante la natura empirica del vantaggio che si ottiene tramite negozi gratuiti, la causa sarà oggettiva e non soggettiva.

Negozi gratuiti atipici. Sull’ammissibilità o meno di tali negozi si sono dibattute, e tutt’ora si dibattono, diverse teorie.

In passato si sosteneva l’inammissibilità del negozio de quo in virtù della sua causa soggettiva; in particolare si riteneva che poiché si trattava di causa debole, in quanto soggettiva, per l’ammissibilità di un simile negozio sarebbe stato necessario prevedere una forma solenne che compensasse la debolezza della causa. Poiché tale forma non è prevista dal legislatore, il negozio gratuito atipico sarebbe stato nullo per mancanza di causa.

Al contrario, diverso e prevalente orientamento sosteneva che, nonostante la debolezza della causa, l’ammissibilità deriverebbe dall’art. 1987 cc. La norma prevede che le promesse unilaterali producono effetti nei soli casi previsti dalla legge; partendo da tale norma l’orientamento citato sosteneva l’ammissibilità del negozio gratuito, anche senza la forma solenne, ma solo se tipico.

Recentemente quest’ultima tesi è stata superata da un ulteriore orientamento che, tramite l’art. 1333, ammette anche il negozio gratuito atipico. Una simile soluzione non era consentita in passato, perché si riteneva che in modo venisse violato il principio di intangibilità della sfera giuridica altrui; considerazioni ormai superate grazie alla relativizzazione di tale principio che oggi ammette una “invasione” nella sfera giuridica del terzo solamente se a lui favorevole e se questi sia messo nelle condizioni di poter rifiutare. In definitiva, questo terzo orientamento chiarisce che l’art. 1987 non va più inteso quale regola di tipicità del negozio unilaterale, infatti si ritiene che ormai la norma faccia riferimento solamente a quelle promesse unilaterali recettizie e che quindi avrebbero efficacia nel patrimonio del destinatario non appena giungano a conoscenza del terzo, senza che questi possa rifiutare. Ragion per cui, con riferimento all’art. 133 cc, il più recente orientamento sostiene che il mancato rifiuto previsto dalla norma, lungi dal configurarsi quale tacita accettazione, consoliderebbe gli effetti prodotti dal negozio unilaterale già perfezionatosi una volta giunto a conoscenza del destinatario. Ne deriva, quindi, un negozio unilaterale ad effetto bilaterale che costituisce il modello generale per gli atti gratuiti atipici che diventano ammissibili.


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