Ontologia del delitto associativo finalizzato al traffico di sostanze stupefacenti, e focus sulla rilevanza penale della condotta del singolo partecipante.
Sommario: 1. La struttura del delitto associativo: generalità – 2. La distinzione tra il contesto associativo “qualificato” di cui all’art. 74 d.P.R. 309/1990 e le forme ordinarie di concorso di persone: il profilo organizzativo – 3. L’elemento oggettivo del reato – I singoli ruoli
1. La struttura del delitto associativo: generalità
L’art. 74 del D.P.R. 309/1990, in maniera sostanzialmente non dissimile dal previgente art. 75, Legge n. 685/1975, disciplina una peculiare forma di delitto associativo, il cui tratto essenziale va colto nella prospettiva comune finalizzata alla commissione di un numero indeterminato di reati tra quelli individuati dagli artt. 70, commi 4, 6 e 10 e 73 dello stesso D.P.R..
Ciò premesso, avuto specifico riguardo al versante strutturale, la figura delittuosa contemplata dalla sopra richiamata disposizione normativa, alla stregua dell’impostazione interpretativa comunemente avanzata in dottrina ed in giurisprudenza, si caratterizza per la sua tipica natura plurioffensiva.
Ed invero, a differenza delle comuni realtà associative, tra le finalità protettive che il Legislatore ha inteso precipuamente perseguire mediante la introduzione di detta fattispecie rientra, non soltanto il profilo attinente alla salvaguardia dell’ordine pubblico, ma anche, tenuto conto delle istanze punitive che sovrintendono alla materia degli stupefacenti, quello involgente la tutela della salute collettiva. Prima ancora di inoltrarsi nell’analisi dettagliata dei singoli elementi costitutivi della fattispecie incriminatrice de qua, ai fini di una maggiore completezza espositiva, giova operare una propedeutica digressione circa il generale impianto costitutivo delle forme delittuose di stampo associativo, adoperando a tal fine, quale utile termine di raffronto, il prototipo normativo disciplinato dall’art. 416 c.p..
A tale riguardo, è d’uopo rilevare come, malgrado all’interno dell’architettura normativa dell’art. 74 del d.P.R. n. 309/1990 non sia formalmente rinvenibile uno specifico rimando al dato precettivo fissato all’art. 416 c.p., nondimeno, ai fini della descrizione del suo perimetro applicativo, appare certamente possibile muovere dall’accezione contenutistica ivi adottata.
Ciò anteposto, attraverso il termine “associazione” si suole identificare, in via di prima approssimazione, l’esplicazione fenomenologica consistente nell’aggregazione stabile di tre o più persone, teleologicamente orientata alla realizzazione di uno disegno criminoso strutturalmente indefinito e temporalmente non circoscritto.
Indipendentemente dal modello di volta in volta in rilievo, il concetto stesso di associazione postula, dunque, l’esistenza di un gruppo (societas), ontologicamente concepito quale strumento finalizzato alla realizzazione di una comune prospettiva delittuosa.
Unitamente all’indefettibile base collettiva, gli ulteriori elementi caratteristici di ogni forma di associazione a delinquere, vanno, altresì, ravvisati nella tendenziale stabilità del vincolo, nonché nella predisposizione dell’assetto organizzativo necessario all’assolvimento del comune proposito delittuoso.
2. La distinzione tra il contesto associativo “qualificato” di cui all’art. 74 d.P.R. 309/1990 e le forme ordinarie di concorso di persone: il profilo organizzativo
Il perimetro concettuale nei termini poc’anzi evocati consente, altresì, di delineare la differenza intercorrente tra, l’impianto costitutivo del delitto associativo in disamina, e la diversa fattispecie del concorso di persone nel reato continuato ex artt. 81-110 c.p..
Ebbene, in passato, a fronte della marginale rilevanza assegnata al profilo organizzativo, il principale elemento di discrimine rispetto alla comune compartecipazione delittuosa, veniva generalmente individuato nella semplice esistenza di un accordo criminoso contrassegnato dall’attributo dell’indeterminatezza.
Accantonato detto riduttivo indirizzo interpretativo, la più recente opera esegetica propugnata dal Supremo Consesso di legittimità si è, per contro, saldamente attestata nel ritenere che, l’elemento costitutivo dell’accordo criminoso, quantunque strutturalmente necessario, non esaurisce la trama componenziale della fattispecie di cui all’art. 74 del suindicato D.P.R..
Invero, mentre l’accordo che designa la fattispecie plurisoggettiva semplice, per sua stessa natura, risulta funzionalmente circoscritto alla sola realizzazione di uno o più reati entro i quali l’accordo stesso si esaurisce, per contro, il reato associativo postula, quale requisito indefettibile, l’esistenza di una plurisoggettività qualificata, che disveli, quale proprio elemento di specialità, la concreta capacità organizzativa.
In proposito, a riprova dell’indiscusso rilievo rivestito dal profilo organizzato, il Supremo Consesso di legittimità non ha mancato di statuire come “la condotta punibile a titolo di associazione finalizzata al traffico di stupefacenti non può ridursi ad un semplice accordo della volontà, ma deve consistere in un quid pluris, che si sostanzia, nella predisposizione di mezzi concretamente finalizzati alla commissione di delitti e in un contributo effettivo da parte dei singoli per il raggiungimento dello scopo illecito” (cfr. Cass. Pen. Sez. VI, n. 27433/2017).
Detto in altri termini, il principale elemento di discrimine del delitto di cui all’art. 74 d.P.R. rispetto alla comune fattispecie concorsuale va ravvisato, fermo restando l’indiscutibile rilievo assunto dalla indeterminatezza dell’accordo, nell’esistenza di un tangibile assetto organizzativo che consenta, alla luce di un giudizio prognostico edificato ex ante, la concreta attuazione dell’unitario progetto criminoso.
3. L’elemento oggettivo del reato – I singoli ruoli
Sulla scorta delle considerazioni che precedono, risulta agevole comprendere come, il principale elemento costitutivo di natura oggettiva della fattispecie delittuosa delineata all’art. 74 D.P.R. debba ravvisarsi nel c.d. pactum sceleris, ovvero, nell’esistenza di un qualificato vincolo associativo a carattere stabile e permanente fra tre o più persone, corredato, altresì, da un minimo di organizzazione destinata a consolidarsi, a prescindere dalla consumazione dei singoli delitti di volta in volta programmati.
Più in dettaglio, secondo il costante schema ermeneutico professato in sede di legittimità, affinché possa dirsi concretamente configurabile l’esistenza di un’associazione per delinquere finalizzata al narcotraffico, è necessaria la imprescindibile coesistenza di tre elementi: “: a) l’esistenza di un gruppo composto da almeno tre persone tra loro vincolate da un patto associativo (sorto anche in modo informale e non contestuale), avente ad oggetto un programma criminoso di compimento di una serie indeterminata di reati in materia di stupefacenti, da realizzare attraverso il coordinamento degli apporti personali; b) la disponibilità da parte del sodalizio, con sufficiente stabilità, di risorse umane e materiali per una credibile attuazione del programma associativo; c) un apporto individuale apprezzabile e non episodico degli associati, a conoscenza quantomeno dei tratti essenziali del sodalizio, che integri un contributo alla stabilità dell’unione illecita” (cfr. Cass. Pen. Sez. IV, n. 8312/2022).
Con riguardo alle caratteristiche del necessario fattore “organizzativo”, sebbene lo stesso, come detto, si atteggi alla stregua di elemento costitutivo dal quale non è dato prescindere, nondimeno, quanto al suo grado di sufficienza operativa, non è affatto richiesta, in ossequio a quanto più volte sancito dalla Suprema Corte regolatrice“la presenza di una complessa e articolata organizzazione dotata di notevoli disponibilità economiche” essendo, per contro, sufficiente “l’esistenza di strutture, sia pure rudimentali, deducibili dalla predisposizione di mezzi, per il perseguimento del fine comune, create in modo tale da costituire un supporto stabile e duraturo alle singole deliberazioni criminose” (Cass. Pen. Sez. III, n. 11313/2022).
Per quanto concerne poi i singoli ruoli funzionali al perseguimento dell’impianto finalistico designato dalla norma, è possibile, in linea generale, distinguere:
– la figura del promotore, da identificarsi nel soggetto che assume l’iniziativa circa la nascita della societas sceleris;
– il costitutore, ossia colui il quale, apportando un contributo causale alla iniziativa intrapresa dal promotore, partecipa attivamente nella fase genetica dell’associazione;
– il dirigente, ovvero, chi conduce le dinamiche operative del sodalizio;
– l’organizzatore, colui che si occupa di coordinare l’attività posta in essere dai singoli sodali.
Ed infine, peculiare rilievo giuridico, è rivestito dalla figura del mero partecipante.
Con riguardo a quest’ultimo, il nucleo essenziale della condotta penalmente rilevante, risiede nella cosciente e consapevole adesione nell’ambito delle dinamiche funzionali del contesto associativo.
Più in dettaglio, ciò che contribuisce a designare la rilevanza penale della condotta del singolo partecipante, è l’esistenza di un comportamento “qualificato”, ovvero, di un tangibile contributo – giammai occasionale ed episodico – funzionalmente necessario al rafforzamento del proposito delittuoso comune.
Detto altrimenti, la condotta partecipativa, quale prodotto del sinallagma individuo – associazione, per assurgere a rango di punibilità in concreto, deve inserirsi in una dinamica operativa necessariamente “relazionale” nella quale, la posizione del singolo, si permea e si confonde con l’immateriale entità collettiva.
Da qui, dunque, la necessità di accertare, in positivo, la sussistenza di un duplice presupposto costitutivo:
– sul piano soggettivo, va apprezzata la c.d. affectio societatis, ovvero, l’eminente consapevolezza e volontà dell’individuo di operare all’interno di una compagine criminosa realmente esistente, con piena condivisione dei metodi utilizzati e delle finalità perseguite;
– parimenti, sul versante oggettivo, va riscontrato il “fattivo inserimento” nel tessuto criminale collettivo, mediante la perimetrazione del “ruolo” concretamente assunto dall’agente, non potendosi, per converso, ritenere sufficiente, in ossequio al necessario principio di materialità del reato, l’evanescente messa a disposizione delle proprie energie.
Viceversa, un contributo di natura puramente occasionale, quantunque capace di esplicare effetti a favore del contesto associativo, non concretizza necessariamente il ruolo del partecipante.
A tale proposito, mette conto evidenziare che, sebbene in linea di principio, non sia affatto revocabile in dubbio la tesi interpretativa per cui la partecipazione in seno all’associazione dedita al narcotraffico possa essere desunta anche dalla commissione di singole condotte, cionondimeno, come più volte sottolineata dalla Suprema Corte regolatrice, “è indispensabile che siffatta condotta, per le sue connotazioni, sia in grado di attestare, al di là di ogni ragionevole dubbio e secondo massime di comune esperienza, un ruolo specifico della persona, funzionale all’associazione e alle sue dinamiche operative e di crescita criminale, e risultino compiute con l’immanente coscienza e volontà dell’autore di fare parte dell’organizzazione” (Cass. Pen. Sez. III, n. 3/2020; Sez. VI, n. 50965/2014).
Allo stesso modo, al fine di scongiurare l’operatività di indebite derive espansionistiche dell’alveo concettuale fissato dalla norma, è stato efficacemente lumeggiato come, la prova circa l’esistenza di un fattivo contributo partecipativo non può dirsi integrata “dalla mera disponibilità manifestata nei confronti di un singolo associato, anche se di livello apicale, né dalla mera condivisione di intenti”, richiedendosi, viceversa, in ossequio al necessario postulato di determinatezza giuridica che deve indefettibilmente permeare l’intera materia penale, “la volontaria e consapevole realizzazione di concrete attività funzionali, apprezzabili come effettivo e operativo contributo all’esistenza e al rafforzamento dell’associazione. (Cass. Pen. Sez. VI, n. 34563/2019, Di Punzio).
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Gabriele Ferro
Laureato in giurisprudenza presso l'Università degli Studi di Siena, attualmente praticante avvocato, con predilezione per il settore del diritto penale sostanziale e processuale.